Il piccolo Hans - anno I - n. 1 - gennaio-marzo 1974

raria del nuovo romanzo, subisce tutto il peso del gioco identificatorio che, con il récit, tende a unificare e a con­ servare la figurabilità del soggetto: poesia e romanzo in questione. Pleynet, Sollers, «Tel Quel», una pratica di avanguardia, una pratica testuale o di «finzione». Finzione indica che in qualche modo ci deve essere un rapporto con la verità; in quanto la parola è anco­ rata nell'altro, e non a quello a cui potrebbe sembrare indirizzata, ma all'altro che è necessario che ci rico­ nosca perché, rispondendogli, entriamo nel linguaggio sulla soglia di un'interrogazione: « che cosa mi vuoi?». « ... mente quando dice la verità e dice la verità con una bugia»: «dove vai», domanda il primo. «A Cra­ covia», risponde l'altro. « Guarda che bugiardo - bron­ tola il primo -. Se dici che vai a Cracova, vuoi farmi credere che vai a Leopoli. Ma io so che vai proprio a Cracovia. Perché menti dunque?» (Freud: Il motto di spirito. O.C. V, pagina 103, Torino 72). Il motto di spirito annota la posizione del linguag­ gio che sdoppia il soggetto e ritaglia nella menzogna la verità lasciando su un'interrogazione, perché menti? per dire la verità... La finzione, per indicare la pratica testuale, disegna una curva doppiamente spezzata, una sorta di batta­ glia-contraddizione con l'altro che devia due volte il tracciato fino che sia di nuovo sul punto di partenza. Questo détour che sbarra in ogni segmento di scrittura l'unica domanda, la domanda d'amore, e rimette la frec­ cia sull'arciere lascia una punta alla parola deviata, una scia che non potrà esserle disgiunta in questo percorso, una erotizzazione della parola detta nella parola taciuta, uno scivolamento continuo che irradia su tutta la catena. La parola non si volge al riflesso meduseo, non cerca lo scudo cilleneo per reperirsi e il terribile falcetto non passa una volta sul volto addormentato. Erotizzata, la parola scivola su tutta la catena tra serpentelli irsuti, 114

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