Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979
menti sociali, fornì un'analisi anche teoreticamente in dicativa nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Solo un marxismo dommatico e riduttivistico po trebbe perciò escludere dal proprio orizzonte d'inda gine i dati e le ipotesi forniti dalle molte ricerche, di Pareto, di Mosca, di Max Weber, di Charles Wright Mills e dei loro continuatori maggiori o minori, in torno alle élites, alla loro formazione, alla loro circo fazione, e alla loro «continuità». Su questo terreno la nota di Fortini appare feconda, e suscettibile di gettar luce su tutta una serie di aspetti, sociologici e cultu rali in · primis, ma forse anche politici, della storia recente dell'Italia e del suo rp.ovimento operaio. Che, per esempio, un polo di tensione si sia deter minato subito dopo la Liberazione all'interno della intellighentsia che aveva aderito al partito comunista italiano nel corso della Resistenza è ampiamente testi moniato dalle cronache e dalla riflessione storiogra fica. Il «caso » del «Politecnico », le vicissitudini per sonali di un Pavese, di un Vittorini (si potrebbe aggiun gere: di un Pasolini), ecc., ne sono testimonianza non certo secondaria; e così la «crisi » di tanti intellettuali iscritti o vicini al partito comunista in occasione della questione Lisenko o dopo l'insurrezione ungherese e l'in tervento sovietico. Nello Ajello ce ne ha dato una recente ricostruzione nel suo Intellettuali e P.C.I., 1944-1958 (Bari, Laterza, 1979). Avanzare l'ipotesi, come fa Fortini, che tra le moti vazioni non di superfice di tale latente conflittualità vi sia da annoverare anche la diversa collocazione ori ginaria dei diversi gruppi di intellettuali comunisti, ap pare più che legittimo. Nell'analisi della dialettica con servazione/innovazione che sottostà ad ogni processo storico, e quindi anche alla vita dei partiti operai, è proprio da escludersi - per quanto riguarda la storia interna del P.C.I. e dei suoi intellettuali - che sul 189
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