Il piccolo Hans - anno V - n. 18 - aprile-giugno 1978

Bisogna distinguere, nelle descrizioni della follia, l'a­ spetto «modale»: vi sono personaggi, per lo più secon­ dari, che appaiono in scena già folli, ed altri, per lo più importanti, di cui si descrive l'ingresso nel territorio della follia. La differenza ha rilevanza sociale, dato che in genere i personaggi del secondo tipo appartengono agli strati più alti, sono dei protagonisti, e quelli del primo tipo a strati più bassi, di comparse. E nasce il sospetto che solo nel primo caso gli autori pensino alla normale accezione di follia, mentre nel secondo non facciano che descrivere una specie di rituale della disperazione. Se ne avrebbe una tarda conferma daJ confronto tra Cardenio e Don Chisciotte: quando Don Chisciotte decide di imitare Cardenio, non fa che ricor­ rere al vecchio rituale, lui che con la follia ha un rap­ porto così complesso e combattuto. Le opposizioni sopra citate possono avere una du­ plice prospettiva: lo stato di natura può essere identifi­ cato con l'incivile, il bestiale, l'insensato, ma anche con un ritorno alla semplicità dell'età dell'oro (per questo Merlino impazzito viene confrontato una volta con l'uo­ mo selvaggio, simbolo di questo ritorno alle origini). Ed è in questo quadro che si spiega la simmetria tra il rituale della follia e il rituale della santità (si ricordi san Francesco). A Shakespeare e Cervantes, massimi « scrittori di follia», si può giungere attraverso il romanzo proven­ zale di Flamenca. Se Archimbaut impazzisce, è perché si trova a oscillare tra la gelosia senza amore decretata ai mariti della civiltà cortese, e l'amore cortese (coniu­ gale) attribuitogli dal suo inventore. Ne risulta una serie di atteggiamenti e comportamenti che il romanzo de­ scrive con un'attenzione clinica sinora non premiata dagli studiosi del profondo. I modelli culturali del Medio Evo portavano a inse­ rire la follia negli schemi noi / gli altri; interno (alla 25

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