Il piccolo Hans - VI - n. 23 - luglio-settembre 1979

ci sentiamo così infinitamente complessi, consapevoli, maturi. Molti indizi, non ignoti alla storiografia, che pure nel complesso lascia sopravvivere il mito di un illuminismo che non conosce la propria miseria: a prendere gli illuministi uno per uno, sono tutte ecce­ zioni alla regola: Rousseau, Sade, Diderot, Hume, lo ·stesso Voltaire. Spreco di termini come «preroma�ti­ cismo» o «premarxismo» (Rousseau, Dom Deschamps), pur di non ammettere negli illuministi lo sdoppiamento tra il concepire i limiti radicali del loro destino e la decisione di compierlo fino in fondo ( ancora uno sforzo) al più presto. Il lungo elenco dei dialoghi in cui gli illuministi rapprese11tano se stessi, i ritiri precosi dalla scena; l'estinguersi dei philosophes una decina d'anni prima della Rivoluzione. Nessun grande illuminista vuol sap·erne di non stac­ carsi dallo «sfondo dell'illuminismo». Perché l'illumi­ nismo è uno scenario, ed una parte che si fa recitare ad un tenore bello eroico pieno di buoni sentimenti, esaltato e preso in giro da Papageno, o dalla musica, dall'inizio alla fine della recita. 3. Postulato: che valga la pena di prendersela con un mito storiografico: che, quando un momento . culturale diventa sinonimo di un modo di vivere e quasi una categoria dello spirito, valga la pena sottrarre a se stessi la spocchia di crederlo semplice e superato. Che serva qualcosa rinunciare al mito di una propria in­ fanzia semplice e sorpassata, ad un «momento» del tutto precedente e chiuso, la cui presenza nel ricordo serve ad autogarantirsi maturità, consapevolezza supe­ riore, normalità, o privilegi di disperazione mai vista al mondo da contemplare. Pregiudizio da eliminare: che un discorso sulle in­ tenzioni e sulla consapevolezza degli autori del passato sia per forza · naif e pre-strutturalista. Che l'ap.alisi strut- 143

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