Il piccolo Hans - III - n. 11 - luglio-settembre 1976

più al centro della sua circoscnz10ne operativa, inol­ trarsi sempre più e sempre più ostinatamente all'interno della specificità del suo operare. Insomma è proprio il progresso (progressus) verso un eccesso della pittura che comporta un concomitante «eccesso» di conoscenza oltre la pittura. Stante al percorso esibito dalla mostra di Bologna, così accuratamente costruito ,da Calvesi, credo che la fase determinante di quel « progressus » («progredì» è, letteralmente, «spingersi avanti » nel senso di «uscir fuori», «mostrarsi», per cui l'« excessus » gli si sovrap­ pone quasi come sinonimo) sia da collocare negli anni 1961-1965. In quei quinquennio infatti, Romiti affronta ed elabora - con tutta la forza d'esclusione, la deci­ sione, la dedizione, mentali e operative, che discendono dalla consapevolezza di aver toccato un punto centrale della propria vicenda pittorica - quella che si può senz'altro designare come l'esperienza del formarsi stesso della « visione » o, meglio, l'esperienza di ciò che la rende « originariamente » possibile. Si tratta dell'esperienza visiva (percettiva) della «dif­ ferenza», la quale fissa il rapporto del Soggetto al Reale anteriormente alla costituzione dei rappresentati (la per­ cezione degli oggetti e delle forme in quanto entità semanticamente chiuse, culturalmente e ideologicamente definite o definibili). E' l'esperienza dell'orlo, del bordo, del margine, dell'apertura e, contemporaneamente, del raccordo, della giuntura, dell'articolazione. L'occhio scruta non più la realtà, intesa come insieme ordi­ nato - e nominabile - di oggetti e di forme (di rap­ presentazioni), bensì la fenditura-raccordo che, ad un tempo, la espone e la esclude, la rivela e la occulta, neutralizzando l'opposizione tra «vista» e ·«cecità», tra esterno e interno, tra pieno e vuoto, ecc. Si tratta, in definitiva, di ciò che, in psicoanalisi, si definisce come struttura del fantasma e che C.-B. Clément così 28

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