RE NUDO - Anno II - n. 3 - marzo 1971

Re Nudo /24 John Mayall è nientemeno che la sorgente dell'intera rinascita del moderno Blues elettrico. Nato nel 1933, Mayall è cresciuto in una città inglese del nord, Manchester. Dopo il 1950 suonava blues per tut– ti quelli che ci tenevano ad ascol– tare blues (non molti in quell'epo– ca). Dopo quasi quindici anni di « sulla strada» a Manchester, gli capitò di leggere (sul giornale in– glese di musica pop « Melody Ma– Iter ») di un gruppo blues che suo– nava con un po' di successo a Londra. Mayall andò nella grande città, suonò in giro, e lentamente si costruì una reputazione come il miglior Bluesman (suonatore e can– tante e... di blues) d'Inghilterra. La fama internazionale cominciò ad arrivare a Mayall nel 1966, dopo che Eric Clapton si unì al suo grup– po dopo aver lasciato gli Yardibirds. Da allora una serie di LP (album a 33 giri) ai primi posti delle classi– fiche hanno contrassegnato l'atti– vità del gruppo di Mayall che con– tinuava a cambiare dinamicamente i suoi musicisti. Jack Bruce, Peter Green, Mick Fleetwood e Aynsley Dunbar sono solo alcuni degli ec– cellenti musicisti che hanno fatto il loro apprendistato nei Bluesbrea– kers di John Mayall. Ma attraverso tutti i cambiamenti, è Mayall stesso che è rimasto, per comune consen– so, la figura numero uno del Blues inglese. Con i suoi dischi e con la musica di quelli che hanno lavo– rato con lui, ha giocato un ruolo enorme anche nell'informare la ri– nascita del blues americano. (da Hit Parader, november 1969, p. 14). D.: « Quando parli del blues ti rife– risci principalmente o esclusiva– mente alla musica degli artisti ne– gri?» John Mayall: ,,No, perché la razza non ha niente a che fare col blues, veramente. Al principio il blues era i negri, poi ci sono stati alcuni bianchi, molto pochi che hanno as– sorbito quella cultura, bisognava averla vissuta, sia dentro, nel vivo, che ascoltando i dischi. D.: « Tu diresti che uno può assor– bire questa cultura attraverso i di– schi? JM: « Ma solo se uno « è nato» suonatore di blues. Uno che pren– de in mano un saxofono, ·non di– venterà un suonatore di jazz. Po– trà imparare i ritmi e le frasi e le scale degli altri. Potrà studiare e studiare tutta la sua vita, ma· non è detto _Gheriuscirà a dire qual– cosa. D.: « Quando mi è capitato di par– lare con dei musicisti negri e di chiedere loro che cos'è il blues, tutti venivano fuori con la descri- ca G no zione di uno stato della mente. JM: « E' tutto ciò che è. La forma è niente ... solo due o tre corde. Ecco perché è impossibile imparar– lo. E' questo che rende così diffi– cile riuscire a copiare il blues. E' impossibile copiarlo perché non e– siste, capito? Solo tre corde stupe– fatte, è tutto lì. La forma è niente, la cosa diventa blues. E' una cosa personale, capisci. D.: « Raccontaci alcuni dei modi in cui sei stato toccato dai recenti cambiamenti nel blues, e dalla sua ascesa alla popolarità. JM: « Proprio non saprei. E' diffi– cile vedere qualcosa che accade gradualmente; è parte di qualcos'al– tro. Nel 1955 non c'era in giro as– solutamente nessuna musica crea- tiva. Erano i giorni in cui, per ven– dere, non era possibile essere crea– tivi. Gli affari dello spettacolo erano gli affari dello spettacolo, una co– sa macchinata. La musica che si poteva suonare « a casa», ... come raccolte di jazz serio, raccolte di dischi di blues, era qualcosa di completamente separato da tutta quell'altra. JM: « ( ... ) Voglio dire che... c'erano tutti gli americani che avevano i posti in classifica, e quella era una cosa da affari dello spettacolo. El– vis Presley era affari dello spetta– colo, Show Business, così Gene Pitney, Cliff Richard, gli Shadows, roba così. I Beatles sono stati i primi che avevano realmente qual– cosa di diverso. Non si mettevano in maschera per fare uno show; erano piuttosto casuali in queste cose. Avevano una buona cosa creativa, inventavano delle nuove composizioni. D.: « La prima volta che ho sentito Bare Wlres, una delle cose che ml hanno colpito di più erano le paro– le, cioè che erano originali, non parole da vecchi blues. JM: « Certo. E' cosi che dovrebbe essere. Il blues dovrebbe essere esperienza. D.: « Deve averti colpito come una cosa strana, in un certo senso, tut– te le cose che sono successe al blues, nel processo di diventare un culto di massa. JM: « Bene, vedi, non sono d'ac– cordo che è una massa, non lo sarà mai, il blues non potrà essere mai una sensibilità («Feeling») di mas– sa. D.: « Perché questo?» JM: « Perché è arte. Solo una pic– cola minoranza del pubblico del mondo è consapevole dell'arte. Se (per arrivare a quelle conclusioni) lavori sull'ipotesi che tutta la gente che compra gli album dei Cream è • stata accesa, aperta a B.B. Klng, questo non è abbastanza ... Guarda le proporzioni. Ciò che King capta, che io capto, sono quella propor– zione di persone che sono interes– sate a ciò che sta oltre i Cream, più avanti ai Cream. (da un'intervista con John Mayall condotta a Los Angeles il 9 aprile 1969 da Barret Hansen, e pubbli– cata su Hit Parader, november 1969. pp. 14-17). JOHN MAYALL DISCOGRAFIA SPAI 47 The world of John Mayall SKLI 4853 A hard road SKL 4945 Bare wires SKL 4972 Blues from Laurei Canyon SKLI 5010 Looking back LKI 4804 Blues breakers LK 4890 Crusade LK 4918 The diary of a band. voi. 1° LK 4919 The diary of a band. voi. 2° ACL 1243 The blues alone IMC 207 Blues. Voi. 1° IMC 208 Blues. Voi 2° POLIDOR 184/308 De Turning Point « Il rock, la pop music "giusta" (dal rock al folk al rithm and blues al beat al "psichedelico" all'under– ground ...). E' qualcosa di più di una musica. E' un "sound", un am– biente, un modo di vivere. Ha cam– biato la sensibilità dei giovani. Forse per sempre. (Da « The Rock Story » di Jerry Hopkins, redattore di Rolllng Stone. Rolling Stone è uno dei migliori giornali di musica e cultura alter– nativa, tipo "underground". Si può trovare sicuramente a Milano Li– bri, via Verdi 2).

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