Nuova Repubblica - anno V - n. 11 - 17 marzo 1957

(154) nuo11a repubblica LUCI DELLA RIBALTA ESORDIO DEL FESTI\T AL ·1L VII FESTIVAL nazionale del1a prosa di Bologna si è inaugurato il 7 marzo scorso. alla presenza del Sottosegretario on. Brusasca e delle autorità citta– dine, con una buona rievocazione pirandelliana - pur non priva di accenti mondani - tenuta da Eligio Pos– senti, e con la presentazione, da parte della « Compa– gnia Italiana di Prosa Andreina Pagnani-Olga Villi– G3brie1e Ferzetti-Arnoldo Foà », dei tre atti di Ma non è una cosa seria, del· 1918. Anche questa. come altre opere del drammaturgo siciliano, ha un'origine letteraria, da una novella scritta nel 1903, « L3 signora Speranza )), che denunciava già negli avvenimenti e nel taglio di molti brai:ii una pre– cisa rispondenza scenica. Tutti i problemi dell'uomo ·moderno, tutte le incertezze, perfino tutti gli atteggia– menti pseudo - intellettualistici del nostro immediato dopoguerra, hanno nelle opere di Luigi Pirande!Io una anticipazione e una loro rappresentazione. Ma non è ·una cosa seria si inserisce pienamente nel quadro, pre– sentando con esattezza· gli elementi della filosofia e del– rintuizjone rinnovatrice dell'autore. Il secondo atto, al riguardo, è di un'importanza fondamentale, conser– vando e chiarendo gli indispensabili e naturali pro– cedimenti dialettici, fusi, poi, con lo svolgersi del lin– guaggio teatrale; i di~corsi sulla logica, il sentimento, Ja pazzia vera o supposta, la normalità dell'anormale, assumono una concatenazione drammatica che è spon– tanea e logica e che per esprimersi si giova, appunto, di una tecnica assorbita e normale, quasi- nella suc– cessione e sotto il profilo degli avvenimenti più tradi– zionali. E, così, può anche ·sucCedere, poi,. che le psico– logie dei vari personaggi non siano particolarmente approfondite o significative, ma, piuttosto, dialettica– mente poste in seno all'analisi ·di uri modo di vita, e quasi all'interno del1a denuncia di una particolare e diffusa conaizfone-c.11e1•autore non può che affiar8.– mente condannare e, nel contempo, auspicare si risolva stcondo il criterio migliore e più comunemente inteso come normale e consueto .. Ma non è una cosa seria è una delle poche opere di Pirandello in cui il lieto· fin~ sia chiaro e non limitato o addfrittura negato d3 un atteggiam~nto ·ironico o da interne ma evidenti con-' traddizioni; t.uttavia tale esito non lo si può che inten– dere, anche qui, soprattutto nel senso di un auspicio profondamente e veramente moralistico, e amaramente sentito, nei confronti dell'atteggiamento «svuotato» di tutta una società~ · Luigi Squarzina lo abbiamo trovato altrove, come regista, più profondo, più attento e soprattutto più misurato. Il · suo allestimento, naturalmente, è assai digni~oso e non privo di un gusto preciso e di una sua armonia, avendo, anche, dei momenti di felice intui– zione poeti.ca . Ma egli ha falsamente accentuato, in modo caricatufale o addirittura da bassa pochade, qµasi tutti quei toni e quei personaggi della commedia che, pur prestandosi in _superficie ad una esagerazione del genere, sono nella realtà e. ·nella sostanza assai lon– tani da tali caratteri. Pirandello non è nè può mai venire inteso ·in maniera « ridicola », ma sempre uma– nissima e commista, semmai, ad una dolente amarezza. Quasi tutti gli attori hanno ubbidito comunque allo spirit0 in cui Squarzina - senza tener conto, poi, del– l'esistente progressione drammatica che si svolge dal– l'inizio alla fine dell'opera - ha realizzato la comme– dia; Ferzetti, in particolare, non ci è sembrato, a volte, troppo convinto, ma frettoloso e un po' superficiale/. al di là del suo stesso personaggio; e poi Pani, Maria Pia Tempestini, Vera Corvin; del tutto efficace è stata invece Olga Villi, un'attrice in lento ma sicuro perfe– zionamento, un'interprete di cui il nostro teatro ha bi– sogno; fosse stata un po' più « interna » nel primo atto, senza ricorrere a marcati atteggiamenti esteriori, sa– rebbe stata senz'altfo perfetta. Mentre le sCene di Gianni Polidori e i costumi di Ebe Colciaghi sono stati efficaci e pienamente funzionali, e gli altri attori del tutto rispondenti alle necessità, non possiamo fare a meno di sottolineare la prova validissima di Arnoldo Foà, un attore di rara intelligenza e di non coinune bravura: tutta l'ultima scena, di fronte all'incontro ri..: solutivo fra Memmo e Gaspara, Foà l'ha resa attra– verso un riservatissimo gioco ·di sg\lardl e di espres– sioni visive, con una misura e Con una acutezza di straordinaria efficacia. Secondo spettacolo del Festival, Il diario di Anna Frank, presentato dalla ·Compagnia De Lullo-Falk– Guarnieri-Valli. Riferito al libro della piccola ebrea, (Dis. di Di110 8o$chi) CENTRISTI DI FERRO - u Mi piego ma non mi spezzo! H la riduziòne in due tf:mpi e dieci quadri di Frances Goodrick e Albert Hackett è discutibile, anzitutto nella scelta degli episodi. Anche dopo che sia stata accettata, come. noi l'accettiamo, questa forma d1 teatro narrativo presenta comunque dei pericoli e dei limiti, soprat– tutto di sentimenti e di atmosfere,. che devono essere inevitabilmente tenuti presenti. Là realizzazione sce– nica di una situazione così paradossale e pur cosl viva, così straordinaria e pur così umana e iicca di fermenti ideali e di puri aneliti ha costretto gli autori ad \lna accentuazione e a una caratterizzazione sia di fondo - appunto negli elementi rappresentati - sia nelle psicofogie. Essi cioè• sono stati costretti quasi per forza di cose a qualche forzatura di toni, o a un condensa– mento di situazioni e di pensieri che nella realtà e nel Diario· d_i Anna àvevA,no inve_çe uno svolgim~n!.o n~tu– rale. quotidiano, prendendo fo1~ma e evidenza r a poco a poco, spontaneamente, in ,un quadro ideale che an– dava 'pianarri"én.t.é componendosi. Documento ricco (li vitalità e di 'profondità di pensiero, vero di una verità quotidiana fatta delle contraddizioni e dei caratteri di un'adolescente immèrsa in un mondo così diverso da quello che er3 stato fino' a poco prima .l'ideale per i suoi giochi e la sua quieta esistenza, il Diario di Anna è nn'analisi acutissima fatta da un'intelligenza fuo.ri del normale, eppure - e questa è la sua seconda gran– dezza - del tutto umana e vicina a noi, ai problemi dei ~ovani, come a quelli degli adl:!lti, a quelli del nostro mondo e di un mondo iaeale'- di giustizia e di pace neila cui mancanza e per la re3.lizzazione del quale Anna e i suoi e milioni di uomini sono morti. T OTTO questo nella riduzione teatrale c'è, in particc:r lare, soltanto attraverso la suggestione della lettura delle frasi del Diario, fra un quadro e l'altro; fi-asi che, se pure non dànno degli elementi compiuti ed esau– rienti, e sono prive, poi, di uria rappresentazione con– creta, restano comunque di altissima evidenza e, so– prattutto, in Stretto ·rapporto con la evidenza dei sin– goli episodi. Gli autori, indubbiamente con grande ri– spetto e con sentito pudore, hanno cercato innanzitutto di fare opera di divulgazione e di rendere il meglio possibile lo spirito del Diario e l'atmosfera di quegli anni e di quelle situazio.ni; soltanto, hanno puntato un po' troppo, come si è accennato, a dei dati di fatto già formati o a aspetti apertamènte caricaturali che - privi delle altre sfaccettature e delle altre rispondenze esi– stenti nel libro - rischiano appunto di fuorviare l'at– tenzione di ,uno spettatore non bene informato. Giorgio De Lullo non ha ancora, come regista, una personalità precisa. Un po' lento, non ben ritmato nel– l'incalzare doloroso e spietato degli avvenimenti, lo spettacolo ha comunque una sua inevitabile sugge– stione, a cui la scena di Polidori dona nuova ricchezza di emozioni. De Lullo attore è stato, a suo onore, suffi– .cientemente umile, misurato, efficace. Annamaria Guarnieri, bra\rissima, ha in taluni momenti ecceduto nei toni di voce più alti, quando viceversa degli accenti sommessi sarebbero stati del tutto credibili; · appena inferiori Luca Ronconi, Nino Marchesini, Diana Tor– rieri. Di Romolo Valli diremo che si avvia a diventare uno dei migliori interpreti della nostra scena, seguendo Je indicazioni di una recitazione misurata e quotidiana, scevra di effetti e ricca di consapevolezza interiore: se vog_liarno_..f~re dei nomi, a parte Eduardo, possiamo ri– cordare quelli di Salvo Randone e di Paolo Stoppa. GIACOMO GA!IIBETTI ·7 MATERIA ECRITICA _D'AR di ENRICO CRISPOLTI I L RECENTE volume di Corrado Maltese, Materiaìi– smo e Critica d'arte («L'Incontro», Roma, 1956), ha soprattutto interesse per le sue intenzioni pole– miche. Il Maltese, allievo prima di Pietro Toesca, Quindi di Lionello Venturi, è stato per alcuni anni, a Roma, critico d'arte dell'Unità. Successivamente il suo pensiero ha cercato di svincolarsi dalla « routine » dell'ortodossia alle direttive di partito, .ed ha 'tentato uno svolgimento proprio, seppure sempre soltanto collaterale a quello del « marxismo-leninismo » ufficiale italiano, con il risul– tato tuttavia di notevoli divergenze nella pratica valu– tativa. Riproponendo ora riuniti in volume i risultati di queste ricerche personali (sono saggi di quasi un de– cennio, dal '47 al '56), il Maltese intende evidentemente presentarli come possibile alternativa per una critica realista che voglia e sappia prescindere dalle « impasses » e dalJe grettezze della critica d'arte militante del PCI. Dico subito che le ragioni addotte dal Maltese non sollo così nuove da sortire dall'ambito di una polemica locale, assai limitata, né del resto mi sembrano scienti– ficamente rilevanti. Toccano tuttavia alcuni punti che sono alla base di qualsiasi sforzo di liberazione dai Ji– miti di una critica estetizzante di marca e di discen– denza idealistica, e, giacché è questo lo sforzo attuale di tutta la più vigile e consapevole cultura italiana, sarà bene analizzare le ragioni che tuttavia limitano forte– mente l'efficacia e l'entità de11'intervento del Maltese, non ·dunque neU'ambito di questa locale polemica revi– sionistica, che non ci riguarda, bensì su di un piano più largo di utile discussione culturale su basi effettivamente laiche e democratiche. Ne avremo qualche chiarimento per una più precisa nozione di ciò che deve essere una Critica effettivamente nuova, e, se si vuole, veramente «realista». Da un foglio ufficiale di cultura del PCI, da Il Con– tefflPOraneo (a firma di ·Antonello Trombadori, numero del 29 dicembre 1956) si è lamentata la «reticenza» del Maltese di fronte all'impegno di una precisa scelta nel– l'ambito della· problematic"a. artisticà d'oggi, almeno ita– liana: evidentemente si sarebbe preferita una aperta di– fesa del C( neorealismo», O « realismo » che sia," ed· una altrettanto aperta condanna dell'« astrattismo» e dei cosiddetti « astratto-concreti ». Di fatto il Maltese non dà ragione né agli uni né agli altri: limita il proprio di– scorso su Mirko e su Guttuso al '47, e tace sia delle vi– cende del « realismo », che della problematica degli «Otto» (l'unico aFtist.a seguito fino a data recente - 1955 - è Leoncilio). La chiave di questo .atteggiamento si può forse reperire nel saggio ·dedicato ai padiglioni USA ed URSS nell'ultimà Biennale veneziana (pp. 59-67). Il « realismo socialista » sovietico, nel suo conformistico accademismo pedestramente ed uniformemente esem– plato sUlla tradizione naturalistica europea tardo-otto– centesca, non aderisce affatto alla realtà odierna del• l'URSS, C'he esso pur pretende di esprimere e rappresen– tare nel migliore dei modi (« Il problema è invece di ritrovare l'autenticità realistica del linguaggio dell'arte, di ritrovare la capacità di riflettere il mondo nella com• plessità, nell'urto e nella soggettività stessa, oltre che nella oggettività, de11e sue contraddizioni», p. 61), men– tre· le contradizioni di correnti ed ·atteggiamenti, dal realismo mimetico all'astrattismo, all'« automatismo» pol• lockiano, rappresentano fedelmente le contradizioni deHa città e della società USA, anzi persino della città e della società moderna (è questa « l'universalità dell'opera d'arte .... coqseguenza del suo realismo», p. 15). Perciò le opere presentate a Venezia dagli artisti USA adem .. pion0 fedelmente ad un impegno di « realismo » ( « ... si sarebbe notato come nessun gruppo di opere rifletta più p\·ofondamente e spregiudicatamente i contrasti e i sen• timenti della vita di oggi quanto il gruppo dei pittori americani raccolti attorno al tema della città», p. 60). « Dov'è il realismo?» (p. 67) chiede quindi ironicamente il Maltese al termine. del saggio. « Realismo» dunque ove si rifletta autenticamente una condizione sociale, ove sia rispecchiata fedelmente una realtà sociale e morale: realismo come impegno morale, non dunque come indicazione inderogabile di un reper•. torio formale d'ordine mimetico-naturalistico. Il « reali– smo» è quindi identificabile soltanto nella « misura .. in cui l'opera riflette gli ideali, i sentimenti e i bisogni più alti degli uomini» (p. 15). E si può senz'altro rinunciare « a concepire la forma realistica come necessariamente legata alla fedeltà ottica. (o plastica) dell'immagine» (p. 60), il realismo potendo configurarsi anche in termini formali « astratti », cioé non esemplati slllla tradizione naturalistica ottocentesca, strettamente figurativa. In. nome del « realismo » sarà quindi possibile accettare in tutta la lo~o contradittorietà così l'« astrattismo>) di un Kline, o di un Mueller, e l'« automatismo» di un Pollock, come il mimetismo veristico di un Hopper, di un Murch, o di un Tooker, come infine il «surrealismo», non meno mimetico, di un Gonzales · o di un Albright. Evidentemente il Maltese rifiuta una scelta definiti– (segue a pag. 8, 3.a col.)

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