Nuova Repubblica - anno IV - n. 53 - 30 dicembre 1956

(145) nuova repubblica MOSTRED'ARTE IN ITALIA BIENNAI~E E QUADRIENNALE D ALLA pubblicazione del mio primo articolo suJla XXVIII Biennale (NR, n. 43, 21 ottobre 1956), ove affrontavo con ampiezza i problemi organiz– zativi proposti perentoriamente dalle condizioni di crisi emerse nell'ultima edizione della manifestazione vene– ·ziana, due importanti interventi sono comparsi nella stampa italiana, contribuendo ad allargare ulteriormente ,n dibattito: di Lionello Venturi, su L'Espresso (4 no-– vembre 1956, n. 45), e di Antonio Del Guercio, su n Contemporaneo (17 novembre 1956, n. 45). Oltre ad al– cune utili nuove precisazioni di C. L. Ragghianti (in seleARTE n. 26, pp. 51-53), soprattutto in merito alle '°pinioni espresse sull'argomento da M. Valsecchi (Il Tempo, Milano, 23 agosto e 24 settembre 1956), e da C. Brandi (H Punto, 8 settembre 1956), a loro volta in– tente in buona parte a discutere le precedenti indica– zioni e proposte offerte dallo stesso Ragghianti (sele– ARTE n. 24); ed oltre ai~ suggerimenti di V. Martinelli, su Commentari, n. 3, 1956 (già apparsi su ll Punto del 23 giugno 1956). Dall'intervento del Venturi (una lettera aperta al pittore Mario Penelope, in risposta alla richiesta di con– sigli in proposito) apprendiamo che la Federazione na– zionale degli artisti intende presentare al governo ed al parlamento un progetto di statuto per la Biennale ve– neziana. E' perciò più che mai necessario dibattere pub– blicamente e senza reticenza alcuna il problema della nuova struttura e dei compiti della Biennale (come del– la Quadriennale romana), prima che governo e parla– mento abbiano ad occuparsi della questione. Incontra sempre -.maggiori consensi l'opinione che Biennale e Quadriennale debbano distinguere assai net– tamente i propri compiti, e che selettiva sia la prima (che cioè la partecipazione italiana si adegui alla se– lettività delle partecipazioni straniere, alle quali inoltre deve uniformarsi anche quantitativamente), ed invece . aperta a tutti gli attuali episod_i della nostra cultura ar- tistica sia la seconda. Il padiglione italiano a Venezia non dovrà più incombere con littorio, balordo sfoggio di presunta superiorità culturale sui padiglioni stra– nieri, bensì ridursi anch'esso a brevi personali per in– vito di pochi artisti (il Venturi pensa addirittura 10 o 15; io· ripropongo la cifra approssimativa di una tren– tina, per evitare il pretesto di nuove deleterie « rota– zioni»: presentare invece ogni volta i trenta migliori artisti italiani, con riferimento al panorama culturale degli anni interessanti quell' edizione della Biennale). E' utile mantenere una ridotta sezione per ammissione sotto giuria nel rinnovato padiglione italiano? Il Ven– turi ed il Del Guercio pensano di sì: magari anche solo 50 opere in tutto, aggiunge Del Guercio. E' vero che così si potrebbe « rendere giustizia a qualche gio– vane », ma è operazione pericolosa perchè si rischie– rebbe di finire, stando le inevitabili pressioni anche locali, per immettere nella Biennale dei giovani effetti– vamente non dotati, oppure degli artisti mestieranti, neppure giovani, ma ben « raccomandati ». Per i nuovi o per i rilanciati basterà la Quadriennale romana, di– venuta anch'essa finalmente biennale (altra opinione che raccoglie molti consensi)! Buono il suggerimento di Del Guercio che la commissione-inviti faccia visite negli studi per documentarsi efficacemente. Ma chi dovrebbe dirigere il padiglione italiano? E come dovrebbe essere costituito il direttivo dell'intera Biennale? La minuta di statuto sottoposta da Penelope al Venturi prevede che presieda la partecipazione italiana una sottocom– missione nominata dal Consiglio d'amministrazione, e formata da cinque artisti e da due critici d'arte. Il Ven– turi si oppone (ed è ormai. pacifica la necessità di eli– minare l'ingerenza dei sindacati da organismi con com– piti di giudizio qualitativo: ve'di ora anche le adesioni di Ragghianti e Del Guercio) preferendo un commissa– rio, sostituibile ogni due anni, responsabile palesemente ed inequivocabilmente della costituzione del padiglione italiano. Del Guercio preferirebbe invece mantenere la sottocom~issione, ma invertendo il rapporto numerico dei suoi membri: quattro critici e tre artisti, e dando poi praticamente il potere esecutiVo ad un presidente 1·esponsabile, contròllato pe·rò dai membri della sotto– commissione. A me sembra invece assai opportuna la nomina di un commissario responsabile, e magari, forse meglio, di un commissario e di un vice-commissario re– sponsabili, affiancati da una commissione tecnica (però di tutti critici), meramente consultiva ed in ogni modo non responsabile. Il Venturi ha· anche toccato il punto del collega– mento fra i commissari dei padiglioni dei vari paesi: dovrebbero formare tutti insieme una commissione tec– nica internazionale, direttamente responsabile di cia– scuna edizione della Biennale. Il collegamento necessa– rio nel lavoro dei vari commissari sarebbe compito del segretario generale (che è giusto sia, come scrisse Rag– ghianti, un « funzionario per pubbliCo concorso nazio– nale »). Ottima proposta, che faciliterebbe la indispen– sabile organicità critica dell'intera esposizione, come la serietà' delle grandi retrospettive '(avevo molto insistito su questo punto). I sindacati dovrebbero avere invece ingerenze e fa– coltà di controllo nel Consiglio d'amplinistrazione, come (Dis. di Di110 Boschi) Le diable au corps insiste giustamente Del Guercio. A proposito dei foncli, che il Consiglio d'amministrazione dovrebbe ingegnarsi in ogni modo di accrescere, Ragghianti ha sottolineato a ragione la sperequazione dei contributi statali fra gli enti autonomi italiani per le arti figurative: 150 milioni alla Triennale milanese, 60 alla Quadriennale romana, e soltanto 40 .alla Biennale ve11eziana, che è pure,· ov– viamente, -altrettanto -che la Tr-ienna-le, una manifesta– zione internazionale. La direz~~e de1la Biennale dovrebbe essere unita– ria, e nelle ·lfiahi di un unico Consiglio direttivo, come suggerisce Ragghianti. E' importante che resti chiaro il valore internazionale della Biennale veneziana, come giustamente insiste il Venturi. Si è anche proposto che il rinnovato ente autonomo della Biennale, e, parallela– mente, quello della Quadriennale romana, siano resti– tuiti ai Comuni delle città che li ospitano, e che i ri– spettivi -sindaci ne siano i presidenti: così pensa Del Guercio, e già scrisse Valsecchi. Si oppone a ciò, ritengo giustamente, Ragghianti; e si può aggiungere alle sue ragioni che ciò accrescerebbe il perLcolo di ingerenze politiche e culturali anche locali. Biennale e Quadrien– nale dovrebbero mantenere una forma di autogoverno con sovvenzioni statali, come di enti locali, ma con pie– na autonomia culturale. L A PROPOSTA di rendere biennale la Quadriennale romana ha sempre maggiore credito (e vi aderisco– no ora anche Ragghianti e Del Guercio), come pure la necessità di un organico coordinamento culturale fra le due manifestazioni. La rinnovata esposizione romana dovrebbe essere ad invito e per giuria, e con esclu– sione di retrospettive, ritiene Del Guercio. lo preferirei costringere tutti sotto giuria, anziani e matricole (e con opere tassativamente recentissime), ma mantenere le retrospettive (che siano veramente critiche e serie pe– rò) sia di singole personalità che di interi movimenti: pochissime retrospettive, ma sufficientemente ampie e di effettiva utilità. E' importante anche il collegamento fra 1a manife– stazione romana e mostre regionali. Del Guercio ha ri- . preso la proposta di Brandi di far precedere la mani– festazione romana da mostre regionali selettive, de– legando sostanzialmente a giurie locali (elettive, e per Brandi di soli critici, per Del Guercio di critici e di artisti) il compito · di decidere dell'ammissione nella << Biennale » romana. Il problema va considerato più attentamente e dettagliatamente. L'idea delle mostre re– gionali è buona, ma escluderei senz'altro le giurie regio– nali e locali, che avrebbero fra loro facilmente dìfferenti Pesi e misure. Ritengo piuttosto utili mostre regionali libere con non più di cinque pezzi a testa. Una o due giurie nazionali che dovrebbero visitare queste mostre e giudicare delle possibili ammissioni a Roma (le giurie comunque dovrebbero essere sempre elettive: elettori i giudicandi). Ci auguriamo di riprendere presto il di– scorso per vagliare altre nuove proposte, tanto più che buona' parte dei suggerimenti avanzati sul n. 43 di NR a proposito delle definizioni di un organico piano cul– turale dei due enti artistici italiani non sembra essere entrata ancora nel crogiuolo della pubblica discussione. Mentre anche di ciò occorrerà ·parlare, e con tutta chiarezza. ENRICO CRISPOLTI 7 B l n LI O!l' E e A * ALGERrA FUORILEGGE I L LIBRO Algeria fuo1-ileoge dei eoniu~i CoJette < Frnncis Jeanson (Milano, l?eltrinelli, 1956) consen tirà al lettore italiano, alla luce dei fatti esposti neJ. J'opera collegati con quelli recentemente accaduti, di spie– gare se non di giustificare Je remore e gli errori dclii: classe dirigente !rance8'0. li libro dei Jeanson non è, come s'usa dii·e, un'operr «obiettiva~- E' opera di parte; intende costituire un do– cumento a favore dell'anticolonialismo e del diritto delle genti all'autogoverno. Uno degli a·utori lo confessa aper– tamente nelle prime pagine introduttive: « Non ho alcuna pl'Otesa di guardare il problema algerino dal di fuori: non s.i può guardare dal di fuori i propri problemi. Non mi sforzerò di essere imparziale: non vedo come un cit– taclino francese potrebbe esserlo, dal momento che le gio– vani l'eclute del Bcrry, dell'lle-de-France o dell'Artois vengono inviate laggiù a mitragliare in suo nome la po– polazione civile di quattro djpartimenti :>. Il problema al- - gerino non vi è dunque esposto con distacco e con fred– dezza, perchè il libro vuol invit.aJ'e all'azione, smuovere quanti sono incerti, impegnarli nella lotta, chè della gra– Vitii della situazione nord-africana sono un po' tutti i francesi responsabili. La prima pal'te dell'opera è dedicata a un richiamo storico, in cui sono esposti i fatti che portarono la Fran– cia ad insediarsi in Algeria. Si risale al 1830 per giun– gere fino ai giorni nostri attraverso una esposizione ne.r– vos..'l.,passionale, faticosa .a volte per lo stile, di eventi documentati con passi di giornali dell'epoca, manifesti e mozioni di movimenti politici, dichiarazioni di persona– lità autorevoli. In quest'esposizione, larga parte è data alle atrocità commesse, 11ell'azione di conquista, dalle truppe foancesi: saccheggi, furti di terre, violenze carnali, incendi di villaggi con donne e bambini. Gli autori han voluto in tal maniera presentare l'aspetto predominante della conquista, ignorando o negando ogni aspetto posi– sivo della colonizzazione francese. Uno storico zelante po– trebbe ovviamente chiedere quale fosse la situazione del– l'Algeria prima del 1830, e se la colonizzazione, così come è avvenuta, sia frutto solo della potenza del colono o non anche della debole'l,za del colonizzato. Ma, in un'opera così concepita, non è il caso di soffermarsi su affermazioni troppo affrettate; vale invece cercare di comprendere per quali vie si sia giunti ali'« e1:npasse :,· attuale, nonostante le realizzazioni che i francesi e gli europei hanno compiuto laggiù e di cui essi soli hanno in massima parte bene– ficiato. Qui si pone il p1'0blema dei rapporti tra la « pré– senco française » e i mussulmani, del peso che hanno avuto nelle recenti vicende il «neo-colonialismo» e la figura di Jacques Cbevalier e dei suoi amici (si pensi a quanto acradde il 6 febbraio scorso al momento della no– mina del generale Catroux). Allora sarà facile replicare con Colett.e e Francis Jeanson, a chi spartisce equamente diritti e doveri, meriti e colpe tra le due comunità, e asserisce che solo quaiche gn1ppo estremista è responsa– bile dell'attuale tragedia - donde la « pacificazione> del– la Francia repubblicana -, che chi fu costretto a darsi alla macchia e alla guerriglia il Lo novembre 1954 fu il mussulmano disperato di non poter ottenere le riforme richieste pet· vie pacifiche, che chi domandò invano la riforma dello Statuto fu il mussulmano, mentre per la « présencc > si trattò prjma di un .Problema di repressione poliziesca, poi di operaZione militare. E occorrerà sotto– linea1·e, anche, l'incoscienza e l'astuzia di certi esponenti del neo-colonialismo nel dar rilievo, in mala fede, esclu– sivamente al lato economico e sociale del problema per _ evitare le riforme politiche, premessa per qualsiasi altra riforma, anche economica e sociale. ;Ne11a pa1-te centra,le del libl'O vi è un'ampia biografia dei partiti e movimenti politici d'Algeria. Il lettore poti·à rendersi conto dei vari aspetti di queste Ionnazioni po– litiche, delle loro debolezze, e del modo in cui il coloni•a– lismo cost1·ingendo alla lotta armata, riuscì ad accanto– narle.' I Jeanson, nel presenta.re la storia del nazionalismo algerino, rilevano la parte di responsabilità. avuta da ~es– sali Hady negli sviluppi che diedero luogo alla s1tua– .r.ione presente, cose che già i lettori di Esprit conoscono dagli scritti di Desche.zelle e Guérin, . . Le ultime pagine sono cronaca pressochè d1 qu~sh giorni; e 1-a passione e il. calore degli autori ~el ri_chfa– marla, accompagnandola con una document~z1one mtel– ligente ed opportunamente scelta a favore d1 una parte: costituiscono forse il maggior difetto del libro: quello di voler forzatamente convincere. E' questo un metodo che può anche irritare; ma tenuto conto dello scet~ici~~o e dell'indifferenza che pervade molta parte dell op1mone pubblica per alcune tragedie dell'm~nanit~, non s! può dire che questa maniera di presentare 1 fatti coraggiosamente, evitando ogni facile compiacenza, sia nociva. Per un la– voro storico più pacato ed obbiettivo, ~uguri9:~oci_ ven: gano tempi in cui gli uomin_i no~ abb1a~o .p1u dmanz1 a loro 1a soluzione di drammi cosi angosc1oro. ANDf;EA FAGIUOLI L'ECO DELLA STAMPA UFFICIO DI RITAGLI DA GIORNALI E RIVISTE Direttore: Umberto Frugiuele Milano, Via G. Compagnoni 28 Corrisp. Casella Posta!e 3549. Telegr. Ecostampa

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