RE NUDO - Anno XI - n. 85 - marzo 1980

GAVIN BRYARS • The slnklng of the Tttanlc • obscure n• 1 On aprii 14 th 1912, the Titanic struck an iceberg at 11.40 pm in the North Atlantic and sank at 2.20 am on aprii 15 th. Il primo episodio della "discre– ta" avventura della "obscure" ha luogo nel 1975, anno in cui vedé la luce questo lavoro, pri– mo tassello di uno strano mo– saico finora composto da Il pezzi. L'autore è un inglese dal sentire colto e raffinato, passa– to attraverso le più eterogenee esperienze musicali (dal jazz di Bayley e Lee Konitz, allo speri– mentalismo di Cage, alle aper– ture della "Portsmouth Sinfo– nia") finalmente approdato all'emozione di quella musica ambiente che tiesce a cogliere il palpito più profondo del mo– mento dell'incisione (tecnico) ed a trasferirlo, risolvendolo, nell'ascolto (organico). Il primo lato del disco agisce proprio in questa direzione; è la rielaborazione della musica che veniva suonata mentre il Titanic affondava, materiale difficile ed immaginoso, assume un valore di rievocazione sottile e melan– conica, sicuramente allucinan– te nella pacata consapevolezza della distruzione della materia. E' una musica che contiene il seme della decadenza più pro– fonda, che sussurra l'inelutta– bilità delle cose, che rievoca il ricordo più nascosto. Il risultato è un'atmosfera strana, ancora in bilico tra la descrizione e l'essenza, che confonde i con– torni del passato, ma vibra del respiro del presente. C'è sicu– ramente Morte, ma intesa come la calma di chi ormai molto ha visto e gode il riposo della disil– lusione. La stessa motivazione sostiene anche che la seconda facciata "Jesus Blood never failed me yet", arricchita però di un tocco religioso, quasi sa– cro. E' una nenia da ubriaco ascoltata per strada, prolunga– ta all'infinito dall'autore e so– stenuta da un ovattato sotto– fondo, dai colori dolci ed il tono squisitamente "obliquo" (pre– gevole in questo senso la chi– tarra di Derek Bailey). La com– posizione trasforma l'angoscia del delirio alcolico in una di– mensione- atemporale, di co– munione dei più sinceri senti– menti dell'anima con l'infinità che lo spirito non riesce a co– gliere. • Anche in questo caso il tentati– vo è pretenzioso e di difficile realizzazione e la innegabile pesantezza ne testimonia la parziale riuscita. L'intero disco lascia però vasti orizzonti aperti innanzi a sé: è il punto d'arrivo di una concezione e il punto di partenza di un'esperienza, dif– ficile da cogliere, ma appagan– te una volta sintetizzata. Non esiste più il vigore dell'entusia– smo, resta solo l'angoscia dell'autocompassione. DarioBovelassi MICK FARREN vampires stole may luch money Logo Records Edgar Broughton Band bandages Nems Due dischi usciti un po' di tem– po fa. Penso valga la pena di parlarne ora dato che sono di– ventati di possibile reperibilità (anche se non molto facile) sul mercato italiano. Il tutto pre– sentato dalla benemerita com– pagnia "Nostalgici dell'under– ground inglese". Ivampiri mi hanno rubato i soldi del pranzo, titola Mick Farren un disco che raccoglie le crème di certo rock d'oltremanica: Mick Farren voce (aveva for– mato Social Deviants, poi sem– plicemenre Deviants, e Pink Fairies); alla batteria Alan Po– well.(ex-Hawkwind); alla chitar– ra Larry Wallis (già Pink Fairies e vecchio amico di Farren); fanno capolino anche Sonja Cristina (vedi Curved Air) e Wil– ko Johnson (ex Dr. Feelgood). Il suono è quello che girava qual– che tempo fa, ovvero rock pe– sante ma mai noioso, pieno di spazi per soli chitarristici ed adatto a chiunque voglia met– tere in musica l'insoddisfazione di una generazione. E qui di in– soddisfazione ce ne è propria tanta. Infatti, senza bisogno delle volgarità "new-wave" (new?) si parla di gente già ubriaca in prima mattina ("Drunk in the morning") di di– sperazione ("I know about self– destruction"), di "Zombie Li– ne", ovvero di quelle strade pieno di bar dove è costretto a sbattersi un povero suonatore di rock'n'roll per stare al mondo (per ichi sta al gioco ci sono ville e Rolls). Come sembra di leggere nella canzone "I don't want to go this way" Mick Farren non ha an– cora voglia di "rientrare": vo– glia il cielo lasciarlo "fuori" per altri mille anni! Il disco di Edgar Broughton Band si chiama invece "Bada– ges", vale a dire bende, le stes– seche imballano ognuno di noi. La Edgar Broughton Band è stato uno dei pochi gruppi rock inglesi a non aver paura di far politica. Famosa per i free-con– certs non ha naturalmente mai fatto nè soldi nè successo. Do– po 4 o 5 albums per la Harvest questo disco è uscito per la Nems tre anni dopo la conse– gna dei nastri per le solite que– stioni legali. La musica è sempre il buon rock-blues che ci si può aspet– tare da una band di strada, in– frammezzato da pezzi più mar– catamente rock o semplici bal– late acustiche, tipo la bellissima "Speak down the wires". An– che se chi ha avuto modo di sentire i prcedenti LP di questa formazione (ormai introvabili) mi dice che questo Bandages risulta un po' fiacco, soprattutto rispetto al primissimo "Wasa– Wasa", la bontà della musica è garantita dalla sincerità di chi la suona e poi fatemi un favore, provate un po' a sentirvi dischi di questo genere, è vero, si fa un po' di fatica a trovarli, non li sentirete mai alla radio, nè Ciao 2001 li inserirà nella rubrica "Long Playing" ma, per Dio, è appunto per questo che vale la pena di ascoltarli o siete già tutti d'accotdo sul prendere o lasciare cui ci obbliga l'indu– stria discografica per piazzare i suoi innocui divi di polistirolo. Luigi Marinoni STEVE HILLAGE open -Vlrgln, distribuzione Ricordi Dopo la parentesi di "Rainbow dome musik", forse troppo sperimentale e comunque di difficile ascolto, rieccoci il vec– chio Steve col suo "rock sinte– tizzato", accompagnato dalla stessa band di "Live Herald" e addirittura in compagnia di Da– ve Stewart, già con lui nei Khan (primo gruppo di Hillage prima del viaggio coi Gong). Un discorso abbastanza con- traverso: da una parte musica per l'anima, quasi indiana, tipo di conclusiva "Earthrise" e dall'altra i ritmi palesemente di– sco (con tanto di tum-tum clap– clap e coretti vari, sentire per credere) di "Definite Activity". La schizofrenia, se cosi la pos– siamo chiamare, della Hillage Band sta secondo me in questo: Hillage e Miquette Giraudy, l'u– no con la chitarra e l'altra ai synths, garantiscono una certa continuità ai sogni inglesi a li– vello sonoro (hippy-sound? rock psichedelico?) mentre alle loro spalle si muove una sezio– ne ritmica quasi da discoteca. D'altro canto, oggi sembra quasi impossibile richiedere un minimo di coerenza anche alle menti più lucide che si sono ri– tagliate uno spazio nello show– business. Consolimoci per il testo del brano d'apertura "Day alfter day" dove il vecchio Steve in– tona gli antichi canti di speran– za (siamo sempre in meno a crederci, la gente vuole ballare o morire) e dice bisogna man– tenersi high, che non è ancora ora di scendere nè tantomeno di buttare alle ortiche tutto quello che di buono si è riusciti a fare. Lo sappiamo, Hillage è sempre stato un "verde", un simpatico hippy capace di re– galare dell'ottima musica, non è ancora ora di depennarlo dall'elenco dei "bravi ragazzi" però direi che comincia a preoccupare, se non altro per certa ripettività accompagnata da scarsità di nuove idee. Il film può essere ancora bello ma la trama è sempre quella: robusta sezione ritmica non troppo ori– ginale, grandi schitarrate "psi– chedeliche" inevitabilmente fil– trate e strafiltrate dai synths di Miquette. Che vi devo dire, si vive anche di ricordi, sentiamoci pure que– sto Open ma, se voltete pian– gere, non ascoltatelo subito dopo aver ascoltato "Fish Ri– sing" o "L", a mio parere le opere miglioi dell'Hillage in questione LuigiMarinoni ""'= wt► ttJt► mammmr:r:m .~m.,m~1um11,1m1[ lii ìUlltllHIUll 11 11 \Y/OCQI ( J!f©OffiOO~cdlo ~@@U~®lf□(QJ ~(Q)[iQ[n)(O)~ ~~- ~®~®®® m□~(QJ[n)(Q) TOM VERLAINE: TOM VER· LAINE. C'è l'energia di Marque Moon altrettanto limpida, ma raffor– zata, più penetrante. E' profon– do e ricercato, ma essenziale, senza alcunché di inutile o su– perfluo. Sono state abbando– nate anche alcune forse ec– cessive raffinatezze di Adven– ture. Immagini, suoni, ritmi di– retti al corpo e alla mente per viaggi troppo veri per essere solo musica. Dopo la breve, incredibile esperienza Television, Tom Verlaine torna a scuoterci con la vitalità della sua musica, con la sua chitarra ormai conosciu– ta, ma· sempre unica. Sicura– mente Arte, e credo che ciò abbia ancora un significato. E poi, a compimento, tutta la bella gente, più o meno famosa, che contribuisce più che bene alla riuscita di questo album. Tutto è sicuramente ad altissi– mo livello, ma noto in particola– re l'iniziale "The grip of love", ottima scossa d'inizio, le incre– dibili figure di "Yinki time", "Flash lighting", la dolce e· quasi solenne "Last night". L'unico neo, non indifferente, è nell'edizione, dove stavolta mancano i testi, che all'epoca Television si erano dimostrati di notevole bellezza ed importan– za: comunque basta davvero la Musica di Tom Verlaine, per darci tutte le emozioni di cui è capace. Enrico Giamminola PIERRE MOERLEN'S GONG • Time ls the key • Arista "Il tempo è la chiave", afferma– zione quasi ovvia per un batte– rista come Pierre Moerlen, cer– tamente uno dei più preparati "tempisti" presenti sulla scena rock. Però, se la tecnica e le capacità non mancano, il buon Pierre sembra essere un po' a corto di idee. Chiuso per sem– pre (sigh!) con la magia Gong, la band di Pierre Moerlen è ar– rivata al terzo disco senza aver ancora definito il proprio cam– po d'azione: dal rock-jazz _di "Expresso Il" ai tentativi più marcatamente rock di "Down– wind" fino a questo "Time is the key" dove salta subito all'oc– chio il divario esistente tra le due facciate. La prima si apre con la dcilcissima "Ard Na Greine", melange di suoni "da sogno" con le percussioni usa– te non solo in senso ritmico ma anche con funzioni melodiche. Cosi tutta la facciata: tempo base di batteria/basso sopra al quale vanno e vengono gli svoli delle tastiere, delle chitarre e di divertentissimi tipi di percus– sioni. Nella side 2 mi pare invece di notare un'eccessiva aridità espressiva: jazz-rock di manie– ra, tutto sommato insignifican– te, dove neanche la batteria del leader riesce a dare un senso al tutto. Penso che Pierre Moerlen sia sempre stato un ottimo batteri– sta (provate a sentirlo nei mo– menti migliori dei Gong o sem– plicemente in un concerto dal vivo), forse più adatto ad un ruolo di "interprete"; come compositore (tutti i pezzi sono suoi) risulta alquanto confuso, cosa che del resto è facilmente riscontrabile nei batteristi. La band vede Hansford Rowe al basso, Bon Lozaga e Nico Ramsden alle chitarre e Peter Lemer alle tastiere mentre in "Ard Na Greine" fa capolino il violino di Darril Way. Questo disco non è brutto, anzi, con la roba che gira adesso sarà anche superiore alla me– dia, solo che è troppo anonimo e dal "Pére Cushion de Stra– sbourger" ci si potrebbe aspet– tare ben altro. Aspettiamo. LuigiMarinoni SEG ALAZIO I - CollettivoVictorJara: 'non vi mettete a spingere' Materialisonori Ironia amara dei resri e 1111 bel/'impia1110musicale. arriva leggerme111e in rirardo(ed è 1111 peccalo) sul gusro per la flla– srroccaseria. - Canzoniere del Valdarno: terra innamorata Materiali sonori Ancora un 'i111erprera– =io11e della musica popolare. Il disco è ben 1ra11a10 egradevole. i restisi mw11e11go110 fedeli alla 11·adizio11e dell'arrangiamenro a1111ale. - Zcit: un giorno in una piaz7,adel mcdilerraneo Ma– teriali sonor Ricerca musicale pitì vicinaallafilologia che alla elabom=ione.E' 1111 disco molro riccodi armosfere cui l'uso de– gli srr11me111i rradi=ionalicon– ferisce moira vivacità. L 'assen– =a di resri gioi'{/ molrissimo all'ascolro. il meglio del rock oggi ffavifit ~ru.tteuiWooe*Cowd,tiy*~ eu. VENDITA ANCHE PER CORRISPONDENZA

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