Nuova Repubblica - anno III - n. 12 - 29 maggio 1955

IIUUl'ir c~puuuuc;a 7 LUCI DELLA RIBALTA I Si dice eh~ i soldati americani attual– mente in Austria si trasferiranno in Italia) NEO-SEGNORINE - Intanto ho cominciato a ripassare l'inglese ( Dts. dt Dino Boscru), Pratolini verso la storia D I METELLO (Firenze, Vallecchi 1954) si pa!'la, ormai, da parecchi mesi. E' stato discusso, inter– pretato, giudicato. E sembra ahe non si possa aggiunger più nulla alle proposizioni critiche espresse in modi e sedi diverse; non resta che abbandonarsi ancora una volta, dopo il fuoco delle questioni, alla lettura, in attesa di nuove rivelazioni, o meglio, di nuove impressioni. Ma è, forse, ancora necessario un giudizio critico più aperto e sicuro, al di là della polemica, dello zelo apolo– _getico e del rifiuto « ideologico ,. Al di là, vogliamo dire, della passione di certa poetica « realistica>, che ha parlato di questo libro come di un luogo importantissimo della narrativa italiana contemporanea; e della incomprensione «tendenziosa» (altrettanto, e più tendenziosa) di certa critica « fom1ale > che ha lamentato l'abbandono dei temi lirici, di memoria, evocativi, del prec~ente lavoro prato– liniano. Libro nuovo, per gli uni, e esemplare; libro a tesi, intenzionale, velleitario per gli altri. A porre fine al con– trasto non c'è che da ripetere un'osservazione pertinente, e trascurata. Si deve parlare di continuità nella novità, per questo ultimo Pratolini. Non c'è dubbio che l'autore del Quartiere e anche di Cronaca familiare o delle Crona– che di poveri amanti ha superato alcuni temi della sua ispirazione tradizionale: la poesia del «quartiere:>, il limite della trasfigurazione lirica, la materia della « memo– ria>, il ricorso all'immedesimazione fantastica dei fatti, la sua « int3mporalità > (o incantata patina del tempo). E' passato dalla «cronaca> alla «storia>, dal « qua,·tiere > a uno « spaccato » di storia italiana; dalle « memorie > alla contemporaneità critica e insieme rappresentativa; da una lingua evocativa a una lingua di rappresentazione. Tutto questo non può essere messo in dubbio. Il pro– gresso non è dato soltanto dalle intenzioni, che non man– cano, dal gusto di storicizzare, per esempio, la vicenda, di giudicarla dall'alto di una conquistata esperienza sto– riografica, vorremmo dire (nel libro sono presenti veri e prop,·i «estratti> di documenti storici) ; il gusto, cioè, di oggettivare la materia in uno spazio e in un tempo che non sono soltanto uno spazio e un tempo di una misura interio,·e, cli introspezione o di ricordo lirico. Anzi, proprio a cominciare da questa particolarità si potrebbe sottolineare la forza con c1ù Pratolini ha saputo impo– stare l'organismo narrativo. E' sulle qualità dell'opera che noi diamo un giudizio positivo: si tratta cu un lavoro meditato, paziente. Se prima Pratolini aveva dato la impressione di \ma facilità melodica, di una qualità di prosa memorialistica o autobiografica o evocatoria, di fan– tasia, dobbiamo essergli grati, ora, di aver· depurato il suo lavoro· di ogni sottinteso fuorviante, anche se aperta– mente commemorativo. II tempo, il «passo> della narra– zione è di chi vuole racC'ontare in un complesso di ragioni -strutturali, di esigenze storiche e· di stimolo morale pro– fondo. Si potrebbe aggiungere che a questa calma storico– narrativa (ai manzoniani « fatti da raccontare> esem- 1)1arrnente tenuti p·resenti) non viene meno neppnre una scioltezza narr.ativa nuova, un respir-0 più .atten,to al qua- BibltotecaGino Bianco dro oltre cbe ai particolari, più attento a certi nessi com– positivi che alle atmosfere o analogie «poetiche». E' qui, secondo noi, che si misura la novità del libro. Non è inutile, tuttavia, insistere, sui difetti: le intenzionalità di certi gesti o avvenimenti, perfino didattiche; la debolezza di certe soluzioni storiografiche (diciamo in sede narra– tiva, e ane11e prima, in sede di ricerca) ; il perdersi in momenti episodici o in bozzetti e « presentazioni > biogra– fiche di alcuni che potevan essere «personaggi», nelle scene o nelle congiunture collettive. Senza dubbio q\1esta · « storia italiana > è, come dicevamo, uno « spaccato », una « trancb'e » storica (con quel che comporta di 1·iclolto, natu– ralistico anche, cioè non veramente critico), più che una tela ampia e forte, un registro di vicende e sofferenze stori– che, di storia e di fede (diciamo pme di epos). C'è ancora • un aspetto psicologico, una curiosità particolare, un sopras– salto sentimentale, a Yolte, in questo romanzo di storia, in questa im·enzione collettiva. Psicologia storica, si potrebbe aniscbiare in una formula, che cerchi di pene– trare dentro queste «vite> e questi episodi. Ma certo ci sono gli elementi per un romanzo compiuto, aperto a uno sviluppo esemplare che Pratolini, ci darà: il tempo del racconto a volte troppo vissuto ma spesso disteso nella na-rrazione, secondo una cadenza forte, positiva (tempo oggettivo, conquistato, che cresce con gli avvenimenti, che si apre sulla realti,) ; i personaggi - e Metello, il primo uomo della storia - còlti nel loro ambiente, ancora per un residuo di dolcezza insieme naturalistica e lirica, in una «comunione:,, di persone, ma già attaccati a fatti e dati precisi, e risolti nell'azione; il movimento del rac– conto non allusivo o descrittivo, ma accentrato nelle azioni fondamentali, sentimenti e avvenimenti: la fiducia nel proprio lavoro, e la propl'ia dignitì,, la lotta, la fraternità politica e sociale, la serenità affaticata e appassionata della vita. Sentimenti essenziali e rischiarali, nel libro, da una luce di limpida, energica partecipazione da parte di Pra– tolini, che accentua, anzichè turbare, la persuasione poe– tica di molte parti. Pratolini si avvia ad essern «storico:,, di sè, senza abbandonare i suoi temi: la freschezza, la sua. «salute>, la sua passione evocatrice, il naturalismo fanta– stico di paesaggi e azioni sciolti nel tempo. Ma si tratta cli un tempo più vigoroso e sicuro nel suo svolgersi,. non affidato al sapore «locale>, alla linea melodica, alla memoria. Dobbiamo sottolineare, conclusivamente, questa preparaz-ione di Pratolini a una tale narrativa, fuori di ogni formula intenzionale, in maniera non disinteressatamente formalistica.. Sappiamo che Pratolini ha voluto t,Sprimere un suo giudizio della realtà, anche se ancora limitato e insidiato, una narrativa cbe sia reale, i.1manamente certa e oggettiva; sappiamo ·che preferisce il difficile camnùno di un « realismo > manzoniano a una facile (angosciata o felice) elegia del tempo; e per questo lo ringraziamo. Se saprà continuare verso questa direzione, si accor– gerà che questa « educa,lione :o alla storia e alla realtà è il suo più vero cammino di uomo ·e di scrittore. GIANNI SCALIA CINEMA IL SEGNO DI VENERE I L FlLM E' STATO IDEATO e condotto ;. termine molto tempo prima che il sottosegretario Séalfaro, nel corso di una conferenza stampa tenuta lo scorso sei d'aprile e passata ormai nella piccola storia del cinema italiano, così definisse il primo requisito dello spettacolo cinematografico: « divertire, ricondurre a un maggiore ot– timismo e a una visione più serena della vita l'umanità che ha affrontato le fatiche, le sofferenze, i disagi di una giornata di lavoro>. E tuttavia Il ugno di Venero potrebbe, quasi quasi, essere additato ad esempio del par– lamentare democristiano se a frena1·e gli entusiasn,i cli quest'ultir-no non intervenissero le « doverose riserve mo– rali > avanzate dal Centro cattolico cinematografico ( il film è classificato « Adulti con riserva »). Resta però il fatto, abbastanza significativo, che Il segno di Venere è stato scelto a rappresentare, accanto al documentario Continente perduto, l'Ital.ia al reéente festival di Cannes. E se ab– biamo potuto salvare il buon nome del nostro cinema (all'estero viviamo ancora di rendita) lo dobbiamo agli organizzatori che hanno ,,oluto «invitare> L'oro di Napoli di De Sica. Preso a sò Il segno di Venere è un filmetto innocuo -.i, se vo_gliamo, persino abbastanza divertente. Considernto nell'incerto momento attuale, è un allarmante sintomo di una situazione ben pii, pericolosa delle idee programma– t.iche doll'on. Scalfaro perchè, sia pure senza cbe i suoi autori ne avessero esatta coscienza, ha attuato quelle idee ancor prima che venissero espresse. Il fatto ò che, a ben considerare, l'on. Scalfaro non ba detto nulla di nuo,·o nulla che non fosso nell'aria da. molto tempo. Le sue pa~ role sono cadute su un terreno già pl'Oparato ad accoglierle e ll segno di Venere ne costituisce purtroppo la prova. Ecco infatti un imponente sforzo produttivo (il fior fioro dei nostri soggettisti, sceneggiatol'i e attori) al servizio di un film che, pur partendo da uno spunto tutt'altro che spregevole, si adagia nella più piatta t.-ivialità. Siamo su un piano superiore, d'accordo, dei vari Totò all'inferno, Orient Exvress, Attila, La co,·tigiana di Babilonia, Gli amori di Manon Lescaut, Le due orfanelle pe1· citare sol– tanto alcuni titoli dei film italiani, o di coproduzione, pro– grammati nello ultime settimane in molte città. Il guaio è che Il segno di l'enere è tutto quello che di meglio può, o vuole, offrire in questo momento la nostra industl'ia ci– nematografica. Eppure, come accenna, amo poc·anzi dall'idea che è alla base del soggetto elaborato da Luigi Comencini, Fran– ca Vale,·i e Edoa,·do Anton, si poteva ottenere qualcosa di più. Pensate: il piccolo dramma della ragazza bruttina in cerca di marito, che s·illude di aver soltanto l'imbarazzo della scelta e non s'accorge - o se n'accorge tl'Oppo tardi - che nessuno la vuole. E vi è anche, a cor,trasto, il per– sonaggio della cugina a c1ù la provocante bellezza impe– disce di essere amata per quello che, nonostante le appa– renze, essa è in rcalti,: una braYa e semplice figlio1a. Di queste due sapide figul'Otte si sono impadroniti ben otto sceneggiatori, tutti espertissimi del mestiel'8: ognuno ha vo– luto <lire la sua, raccontarn una sua viccnduola, inserire una t,·ovatina, abbozzare una macchietta. A furia• di in– f?ltire e di rimpolpare il copione si è avuto il ris1ùtato opposto a quello desiderato: il film è svanito fra le mani degli autori sbriciolandosi in un'infinità di episodi, alcuni dei quali sono ridotti addirittlll'a a una ba,·zelletta. Lo stesso è accaduto por i due personaggi principali: la figura della bella cugina (Sopbia Loren) si ,·a facendo sempre pii, inconsistonle .e alla, fine si perde del tutto; l'altra, quella della ragazza brntta, si sah·a in pa~te, ma solo per l'intelligente recitazione di Franca Vale,·i, nonostante le nuoccia l'evidente derivazione dagli sketche.t del Teatro dei Gobbi. II colpo di. grazia lo hanno poi dato gli altri interpreti, tutti di gran. nome e bravi simi, proprio per ecces.~o di bravura o, se più vi piace, mania di strafare': Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Raf Vallone (questi in verità più misurato dei colleghi), Vir– gilio Riento, '11na Pica. Il giovane Dino Risi si è dimo– strato regista di troppo debole polso per tenere a freno le loro esuberanze. Di quello che Il segno di Vene,·6 avrebbe potuto essere (un quadl'O ironico o anche patetico della piccola borghesia, ad esempio), non sono rimasti che i frammenti. Alcuni conservano ancora un po' di luce della originaria arguzia: troppo fioca, per evitare il fallimento. ALBERTO BLANDI

RkJQdWJsaXNoZXIy