Nuova Repubblica - anno V - n. 11 - 17 marzo 1957

(t54) nuova repubblica 3 PER UN NUOVOORIENTAMENTO DELLA'POLITICA INTERNAZIONALE LE CINQUE IPOTECHE La soluzione •migliore per l'Europa sarebbe una zona elastica ed articolata di equilib1·io e di contenimento tra l'Unione Sovietica da un lato e gli Stati Uniti, la Gran fl)retagna e fors'anclie la Francia dall'altro. Una zona: il cui indirizzo poli1ico non potrebbe essere sénza rapporto con quello dei paesi afro-asiatici di I[ I N SOSTANZA, col pas~are degli· anni, la politica estera italiana è venuta via via ripiegando su se stessa, trascurando di effettuare uno s~orzo in pro– fondità di fronte al muta-è-e della situazione internazio– nale. A questa carenza hanno certamente contribuito alcune di quelle che possiamo definire le « ipotec'he » della politiça estera italiana. A titolo indicativo, ne elenchiamo alcune: 1) L'ipoteca interna. E' la più grave di tutte, e da considerarsi pienamente valida, se. un commento può farsi sull'atteggiamento del governo e dei partiti politici che lo appoggiano sui fatti d'Ungheria. Del. resto, q4esta impostàzione è stata confermata ufficialmente, anche se su di un piano generale, da un collaboratore vicino al ministro Martino, quando ha affermato, in una intervista concessa al settimanale romano Il Punto: « Oggi non si può fare una politica esterà se non sulla base dei risul– tati di una efficiente politica interna ricca e feconda di forze morali. E' perciò senza fondamento la pretesa di valutare il potere di propulsione .e di realizzazione della nostra politica estera prescindendo dal grado raggiunto ·nel processo di ricostruzione della nostra vita nazionale». Stabilito questo rapporto, è evidente che il giudizio da dare non è più sulla politica estera, ma sulla effettiva « efficienza » della politica interna. 2)L'ipoteca di_ Trieste. L'affare triestino ha gr.avato pesantemente sulla politica estera italiana per molti anni, provocando non pochi sussulti neg1i stessi rapporti çon le po~enze occidentali e impedendoci una valutazione ap– profondita del fenomeno titoista e del suo significato in campo internazionale·. Tale atteggiamento tornò, alla fine, a nostro esclusivo svantaggio, essendo ormai storìca_mente provato che una più intelligente valutazione della posi– zione jugoslava nel 1949-50-51 (abbozzata parzialmente da Sforza) al posto dell'irrigidimento sulla dichiarazione tripartita del 1948 - per non parlare dell'avventura guerresca di Pella nel 1953 - avrebbe portato a una solu– zione della questione triestina più rapida e a noi più favorevole di quanto avvenne nel 1954. Anche in questo caso, si tratta di una ipoteca valida ancora oggi, i nostri rapporti con la Jugoslavia essendo venati tuttora ·di so– spetto ideologico e viziati dall'assolut'a volontà di non impegnarsi sul piano politico. Vi sarebbe da chiedersi invero il perché non si sia mai pensato a una visita uffi– ciale a Belgrado, quando i rapporti di tutte le potenze occidentali con il regime titoista sono da temp.o su questo piano. 3) L'ipoteca antibritannica. Può sembrare fuori luogo rammentarla, ora che la Gran Bretagna ha assunto, nella crisi medi~orientale, un atteggiamento criticabile sotto tanti aspetti. In realtà, questa particolare remora della politica estera italiana giocò profondamente nel determi– narne l'indirizzo e talune reazioni sentimentali, sia n~lla questione triestina, sia in quella delle colonie, sia in quella della unità europea. Basata su certi sedimenti nazionà.1- fascisti della opinione pubblica italiana e di numerosi ambienti dirigenti, la polemica anti-inglese contribui no- .. tevolmente a determinare quell'indirizzo para-americano quasi esclusivo che ha costituito una c0stante della poli– tica estera italiana di questo dopoguerra, e che generò in taluni la valutazione erronea che si potesse arrivare a Washington trascurando Londra e che, all'evenienza, il Dipartimento di Stato avrebbe preferito uno stretto rap– porto· con l'Italia alla ormai tradizioriale alleanza con la Gran Bretagna. Errore che potrebbe giocare ancor oggi qualora si supponesse, nélla crisi dell'organizzazione atlantica, di poter assegnare all'Italia, in Europa, una posizione di punta in funzione pressoché esclusjvamente filo-americana. 4) L'ipoteca degli indirizzi contrastanti. E' noto che sulla polìtica estéra italiana hanno agito, nel Periodo postbellico, forze e gruppi spesso in opposizione. Ci fu– rono', ad esempio, contrasti tra Sforza e De Gasperi, che continuò ad occuparsi direttamente di politica interna– zionale pur quando aveva lasciato il ministero degli esteri. Sforza era, in linea di massima, favorevole a una stretta intesa con la Francia, mentre· De Gasperi, anche in ràpporto alla comunità degli indirizzi dei -partiti demo– cristiani dei due paesi, tendeva a una intensificazione delle relazioni con la Germania. Que.sto contrasto finì per non riuscire a comporsi sufficientemente, cosi da non permettere all'Italia quella azione. mediatrice tra Fran– cia e Germania che avrebbe potuto essere nostro speci– fico ti_tolo di merito. L'avvicinamento franco-tedesco, che oggi è sufficientemente avvenuto, si è realizzato indipen– dentemente dall'azione italiana. Non possiamo, infine, che fare accenno alle varie correnti esistenti in seno a Palazzo Chigi, e all':innegabile autonomia di giudizio in fatto di politica estera: che, dopo l'inSediamento di Gronchi, ha' inteso riservarsi la presidenza della repubblica. VIT-TORIO ORI LIA 5) L'ipoteca di Palazzo Chigi, E' questo un punto estremamente delicato. Ci limiteremo a esprimere qual– che dubbio sulla « diplomatizz~zione » della Politica estera italiana avvenuta negli ultimi anni, nel senso cioè di una accentuata trattazione delle questioni internazio– nali attraverso i normali canali diplomatici e burocratici. Il criterio può essere valido dal punto di vista del me– todo, ma è innegabile che ne sia seguita una rivaluta– zione di più di una -personalità del mondo diplomatico per lo meno compromèssa nella sua passata attività. Ne è derivata una certa sclerosi ·nella diplomazia italiana, a danno di elementi più giovani e più sensibili alle realtà attuali. E ne sono state danneggiate, crediamo, anche le ultimissime leve di Palazzo Chigi. Va -notato, tuttavia, che un miglioramento generale dei servizi del nostro mi– nistero degli esteri è reso difficile dalla poca importanza ad esso data riel bilancio dello Stato, che assegna al no– stro servizio diplomatico soltanto lo 0,90% del totale delle spese, mentre già prima della guerra la percentuale era dell'l,50%. I partiti italiani e lii politica estera Se vi è una usura nella politica estera italiana, essa ha- bisogno di nùove forze, di nuovi punti di appoggio, che vanno trovati e- al di fuori e all'interno della nostra situazione politica. All'esterno, inserendosi· nei nuovi svi– luppi dei rapporti internazionali, e avvicinandosi a quei paesi e a quei grtÌppi politici che meglio caratter'izzano questa evoluzione; all'interno, immettendo nel nostro al– teggiameilto nei Confronti della situazione internazionale nuove idee e avvalendosi di nuovi contributi nella defini– zione della nostra posizione. Chi può foi-nire questi nuovi contributi? Trascuriamo i movimenti di destra dello schieramento Politico italiano. Essi non possono apportare che un con– tributo di reazioni sentimentali comunque legato al pas– sato. Trascuriamo anche i comunisti, che non sembrano al momeu.tP,..attuale in grado di elaborare una linea poli– tica suffici~rftemente elastica per essere almeno commer– ciabile. Malgrado i fermenti che agitano la base, la linea ufficiale del partito continua .id essere ricalcata, in poli– tica estera, su quella dell'Unione Sovietica, con tutte le c0ntraddizioni ritardate che ne derivan0. Restano i partiti della attuale coalizione di governo e il partito socialista italiano. Dei primi, i liberali, con l'àppendice repubblicana, sono fermi in politica estera a una posizione di tipo atlantico ed europeistico delle più arretrate. Le posizioni dei democristiani sono più sfu– mate e vanno da Pella, simile ai liberali nel suo atteggia– mento, a Fanfani, moderato atlail.Ìico, sino al sottinteso neutralismo della «Base». E' certo comunque che nel– l'ambito del partito democristiano esistono forze che pos– sono contribuire a un rinnovamento della politica estera italiana. La stessa Chiesa cattolica non sembra aliena da certe valutazioni di notevole ,apertura, specie nei con– fronti dei_ pàesi ex-coloniali e so.ttosviluppati. Vi è poi la posizione particolare di Gronchi. E' chiaro che un contributo sostanziale dovrebbe ve– nire da un eventuale partito socialista unificato, anche perché l'azione di quest'ultimo non potrebbe non inse– rirsi nel quadro generi:Ìle di una politica dèi partiti socia– listi europei, politica che ·vierie faticosamente definendosi su alcuni punti. Fatte le debite eccezioni per il partito socialista francése, e per la socialdemocrazia italiana, esiste infatti una certa convergenza tra i vari partiti so– cialisti europei sull'impostazione dell'unità tedesca e della sicufezza europea, e sulla necessità di sviluppare i rap– porti con i paesi sottosviluppati, e di favorire la lotta di emancipa~ione dei popoli ex coloniali. Assai meno chiaro è l'atteggiamento dei vari partiti socialisti nei confronti della destalinizzazione, che rientra in una problematica tuttora in corso di elaborazione. Disgraziatamente, la politica estera è uno dei settori in cui le posizioni della socialdemocrazia italiana da wia parte e del partito socialista italiano dall'altra appaiono tuttora assai divergenti. La socialdemocrazia è in netta posizione di polemica antisovietica e legata all'atlantismo e all'europeismo di vecchio modello. Il partito socialista italiano si è mantenuto a lungo in una posizione di vago neutralismo; dal quale solo attualmente sta cercando di uscire, dichiarandosi disposto ad accettare una interpre– tazione ristretta della collaborazione occidentale, rifiu– tando l'europeismo di tipo tecnicereconomico, accennando sorùmariamente ai rapporti con i paesi ex coloniali. E' troppo poco per la definizione di una politica e al tempo . stesso troppo per i socialdemocratici. Quali che siano le forze effettive su cui potrà basarsj, in quale direzione potrebbe realisticamente muoversi una politica estera italiana che volesse agire in modo più ader·ente alla situ3.zione internaziop.ale del momento·r Non è facile offrire delle alternative efficaci. in una situazione tuttora parzialmenté obbligata come ·l'attuale. Occorre innanzitutto una valutazione obiettiva dei fatti. e cioè: l) Il tentati V-o,;la Parte dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti di venire a una ripartizione direttà e front~le delle zone d'influenza. . " 2) Lo ~vilupparsi sempre più chiaro dei paesi ex– coloniali afro-asiatici come forza politica autonoma, non ancora organizzata, ma comunque non neutralisticarnente passiva, bensì attivamente operante. 3) Il failimet'lto dei tentativi di cooperazione atlantica e di unità europea, cui fa riscontro una certa incri– natura nel sistema sovietico. 4) Il riconoscimento che, malgrado la crisi in atto, l'Italia rimane un paese in cui la maggioranza è soli .. damente orientata in· senso occidentale. L'atteggiamento recente della politica estera italiana rivela appunto .una errata e limitata valutazione dei rap– porti internazionali odierni, quali si vanno sviluppan-do. Le grandi direttrici della competizione mondiale tra St;;ltl Uniti e Unione Sovietica non muovono certamente verso l'Europa, ma bensì verso l'Asia, l'Africa, il Medio Oriente, dove questa competizione già si svolge, sul piano poli- tico, economico e ideologico. · L'Europa dunque viene a trovarsi e più dovrebbe trovarsi in futuro, dopo i suoi ultimi fallimenti, in· una posizione seconda.ria. Non del tutto a suo danno, tuttavia, poiché la situazione ·potrebbe evolvere in senso favo– revole, se non alla .pote_nza, alla tra11,quillità relativa del vecchio continente. In altri termiili, in Europa Po– trebbe verificarsi - e si sta già in effetti verificàndo - un processo contrario a quello in corso nei paesi afro– asiatici. Mentre colà tentano di delinearsi delle zone di influenza a danno delle forze locali (impegnate in una dura lotta per mantenere almeno parzialmente la loro autonomia), in Eu,ropa. sta avvenendo un lento sfasa– mento delle zone d'influenza, proprio perché queste non sono state in grado sinora di dare una soluzione soddi– sfacente ai problemi del continente. Quanto è avvenuto in Ungheria e in Polonia ha un significato preciso in questo senso. E val la pena di notare anche certo prudente atteggiamento, nella ultima crisi, della Germania occidentale, sempre preoccupata del suo probiema fondamentale, quello unitario. Infine, esi– Stono delle posizioni di autonomia ormai consolidate nel nostro continente, anche se in diverso grado e con diversi rapporti vèrso i due blocchi: quelle dei passi nordici, ad esempio, o queUe della Jugoslavia e dell'Austria, pet· non parlare del cas"o particolare della Svizzera. Per contro, i recenti atteggiamenti della Gran Bretagna e delJa Francia sembrano stare a indicare come quei paesi cbn– tinuino a dare, a scapito dell'Eui:opa, un valore preml– nente ai propri interessi c0loniali o imperiali, parti– colari comunque. Qui potrebbe delinearsi una soluzione. Nel senso cioè di ricercare quale potrebbe essere la composizione di una zona elastica ed arti.colata di equilibrio e di conle– ni?nento, in- Europa, tra l'Unione Sovietica da un lato e gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e fors'anche la Fr:an– cia dall'altro. Una zona it cui indirizzo politico non po~ trebbe essere senza rapporto con quelio dei paesi afro– asiatici. Intendiamoci bene. Non si tratta qui di una pura e semplice neutralizzaziope dell'Europa, che potrebbe an– Che condurre alla sua caduta in mano sovietica (aSpi– razione tuttora sottintesa nell'ultima proposta di Bul– ganin). Le stesse caratteristiche dei paesi considèrati, alcuni effettivamente neutrali, ma ideologicamente orien– tati a occidente (come l'Austria, la Svizzera e la Sv~zia), altri legati da accordi· politici ed ecoDomici (Polonia, Ungheria) o da affinità ideologiche (Jugoslavia) all'URSS, altri infine legati politicamente all'Occidente (Germani:1, Italia, Danimarca, Norvegia), renderebbero impossibile un neutralizzazione pura e. semplice. Si tratterebbe invece di costituire un sistema, articolato il più possibile e riel quale non dovrebbe essere impedito agli uni e agli altri Stati di ·mantenere i loro particolari legami politici ed economici. Escludendo naturalmente, anche se con uno sviluppo progressivo, i rapporti militari d'ordine speci– fico (basi). Entro quest'ambito, e s·olo entro di esso, sl può dare una soluzione stabile del problema tedesco. Si tratta, evidentemente, di uno sviluppo a lunga sca– denza, e che pl:esuppone il mantenimento della dis.ten• sione internazionale. Né la elaborazione del concetto della fascia neutrale comporta di necessità, che l'Italia debba farne parte. Questo per rispondere a coloro che recalcitrano di fronte alla paura dell'« isolamento» del nostro paese, e che· preferiscono illudersi su di un patto che comun()y.e, al momento attuale, non garantisce affatto (segue a pag. 4, 3.a col.).

RkJQdWJsaXNoZXIy