Nuova Repubblica - anno V - n. 19 - 12 maggio 1957

(162) nuova repubblica l LUCI DELLA HIBALTA I LA MANO DEI REGISTI BOLOGNA, aprile S CRITTA da August Strindb.erg nel 1888, Signorina Giulia - rappresentata ~nch'~ssa a q~esto festival n_a– zionale della prosa - e un opera di aspra polemica teatrale e sociale, rinnovatrice, da un lato, dei caratteri unici che domi~avano allora sulla scena, e estremamente cruda, dall'altro, sia nell'impostazione che nel linguaggio. E' intuibile il Senso di rottura dì tutta una serie di. idee e di convenzioni che la commedia inevitabilmente venne a portare in quel teatro e in quel mondo. Tut– tavia Strindberg, la cui vita passò attraverso tutti gli stadi · dell'inquietudine, fino alla pazzia, fu, più che legato profondamente a una determinata conceziohe, un «anticonformista» si può dire per natura, e quindi portato anche., di conseguenza, a delle concezioni e dei modi, per quel tempo, avanzatissi.mi. Nell'ediz'.one pre- · sentata quest'anno, dopo un .lungo silenzio, sulle nostre scene, Luchino Visconti ha forzato quegli accenti di in– sofferenza e di ribellione che, anche se ugualmente duri, erano generici e quasi per nulla indirizzati contro qualcuno e qualcosa in stretta particolarità, a favore di una netta polemica, nella quale, ad -esempio, ha fatto entrare anche il titolo, da lui mufato, certo non a caso, in Contessina Giulia. La forza quasi autolesio– nista e cattiva d·i Visconti, che si accanisce contro il mondo della sua formazione e delle sue origini, ha indubbiamente motivi e spiegazioni che devono ancora essere acutamente esaminati e chiariti. Contessina GiuHa, però, non salva riemmeno nessun personaggio, nessuna speranza; è un quadro di esseri umani - più che di caste e di mondi -, di caratteri colTlplessi che Strind– berg ha creato secondo una morale spietata, e neppure senza tralasciare tocchi romantici o accentuazioni troppo scoperte e limitate, ma con una ampiezza di tratto quanto mai considerevole. L'allestimento di Visconti, dunque, pur nel contrasto (co.sì schematizzato) fra il suo realismo e il suo significato a tutti i costi e quella che è ìn fondo la sottile malinconica di Strindberg, pro– pria spesso degli animi insoddisfatti, ha comunque, tra gli altri, il merito di una cura filologica (la scena, sua, ha un senso e una precisione di alto valore simbo– lico e ambientale, e' i costumi sono anch'essi molto belli) e di un impegno assai rilevanti; egli' ha voluto dare, però, all'opera, dei significati che non sempre stanno dentro 1a loro cornice. Sicurissimi, e molto molto bravi i tre protagonisti: Lilla Brignone così piena di angoscie e anche di interne contraddizioni (certo la più vicina all'idea di Strindberg), Massimo Giretti e. Ave Ninchi (i p.iù fedeli alla furì:iione viscontiana), l'uno crudele e veristico, l'altra solida e piena_ di buon senso. P OLEMICA borghese è anche quella del Shaw di La pro– fessione della siQ-n.ora Warren presentata dalla Com– pagnia Pagnani-Villi-FerzeÙi-Foà. Scritta nel 1893, la commedia è rimasta per lungo tempo vietata, in Gran Bret'agna, per rappresentazioni ufficiali, e ha in~on– trato anche in altri paesi le proibizioni della censura. lndUbbiamente, la storia della on0rata signora Warren grossa proprietaria di case di tolleranza, che educa la fig1ià fra tutti gli agi e in ricchi collegi, perdendola poi alfine, quando la ragazza, pur comprendendo le ragioni deJla madre, se ne stacca, per vivere col denaro di un lavoro -pulito, doveva w·tare contro le convenzioni dì molti ambienti, fin dall'Inghilterra vittoriana. Ci sem– bra ·tuttavia che, tutto sommato, a parte la scabrosità dell'hrgomento - le censure, il più delle volte, non si cura'nò altro che delle sensazioni più superficiali, con rara· Ottusità - ]'opera sia, da un lato, fornita di sani intenti morali e, dall'altro, di una forza d'accusa limi– tata; << Unpleasant plays », Shaw chiamò questa e altre due ·commedie meno interessanti (Le case del vedovo e L'uomo amato daUe donne): proprio non più che spi~– cevo)i, diremmo, e di quell'ironia gradita, in fondo, a coloro cui è rivolta. La regìa di Mario Ferrero non ha, _d'altra parte, approfondito nessun lato particolare, e si 1 è limitata ad una rappresentazione piuttosto piatta, di una commedia assai « teatrale» e ben scritta, antire– torica e coerente. Ci sembra anzi che Ferrere abbia mancato di fondere e legare le interpretazioni dei vari attori, lasciando a Andreina Pagnani, oltre alle buone proV.~ degli altri, il piacere di una caratterizzazione che Fivela già in partenza la cc professione» - e così travi– sando" anche il senso dell'opera - e il gusto di una re– citazione di mestiere, tutta di fuori e non sentita; e a Gabriele Ferzetti una sua spaesata superficialità. Delle qua~i'ro scene di Pier Luigi Pizzi la migliore è l'ultima, l'uffiçio di Vivie; se non altro ha il pregio di essere pen– sata :Jn modo autonomo, senza i·iferi~enti ad altri la– vori, come invece i giardini, il primo dei quali, inlatti, ricorda tropp0, e non' a tono, le scene di Piero Tosi per lo Zio Vania dello scorso anno. Pamela nubile è una d~lle innumerevoli commedie di Carlo Goldoni; ha oltre duecento anni di vita e fu scritta in 'un anno in cui Goldoni -compose altri quindici lavori; anche una mente geniale quale quella del nostro massimo aut.ore teatrale, non potè sfuggire, molte volte, alla mec- flJi.<1. di Vi110 llosclii) Apertura ddle consultazioni · canica e alle banalità del mestiere. Per quanto infatti, in quello stesso 1750-51, Goldoni abbia scritto La famiglia del– l'antiquario, H teatro comico, La bottega del caffè, pro– prio Pamela nubile (a cui doveva poi succedere ... ine– vitabilmente una -Pamela• maritata) non è certo delle migliori, ed alquanto inespressiva, ad esempio, in que– gli stessi elementi che altrove risultano efficacissimi. Giacomo Colli, che l'ha messa in scena per jl Piccolo · Teatro di Torino (o e< Teatro Stabile», come ora si dice), ha accentuato anzi i lati comici, forse per vivifi– carla un po'; le scene, assai modestamente realizzate, erano di Mischa Scandella; belli i costumi; gli attori, alcuni piacevoli, fra cui Vittorina Benvenuti, Lucia Ca– tullo, Mario Ferrari, Leonardo Cortese, Gabriella Gia– cobbe, altri senza dubbio meno che medio.cri. Luigi Pirandello è stato ricordato al Festival bolo– gnese; dopo che da Ma. non è una cosa seria, dal Teatro Regionale Emiliano coi Sei personaggi in cerca d'autore e dal GAD « II dramma» di Ancona - invitato dell'anno quale vincitofè"::delle rassegne di Pesaro e di Reggio Emilia - con Così è (se vi paroef Le due opere sono fra le più note del commediografo siciliano, e la prima, in modo particolare, riteniamo cont~nga i dati e le espres– sioni fondamentali del pensiero~ dell'autore. Non ci sembra comunque sia qui il caso di analizzare ancora le due commedie; a Pirandello, del resto, accennammo già a proposito dello spettacolo, inaugurale. 11 G.fi.D, diretto da Livio Arena, autore anche delle scene, e per la regia di Aldo Buatti, ha dato del Cosi è una versione abbastanza tradizionale, anche se, c...ome da qualche _tempo va accade~do, piuttosto jncline ai toni caricatu– rali; nei limiti ben presenti della sua stessa natura, ad ogni modo, il compl~sso non ha deluso. Molt_issime in– vece erano le ambizioni di Turi Vasile, regista dei Sei personaggi: egli voleva essere quasi più metafisico della commedia, voleva andar oltre le necessità, 11; ragioni e l'essenza dell'opera, con inutili, pericolosi e in fondo sbagliate interpolazioni a base perfino di rock and roll. Così, ad esempio, anche se ha dato ascolto ad una di– dascalia dell'autore raramente seguita, mettendo la ma– schera ai protagonisti della cc c6mmedia da fare », in realtà, facendo conto sul· fatto che oggi purtroppo il pubblico, se raramente applaude di vera gioia, ancor più ha perduto lo spirito e il coraggio di fischiare, Va– sile ha ambiguamente e banalmente sforzato tutti i toni e i valori, e ha dimenticato, soltanto, che Piran– dello non ha bisogno, per esser moderno, vivo, efficace, di nuova inodernità, di nuova intelligenza. Gli attori, tutti logicamente un po' smarriti, sono stati alcuni effi– caci, come Mario Pisu, Enrico Glori, Raoul Grassilli, Antonella Vigliani, Luciano Rebeggiani, altri decisa– mente insufficienti; Diana Terrieri, in particolare, nei panni della figlfastra, è stata fantomatica ed astratta, im- precisa ed errata. _ Un'altra invitata al Festiv.a1, la Compagnia del Cen– tro teatrale dell'Università di Parma, ha presentato, dopo numerose rappresentazioli.i in altre sedi, il Miles gloriosus plautino, per la regia di Gianfranco Ferri e con attori attenti e volonterosi. La serata, che avrebbe avuto una piena giustificazione qualora le si fosse data una impronta decisamente culturale o didattica (ma– gari facendola precedere da una conversazione, almeno di inquadramento storico, in quella stessa sede) è ri– masta solamente uno svago per al.unni e insegnanti di tutti gli istituti scolastici bolognesi. Nei suoi limiti, è senz'altro un successo anche questo; ma le ricerche filologiche del regista - cui non hanno corrisposto né una adeguata forza teatrale, né una scena concreta ed esatta - e la natura stessa dello spettacolo sono ri– maste alquanto incerte e, ana fine, incomprese, proprio per quel pubblico cui chiaramente erano indi"riz~ate. GIACOMO GAJIIBETTI 7 • n1nr,1o•u;cA * UNA CITTA':DEL SUO: MATERA S APPIAMO tutti che per impostare e definire concre– tamente alcuni problemi storico-sociologici del Me4- zogiorno, per intenderne altri immediatamente poli– tici, abbiamo bisogno di monografie locali, che sfruttino per una moderna problematica i risultati della vecchia e spesso meritoria storiografia municipale, che spieghi– no le notevoli differenze da ~ona a zona, che restitui– scano senso e movimento storico all'asserita e pur vera immobilità sociale: quale altro, se pure solo su un piano d'interesse attuale, il monito della diagnosi della Mol– fetta 1899 3d opera del Salvemini? In una indagine sobria ed equilibrata, che inizia ltb ovo ma è orientata giustamente alla comprensione dei fatti del secolo scorso ed odierni, cerca di rispondere ora, per una delle zone più depresse ed indicative del Mezzogiorno, Matera, il saggio storico di Francesco Nitti (Una città det Sud: Matera. Unrra Casas, 1956). La caratteristica fondamentale di Mat~a odierna è data dalla fra11tutna4ione della proprietà terriera; 1837, una settantina di piccoli proprietari; 1955, milleseicento– quindici le aziende da zero a cinque ettari: un'opera accanita e costante dell'erosione, che trova solo conclu– sione provvisoria con gli ultimi scorpori, in una società generalmente povera di circolante, con una ricca varietà di mezzi leciti ed illeciti; un capitolo assai interessante e per molti aspetti ignorato della storia agricola del Mezzogiorno. La frantumazione ha effetti piuttosto giuridici e d'ambito individuale, che sostanziali e sociali: il rassodato medio ceto rurale, specie del secolo scorso, conferma l'antica assenza dalla terra; non un nuovo ceto nasce, ma infit– tiscono e si complicano le suddistinzioni del contadiname attraverso le numerose figure di piccolissimi proprietari– braccianti, in una dispendiosa irrazionalità di rapporti, che incide notevolmente sul carattere e sullo slancio delle lotte popolari. Sicché non vengano mutati, ma isteriliti i rapporti di classe: nelle due condizioni reci– procamente estranee di · « civili » e .: cafoni », quanta ricchezza di minimi gradini che si perdono nel grigiore anonimo del penare la vita quotidiana! Quale e quanta circolazione di vita economica e spirituale pos~a articolarsi in una società siffatta, è facile dire: ingenuamente, ma amaramente il Nitti os– serva che sui fumetti avviene il primo contatto tra le mentalità della più povera gente dei Sassi e dei civili del piario. Che è forse affermazione currenti cal.amo e super– ficiale, o un momentaneo indulgere dell'autore alla mitica concezione astorica' del cosiddetto « mondo contadino», o trascurare Certi oscuri ed irregolari travagli spirituali popolari, che pure nella vicina Tricarico sono il sostrato su cui nasce uno Scotellaro: ma insomma quale sti.:u– mento più idoneo del fumetto per gerieraUzzare e livel– lare nella deficienza scolastica, nella determinata carenza di scuole professionali, nella mancanza di una cultura che abbia funzione specifica per i giovani, nell'ostinata sopravvivenza dell'analfabetismo (1951: 3681 analfabeti su 15.191 abitanti dei Sassi)? Si sa che il difficile dello scrivere storia locale è nel puntualizzare i fatti cittadini e distinguerli dagli avve– nimenti generali senza ~romperne. i nessi: pure chi legge il profilo del Nitti non penserebbe allo stato, spagnolo o borbonico o nostrano, se non. fosse la ripetuta esplo– sione delle rivolte contadine « tumultuarie ed incoe– renti », che accompagnano, quasi a prenderne coscienza, ogni grosso rivolgimento generale. Su quesie rivolte, spesso bestiali, il Nitti mostra di condividere l'opinione ormai anziana' dello Schipa, che le considera sfoghi d'odio senza sbocchi: pure la pensosa m'editazione sto– rica che per quelle almeno dei Seicento ha compiuto il Pepe, vedendo una rozza ma pure esistente lotta politico– sociale e ponendo implicitamente sollecitanti problemi di confronto con gli ultimi tempi, e che il Nitti cita, impor– rebbe anche per questo caso una più sicu_ra ed attenta storicizzazione, con le annesse· distinzioni. E' questo l'aspetto più tragico della storia di Matera e del Mezzo– giorno: l'isolamento fra le classi sociali è anche conse– guenza dell'antico isolamento geografico-politi~o. E' oggi la situazione mutata? nelle conclusioni, ric– che di dati ed utilmente· meditati dai politici', il Nitti a ragione 10· nega. <e Le riforme in parte attuate, non rie– scono ancora a rimuov~re l'antico assestamento sociale ... L'opera dello Stat,j ... continua vana, perchè è un'opera esteriore ed astratta in, quanto espressa dal di fuori e rivolta a modifica;e le forme di vita di una società, che resiste a tutti gli esperimeilti innovatori» (p. 55). E' questione di tempo? dall'esame dell'opera del Nitti, dallo svolgimento storiCo dei Problemi appare chiara– mente di no: nè l'Unica o principale deficienza di metodo è nel. rifiuto della impopolarità per la presenza di fini immediatamente elettoralistici. Ma a che pro ripetere o ammodernare vecchie cri– tiche di meridionalisti? o non dovremmo rimasticare per qualche parte avvizzite osservazioni sulle riforme borbo– niche o dei napoleonidi? Ben altro discorso meriterebbe l'attuale situazione dell'organizzazione contadina, nella quale il Nitti pone a ragione le sue speranze, e le_ cui complesse vicende si seguono nel libro con commozione. Sono vicende ricche di imprevisti, non lineari, ma pre– ziose alla storia: tanto per un modesto esempio; la ger– minazione nel 1907 d'una sparuta Sètta protestante dei Battisti dalla polemica vana della lega dei contadini contro il clero locale è deviazione dal fondo della lotta, sperpero o forse ac~uietamento di energie, ma insieme dare coscienza della solidità del blocco storico. Il discorso però si estenderebbe assai al di là del coufini di Niatera. GIUSEPPE ANDRIANJ

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