Pattuglia - anno II - n. 5-6 - mar.-apr. 1943

LO scrittore Zeta, del quale ho appreso la morte pochi giorni Ja1 dai giornali, era mio runico. :\,[a non è tutto dire mio amico, giacchè con Zeta più che per la comu nan7,a di ideali ( o interessi), più che per l'ammfrazione' (non troppo profonda del resto: Zeta non è stato davvero un grande scrittore) per la sua opera;, più, insomma, che per Ie ragioni di solito capaci di unire in un'amicizia due scrittori, io mi sentivo le~ato d~ una simpatia umana, da una comprensione, certamente reciproca, e, infine, da una fiducia quale pochissimi mi hanno ispirato. Eppure io e Zeta non ci siamo mai veduti: cosa più sorprendente, non ci siamo mai scritti; nemmeno è mai accaduto, corne purf' è d'uso, che fra noi siano corsi scambi di libri (ma io ho letto tutti i suoi e Zeta i pochissimi miei). Non ci siamo mai incontrati; sfiorati, sl, molte ,·olte; molte volte siamo stati "ml punto di riconoscerci, finalmente; benché abitassimo in due di ,·erse città. Una volta mi sono recato nella sua senz'altro motivo se non quello di vederlo, ma non l'ho trovato: proprio in quei giorni crn fuori, non so dove, Spesso Zeta è venuto nella mia, ma l'ho saputo sempre in l'Ìtardo. Ogni tanto un runico mi diceva: - Sai, è stato qui per due .giorni Zeta. Ha chiesto di te. E' don,to ripartire ieri. Op~ pure: - Ieri sera a teatro c'era Zeta. :-fon l'hai veduto? - No, non l'avevo veduto, e invano mi mettevo a cercarlo nei luoghi pm probabili al suo passaggio; era sempre troppo tardi, magari per un minuto. L'avrei riconosciuto a prima vista, poichè avevo veduto in di,·ersc circostanze il suo ri• tratto; e una volta, certo, ci tro,·ammo a poca distanza. Sa• pc,·o che era molto alto e supposi ,mmediatamente che fosse sua quella lesta ricciuta e un po' grigia che vedevo in mezzo a molte altre nella sala; suo quel collo erct to, magrissimo; sue le orecchie un poco sporgenti. Era H giorno di inaugurazione di una' mostra d'arte, mi pare; io ero arrivato tra gli u1tin1i, a bella! posta in ritardo, essendo fra i più oscuri degli invitati, quando mi misi. in mente che la nuca ricciuta che vedevo emergere sopra le altre, fosse quella di Zeta, cercai di uvvicinarmi: mi fu impos· sibile: troppa gente era davanti. a mc, un muro compatto, e tale,, per la qualità di coloro che lo fornul'·ano, da mettermi in sogge• zione. Avrei potuto aspettarlo all'uscita, q1a proprio quel giorno il pittore Erre doveva tenermi il (Puldnelli I UN'AMICIZIA Racconto di Libero Bigiaretli più lungo e sensato dei suoi discorsi; mi distrassi ascoltando. Dunque, non ho mai veduto Zeta, mai parlato con lui, mai stretta la sua mano; ma sono cer• to che .fra noi è durata una salda amicizia. Anche abbastanza antica: almeno da dieci anni mi sent~ legato a lui, e per questo la sua morte precoce mi ha tanto addolorato. Quando ho inc<>minciatd a pubblicare i imi.ci primi racconti, dieci anni or sono, già Zeta era. fra gli scrittori giovani da meprediletti, e anche se non era a lui che guardavo come a un modello, sentivo di stimarlo più che ogni altro. Usci il mio primo racconto in una rivista ( ne comprai non so quante copie; non so quante volte le rilessi) e ricevetti qualche complimento tra i pochissimi scrittori - o che si credevano tali - che allora conoscevo; ma mi sentii veramente lusingato, finalmente sicuro della mia vocazione, soltanto, quando uno mi disse: - Il tuo racconto è piaciuto anche a Zeta; lo ha detto ad Elle. Da allora ognl volta che scrivevo pensavo se il mio scritto sarebbe piaciuto a Zeta, e debbo a quella preoccupa, zione se ho distrutto tante prov~ infelici. Frequentemente, più tardi, ebbi notizia indiretta del consenso che, di volta in volta, Zeta espri1neva sul mio lavoro; quanto a me andavo lodando tra gli a,ruc, ogni suo libro, e benche io non abbia mai scritto una recensione, trovai modo una volti. di esprimere in un articolo la mia simpatia per Iùi. Mi ricordo che aspettai con una certa trepi• dazione, giorni e giorni, che Zeta mi scrivesse, sia pure un biglietto, per ringraziarmi. Ho sempre avuto questa debolezza: di provare una specie di delusione quando la mia cassetta delle lettere in portineria è vuota del tut• to: anche un giornale che non nù interessa, una cartolina illustrata, bastano talvolta a rendere festoso il mio ritorno a casa. In quei giorni la speranza di veder.e biancheggiare una lettera oltre il vetro della cassetta si fece ansiosa addirittura. Ma Zeta non mi scrisse. Un mese dopo, all'incirca, tornando il mio amico Esse dalla città dove abitava Zeta, mi raccontò di averlo incontrato e che Zeta era stato molto contento del mio articolo. Ha molta simpatia per te --:- mi diceva Esse - mi ha parlato dei tuoi racconti; avrebbe voluto scriverti, mi ha detto, ma non conosceva il tuo indirizzo. A poco, a poco, tra i. miei amici ~i formò la convinzione che io conoscessi molto bene Zeta, forse perchè io ne parlavo spesso, appunto come di persona conosciuta; ne lodavo i gusti, le abiFondazioneRuffilli- Forlì tudini. Una volta, per una circostanza che interessava, oltre me, due altri giovani scrittori, uno di loro mi suggeri: - Perchè! non scrivi a Zeta, tu che gli sei amico? E' l'unico che possa aiutarci. - E' vero - risposi - scriverò ·a Zeta. - Ma non lo feci. Mi sembrò troppo difficile rivolgermi a lui con una lettera in cui avrei dovuto necessariamente dir• gli da quanto tempo pensavo di scrivergli, dirgli quanto io lo stimassi: una dichiarazione d'amore, pensavo con falsa ironia. D'altra parte non potevo usare verso di lui, subito, il tono confidenziale che sarebbe stato necessario per metterlo a parte dei nostri progetti. In dieci anni circostanze simili si sono ripetute spesso: ogni tanto qualcuno mi riferiva un'opinione di· Zeta a, mio riguardo; altrettanto doveva succedere a lui; amici comuni senza saperlo facevano sempre più fitta la trama dei nostri singolari rapporti. Ci siamo salvati, per essi, io e Zeta, dalle facili discordie letterarie: forse io e lui siamo sempre andati d'accordo, per lunghi anni, come raramente avviene fra persone della nostra, professione. E spesso in questi ultimi tempi ho pensato che fosse un bene la mancanza di ogni contatto fra noi: la nostra solidadetà - ne sono certo - è stata dure~ vole, perfetta. Inconsapevo~mente, ciascuno pareva rendersene conto, e più volte ho visto con soddisfazione i nostri due nomi citati uno accanto all'altro; per coloro che mi conoscono il mio nome bastava già col suo suono a suggerire quello di Zeta, certamente· senz'altra relazione se non quella, ad essi segreta, della simpatia che ci univa; giacchè non credo di somigliargli, come scrittore. Ora Zeta è morto; e sono: certo di non aver di,tto una bugia con le parole rivolte stamani a Pi: che cioè ero addÒlorato, poichè io e Zeta eravamo stati molto amici. E' una bugia (se è tale) che ripeterò ancora. Con Zeta è morto il migliore dei miei amici; e proprio ora che potevamo stare vicini. Proprio in questi giorni in cui esigenze pratiche mi inducevano a trasferire la mia casa nella sua città. Anche questa volta il destino ha malignamente sconcordato i tempi della nostra amicizia: mi ha di nuovo fatto muovere troppo tardi. Dovrei partire fra pochi giorni, ma credo che ormai farò il possibile per rimanere qui, bcnchè la mia partenza si mostri propizia a tante mie aspirazioni. LIBERO 8/GIARETTI 13

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