Nuova Repubblica - anno V - n. 23 - 9 giugno 1957

(166) nuewarepal,blica I LUCI DELLA ÌHBAL1'A I CINEMA DISTENSI\TO C E N'E' ·PER TUTTi e a tutti va bene. Facciamo una eccezione per Lassù qualcuno mi mna ( Some body up there likes me) di Robert Wise, perchè si tratta di un discreto film, non privo di mordente e di intelligenza, sulla vita del pugile Rocky· Graziano. Opera, soprat– iutto, ben congegnata, che si snoda correttamente dal- ]' inizio alla fine, e che presenta un buon attore, Paul Newman," nella parte del protagonista. Non ci rivela nulla di nuovo· sui retroscena della boxe americana, né dice con particolare vigore cose già note (del resto, Stanotte - ho vinto anch'io, dello stesso regista e sullo stesSo am– biente non sembrava, pur essendo migliore di questo, un film eccezionale); si accont'enta delle risorse di un collaudato mestiere di sceneggiatura e di regìa, mirando a ottenere effetti di asciuta stringatezza. ( L"ori. Zofi /i(t did,iaralo ili essere l.,o :,·lesso del '19, 1/t!l ·.u e del '4-:)} (Di.~. di Dino lloschiJ Il manipolo degli aJtri film è affatto normale. Su Ri– jifi (Du rififi chez les hommes) di Jules Dassin non vi sarebbe granché da dire se in.torno al regista, é al film, non si fosse a più riprese concentrata l'attenzione pub– blica per ragioni secondarie. Dassin è una vittima del maccarthismo. Costretto a lasciare gli Stati Uniti, cercò produttori in Europa. Li ha trovati. Ce ne .rallegriamo, perché è un uomo ricco di talento. Rififi, poi, è stato te– n~to per alquanto tempo in ghiacciaia dalla nostra cen– sur.à, impensie{it,a per' 1a:. ~ovizi~ ·ài' P~rtic!}lat;i _çorf ·c~i il registà iliustra la tecnica dello scJsào' è Sjmili. ·Tro2P'o pa– lesemente ispirato a Giungia d'asfalto, questo prodotto francese di Dassin può ambire ad un ottimo posto nella Categoria dei film poliZieschi (in -particolare per la mera– Vig'.liosa sapienza tecnica -dell'episodio muto), ma non ha titoli che lo Collochino su un piano diverso: il pessimismo Che sel'peggia · nelle sue inquadrature non esce della, re– .torica di Certò « esisten:Zialism6 » Cinematografico. Se •non ci fosse l'abilità del racconto, finirebbe per annoia– re. Una volta gli spiritosi chiamavano digestivi .i film che fanno divertire e non intendono fàr pensare. Oggi, 19-43-45: terno secco alla ruota di Napoli ____ q 0 ualcuno li chiama disten-sivi. Non valgono molto le de- /j izioni argute di cui vive la critica cinematografica dei quotidiani, ma possono essere spiegate considerando .quale massa di inutile pellicola debbono- sciropparsi quegli in– felici recensori e quale sforzo son costretti a compiere, ogni ·giorno, per ottenere almeno l'attenzione dei let– tori. E· che dovrebbero dire recensendo il secondo Cine– rama, queste fragorose Vacanze in Clnerama votate al solito c.lamoroso successo? Segnalare i brani migliori (il funerale .negro, per esempio, le discese in sci e in bob, gli atterraggi e i decolli della portaerei, ecc.), accen– nare alla puerilità della vicenda turistica, spiegare le astuzie commerciali dei realizzatori, lodare gli sgargianti colori. Che altro? Superato ormai lo choc èella inno– vazione tecnica, dinanzi al Cinerama secondo (così come dinanzi al terzo o al quarto che verranno) si rimane }>er. forza seÌlza argomenti. Lo stesso vale per il Todd-AO e per Oklahoma! di– retto da Fred Zinnemann. Nella congerie degli schermi grandi, con una .macchina da presa o cén tante, il Todd-AO ci sta benissimo e fa la sua figura. Il film no. Zinnemann ha messo insieme una trascrizione· assai moscia del ce– Jèbre musical che m~nopolizzò per anni le scene di Broadway. Sfarzo, musica, canzoni, danze e scenografia bislacca non sono sufficienti a trasformare la eccessiva lunghezza del film in vero interesse spettacolare. Abbiamo lasciato per la fine due film italiani scelti nel mazzo. Non che stiano a disagio fra gli altri, que– sto no. Possiamo solo dire - visto che la cosa riguarda noi d-trettamente e quindi ci siamo affezionati - che sono film di ripiego, mentre avrebbero potuto essere film importanti a loro modo. Il primo - L'ultimo para– diso di Folco Quilici - segue onorevolmente la scìà dei documentari di viaggio di cui gli italiani si sono fatta una specialità. Cioè, mira allo spettacolare, al sug– gestivo, all'insinuante, al curioso. I luoghi (le isole dei/ mari del Sud), il colore e una sottospecie di Cinemascope (eccellenti entrambi), la musica (retorica sino al ridicolo, com'è nelle corde di Lavagnina), tutto contribÙisce allo scopo di acca~ezzare, o scuotere, la fantasia del pub– blico. Solo un piccolo difetto: i realizzatori hanno dimen– ticato di mostrarci la Polinesia. Quel che ci hanno mo– strato è inutile e improbabile come l'Italia vista dal cinem\a americano. Il secondo film - Souvenir d'Italie - rappresenta ]a tipica occasione perduta. Perduta· perchè voluta per– dere. Scegliete tre ragazze straniere e speditecele in Italia. Guardandole muoversi (incontrarsi con gli ita– liani, fare l'autostop, divertirsi, illudersi, esaltarsi infu– riarsi) si poteva costruire una storia coi fiocchi. Niente, invece, nel film di Pietrangeli (un Pietrangeh, ed evi– dentemente non per colpa sua, in vacanza ,intellettuale). C'è solo uno smaccato De Sica, un trio di ragazze insi– pide (meno una, la francese), un gruppetto di attori discreti (Giretti, Cifariello, Ferzetti) e un come al solito ·impagabile Alberto Sordi. Riuniti nella stessa barca fanno del loro meglio per costruire macchiette risapute. Il cofredo tecnico che gli sta intorno ha, per colmo di sventura, l'inconvenierlte di essere scadente: diciamo il co16re (brutto) e la musica (squallida). FERNALDO DI GIAMMATTEO ,BIBLIOTECA THEODO):\ HAUBACH I N UN VOLUMETTO uscito qualche tempo fa (Theo– dor .Haubach zum Gediicht~is) per i tipi della Euro– paeische Vertagsansta.lt di Francoforte sono stati rac– colti ricordi e testimonianze su Teodoro Haubach, diri– gente della socialdemocrazia tedesca durante il periodo di Weimar, assassinato dalla Gestapo nel gennaio 1945. Tra i nomi di coloro che hanno voluto partecipare alla commemorazione dell'amico o del compagno scom– parso, se ne tro'vano di illustri: Lino scrittore come K. Ed– schmid, studiosi di fama mondiale come A. Weber e K. Jaspers; ma le più interessànti tè'St:iriforìianze vanno - ricercate tra quelle degli amici e dei compagni di studi e di attività e_oli.tica. Ne viene fuori una figura m ?l.to più interessante ·'S'\ìl::- piano umano che su quello polit1co, la quale può aVere in certo senso valore paradigmatico per tutto un gruppo della intellettualità tedesca del periodo tra le due guerre. Teodoro Haubach era socialista; fu volontario nella guerra 1914-18, ferito, dirigente delle organizzazioni mili– tari socialdemocratiche (Reichsbanner), alto funzionario d~l governo prussiano di Severing, a .direzione socialista; incarcerato dopo l'avvento di Hitler e rimesso in libertà, si trovò coinvolto nella congiura del 20 luglio; ma molto dal di fuori, perché i militari non si fidavano troppo dei politici. L'essere però il suo nome su_,_µ'nalista di membri del futuro gabinetto tedesco segnò la sorte di Haubach. Haubach, come del resto Scbumacher, era stato vo– lontario nella prima guerra mondiale; e questo fatto è già di per sè molto significativo; come moltissimi altri adolescenti della sua generazione, dalla guerra egli era uscito profondamente segnato. Un altro dei volontari del 1914, Ernst Ji.inger, doveva poi porre la <e mobilitazione totale » come il modello del nuovo stato, e spiegare l'ade– sione dei socialdemocratici alla guerra per il rapporto che essi avevano con le masse, nelle quali era vivo il <e demone » tedesco, cioè i sentimenti più elementari del popolo. Haubach non avrebbe accettato l'impostazione di Ji.inger; ma è certo che anche dopo la guerra, come orga– nizzatore dei Reichsbanner, egli cercava in queste orga– nizzazioni paramilitari, più ché. uno strumento per la di– fesa o la conquista del potere, il senso di una « comu– nità » più profonda tra gli uomini. Le poche pagine sue pubblicate in questo libretto sono conteste di frasi mi– sticheggianti e simboliche; i terribili anni precedenti l'av– vento del nazismo portavano lui, come molti altri suoi compagni, a disperare nei ragionamenti e nelle forze umane, a lasciarsi trascinare dagli eventi, mirando solo a salvare la propria dignità individuale. E' tipica, sotto questo rispetto, la risposta che diede ad un amico che chiedeva a lui, già alto funzionario delle forze di sicu– rezza. prussiane, perché queste non si fossero battute con– tro le bande naziste. « Mai - rispose Haubach - una polizia ha potuto vincere i demoni». Non è il caso di dare un giudizio politico - che non potrebbe non essere severo - su questo atteggiamento mentale, proprio di una classe dirigente estremamente colta e raffinata, ma incapace di esprimere quelle ener– gie vitali che richiede la lotta politica; Basterà notare che il ripudio, da parte degli intellettuali, dei « grosso– lani » miti che attirano le masse si traduce spesso in una paralisi completa della volontà di agire. Sotto questo ri– spetto il dramma di Teodoro Haubach non è soltanto un episodio della storia de1lo spirito tedesco, ma può esser preso come esempio della profonda crisi di tanta parte della intellettualità europea. CLAUDIO CFSA LA LIBERTA' BUSSA ALLA PORTA S ONO passati alcuni decenni tra la prima edizione della Poie-rn.ica liberale di Mario Missiroli e que– sto libretto (Giuseppe Longo, La Ubertà bussa al– la porta - Roma, Centr0 Editoriale dell'Osservatore, 1956); un osservatore frettoloso, che volesse rendersi conto di ciò che questi ultimi decenni hanno signifi– cato per il pensiero liberale in Italia, pÙtrebbe utilmente confrontare queste due opere. Gli argomenti e le idee sono sempre gli stessi; il modello era una volta il li– beralismo ortodosso, quello ehe si copriva con ·il nome di~ Spaventa per nascondere Salandra; ora è, almeno da quello che sembra essere -Fideale del Longo, un li– beralismo di tipo giolittiano. Ma le preoccupazioni - il timore di un peso eccessivo dei pa;titi di fronte al par– lamento, e di un prepotere del presidente della Re– pubblica (allora si. temeva la <( m6narchia socialista ») - non sono cambiate. Su questo libretto che, come dice il suo autore, ccè stato scritto per esprimere alcune idee sulla democrazia. italiana nel dopoguerra », non c'è molto da dire. I pro– blemi in esso dibattuti sono quelli fhe vengono conti– nuamentè trattati sui giornali e sulle riviste politiche; e non si può n~mmeno dire che l'inquadratura storica o teorica sia di qualche pèso. Ci limiteremo quindi ad •al– cune osservazioni. A pag. 54 l'A. mostra di credere che la norma co– stituzionale per la quale ogni deputato rappresenta la nazione intera sia volta a liberare il deputato dalla sog– gezione al partito. E' noto invece che questa norma, che ha avuto la sua prima origine nelle assemblee della prima repubblica francese, era volta a garantire che il deputato non si limitasse alla difesa degli interessi del proprio collegio; le due cose, come si vede, sono mo]_to diverse. A pag. 61 il Longo parla della necessità di rendere il più possibile indipendente l'esecutivo dai partiti; am– messo che il problema, oggi, nella difficile fase di tran– sizione degli stati parlamentari, abbia qualche possibi– Jità di soluzione, che non sia la sostitllzione di una cricca èi notabili ai dirigenti dei partiti, non ci sembra che le soÌuzioni proposte dal nostro autore abbiano qualche ef– ficacia; infatti non introducono nel gioco forze nuove. Sarebbe stato forse il caso di riattaccarsi, a questo pro– posito, alle discussioni che proprio negli ultimi anni si sono svolte in Francia su questo argomento, e nelle quali sono intervenuti uomini politici e costituzionalisti insigni. L'ultimo capitolo del libro (Destra, sinistra, centro) vorrebbe es.sere una diagnosi delle costanti della vita politica italiana, ed è assai più vivace degli altri capi– toli. Il pensiero dell'A. si può condensare in questi pe– riodi: « Abbiamo da un lato una destra inefficiente, dal– l'altro una sinistra efficielltissima. Ciò basta a far ca– pire quanto sia difficile una posizione di centro. Il cen– tro è nato non solo da una necessità di mediazione, che in verità non era abbastanza evidente nella carenza di una vera e pericolosa destra, ma dalla necessità di co– stituire uno sbarramento all'avanzata delle sinistre senza per ciò rinunziare alle riforme» (pag. 138). , Lasciando da parte la frase di prammatica sulle ri– forme, non si poteva descrivere meglio, e proprio dalla penna di un centrista ammiratore di Scelba (v. pag•. 140), la funzione dei governi di centro. Non possiamo che s-◊t­ toscrivere questo giudizio; fa sempre piacere sentire le prop'rie idee confermate da un avversario politico. GIULIO SFSTINI

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