Pattuglia - anno II - n. 3-4 - gen.-feb. 1943

Più che auspicio al ritorno di un cinc1na visivo, vero e proprio invito alle immagini vuol essere questo « numero :.. Auspicare un ritorno sarebbe inesatto; non essendo vero, come molti credono, che il cinema muto - eccezione !atta per quei pochi Film considerati orinai classici - sia stato un cinema visivo. • Sin dal 1905 - anno nel quale venne realizzato The great train robbery: la prima vera narrazione dramn1atica» «il cinema divenne un vassallo del t.eat.ro, un mezzo di riproduzione•, scrive lo Spottiswoocle in Una grammatica del film. « Il primo cinema è stato non altro che una imitazione del teatro •, afferma nella Nuova Antologia del 1931 Massimo Bontcmpelli. E cosi affermano autorevoli tecnici ed esteti del cinema, quali Ricciotio Canuclo (L'usine aux images, Parigi 1927) e Germaine Dulac (Le rouge et le noir, Parigi, 1928). Del resto il moderno spettacolo non a torto veniva chiamato Teatro muto: muto, ma non d'immagini, ripetiamo, chè quel cinema in linea di massima - avverte anche l'informato Eugenio Ferdinando Palmieri - « si rifà al linguaggio narrativo e teatrale » e • nemmeno i soggetti originali », nati esclusivamente per lo schermo, « hanno una struttura cinematografica: la parola, cioè, non è nncora immagine. Il racconto si sviluppava per didascalie •: che varrebbe come dire per dialoghi. Invito alle immagini, dunque. E invito urgente, in quanto vitale. Specialmente ora che con il sonoro queste immagini sono venute sempre più perdendo il loro giusto essenziale valore; messe come sono al dispotico servizio e della parola e della musica; dando luogo, fra le altre cose ibride, a quel vieto genere di film musicale in cui la musica stessa, spesso preesistente, rimane elemento esterno del racconto. li cinema italiano infatti - e con esso ogni altro - se vuol affermarsi - come avverte Luigi Chiarini in un vecchio Primato e m Cinque capitoli sul film - «de• ve ricercare il linguaggio cinematografico, deve valersi dei mezzi espressivi del cinema »: immagini, taglio, montaggio, fattori dJfCcrenziali ottici: filmistici e naturali, statici e dinamici. Occorre dare, in altre parole, il valore alle immagini: in modo che l'arte ultima arrivata viva sopratutto cli queste e della loro magia. Così come occorre ridare al teatro il valore e la magia della parola. I film che si sono artisticamente artermati, debbono appunto questo loro affermarsi nell'aver attinto INVIATLOLIHEl1AGINI ud un cinema cosciente di sè stesso dei suoi anezzi e dei suoi in· t.-rinseci valori. Vecli j «·classici»; vedi i tre film sorpresa dell'ultima Mostra del Cinema: La bella addormentata di Luigi Chiarini (dove, forse, si poteva eliminare in parte il dialogo): La sperduta cli lbsen-Lauritzen e Gli uomini de[la montagna di Szots. Un film, di GUIDO ARlSTARC......,0 quest'ultin10, pieno di squilibri ed ingenuità tecniche ( dissolvenze e sovrimpressioni non funzionali, angolazioni sbagliate), ma senza dubbio cinematograficamente significativo (le sequenze del treno, della seduzione, dell'uccisione del seduttore). E vedi gli altri film sorpresa che -hanno dato luogo, nelle oltre Mostre, a giornate inDall'alto: Da "Alleluja,, di Vidor . Da "Viva la vita,, di fejos • Da "Sotto i tetti di Parigi., di Clair FondazioneRuffilli- Forlì dimenticabili di infuocate discussioni: da La terra canta di Plicka ac\ Estasi cli Machaty, da Amore giovane cli Rovensky od Acqua morta di Ruttcn, da L'uomo di Ara11 cli Flaherty a Giovanotto godi la tua giovinezza di Lindbcrg al Bastardo di Lunde e Stcvens. Vedi, inline, gli stessi documentari presentati sempre a Venezia - quest'anno - cli Pasinetti (Venezia minore: dove non una parola spiega l'azione), cli Paolucci ( Cinque terre) e cli Cerchio (Comacc/1io ). Quando non si è cercato d'ispirarsi ad un linguaggio visivo ma teatrale, o comunque letterario, meno è stato il successo, e il film ha deluso l'aspettativa: non solo dei critici (alcuni dei quali, sia eletto tra parentesi, non sonno <listinguere i due diversi e diametralmente opposti linguaggi), ma qualche volta del pubblico stesso. ll quale, ad esempio, ha applaudito quest'anno al cinema S. Marco la bellissima e visiva sequenza della scala in Una storia d'amore cli Mario Camerini, e del medesimo film ho poi dissentito tutta la secondo parte (quella della clinica) che si affida al dialogo. La qual cosa dimostra che pur facendo del cinema cinematografico (definizione chè a qualcuno non piace, ma piace a noi, e, tra gli altri, o Bà-, làzs Richtcr Chiarini e Barbaro) si può fare - e questo sia anche eletto ai produttori e agli esercenti - pellicole nello stesso tempo commerciali; che piacciano al pubblico. Venezia insegna. )(.. Per le ragioni sopra esposte, attingere alle immagini per la creazione di un cinema di natura artistica pura autonoma dovrebbe, deve essere anzi, la posizione e il credo, morale ed estetico, dei critici e dei registi. Dei primi: perchè possano giudicare l'opera Iilmica anche e sopratutto' da un punto di vista filmico; dei secondi: perchè queste opere possano finalmente creare: in modo eia rendere le due parole ci~ nema visivo - come desideravo sin dal 1918 la Dulac - un pleo-1 nasma. )(.. Il nostro invito o, se preferite, la· nostro posizione e il nostro credo non intendono negare, ben inteso - al contrario di come vorrebbe l'ortodosso Arnheim ( • Nuovo Laocoonte » in Bianco eJ Nero) la possibilità di impiego estetico del sonoro: dialoghi, rumori e musica che siano. Il sonoro non segna affatto, per noi, la fine del cinema come arte•. • Come «l'ostracismo assoluto 11lla 3

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