Nuova Repubblica - anno II - n. 13 - 5 luglio 1954

-------------~--------=--N:....::U:....:O=-:...V..:.::A~-R:_:E:_:P:_U:_:B::_B:_:L:_:l'.__::C~A:__ __ --=-- ___________ _:__ __ 7 III. PAGINE DICULTURA CONTEMPORANEA Dallo scoppio deJJa prima guerra mondiale alla " grande depressione " Fin dagli ultimi mesi del 1914, quan– do si diffuse la convinzione che la guerra, immobilizzata nelle trincee sa– rebbe stata assai lunga, e avrebb; ri– chiesto la mobilitazione generale di tutti gli uomini atti alle armi e la mobilitazione civile di tutte 1.' forze produttive, si fece strada dovunque la persuasione che era necessario organiz– zare quel tipo particolare di economia a cui si dà appunto il nome di « eco– nomia di guerra». PIANIFICAZIONE EC OMICA La prima a porsi su questa strada fu la Germania: fin dall"agosto 1914 \X 1 alter Rathenau aveva sottoposto allo Stato Maggiore Generale un piano, da lui ideato, di mobilitazione indu– striale, che dopo brevi discussioni fu presto accettato. Esso comprendeva la creazione di sezioni delle materie pri– me d"importanza militare (che per una intera nazione in armi sono poi quasi tutte le materie prime). Queste Sezioni avrebberò avuto la facoltà di requisire la produzione interna e gli stocks, di fare acquisti all"estero, e di distribuire tutte le materie in tal modo raccolte dando la preferenza agli usi per scop; strategici. Il controllo statale fu esteso alla distribuzione, all"impiego e alla disci– plina della mano d"opera; agli scambi con !"estero e in parte anche all"inter– no, al credito e finalmente ai consumi disciplinati col mezzo delle requisizio'. ni, dei prezzi d'imperio e del raziona– mento non solo delle derrate alimen– tari di prima necessità, ma anche de– gli oggettì di abbigliamento di uso più comune. In Inghilterra e in Francia, dov"era più tenace la tradizione di una econo– mia individualistica, si coltivò più a lungo che in Germania la fiducia che le necessità di guerra potessero essere soddisfatte senza venir meno ai prin– cipi e alla pratica della libertà econo– mica. Ma dopo breve tempo si vide che quella conciliazione non era possibile e si finì per organizzare l'economia di guerra in forme non molto diverse da quelle della Germania. Anche l'Italia, poco dopo l"entrata in guerra, seguì, gradualmente, Ja stessa via, creando dapprima il Ministero delle Armi e Munizioni, e poi - dal 1• luglio 1915 - un Comitato Centra– le ed i Comitati Regionali di Mobilita– zione industriale, che avevano, press'a poco, le stesse funzioni delle Sezioni tedesche delle industrie di guerra. Essi infatti provvedevano al rifornimento ~ delle materie prime, mediante requisi– zioni e acquisti dall"estero e alla loro assegnazione agli stabilimenti indu– striali, secondo che la loro produzio– ne interessasse, in misura maggiore o minore, gli scopi bellici. Ad essi pure spettava la distribuzione della mano d'opera ai cosidetti stabilimenti ausilfari, a quelli cioè che lavoravano per le forze armate, e la vigilanza sul– la loro disciplina. Sia che si trattasse di militari delle classi più giovani, de– stinati a lavorare come tali nelle offi– cine, sia invece di esonerati, delle classi più anziane, quasi tutte le mae– stranze industriali potevano conside– rarsi come militarizzate e soggett~ quin– di alla disciplina militare. Questa « economia di guerra » che si impone come una dura necessità a tutti gli Stati partecipanti ad un con– flitto, il quale assume tutti i caratte– ri della guerra totale, può considerar– si come una economia pianificata. Per essa infatti !"azione dello Stato e de– gli organi da lui creati per promuovere e disciplinare la produzione è indiriz- • lll • reglrne democratico zata ad un unico fine, che è quello di vincere la guerra. A questo scopo si spinge all"estremo possibile la produ– zione delle armi e munizioni, intt:ndtn– do questi termini nel senso più am– pio, e sacrificando invece quelle pro– duzioni che non rispondono a neces– sità militari o che richiedono grosse e costose importazioni. Allo stesso sco– po mirano la disciplina e sopratutto il razionamento dei consumi, che han– no il duplice scopo di assicurare un largo approvvigionamento alle truppe mobilitate e di impedire che la parte, inevitabilmente scarsa, lasciata alla po• polazione civile, sia accaparrata e ven– duta a prezzi proibitivi dagli specula– tori, in modo che poveri e meno ah• bienti ne restino completame<1te sprov– visti. A guerra ultimata non mancarono le voci di chi voleva mantenere in vita tutta questa organizzazione e questa di• sciplina, sia per lo scopo più modesto di superare senza gravi scosse le dif– ficoltà del periodo di transizione dal– J"economia di guerra all'economia di pace; sia invece col fine molto più ambizioso di indicare nell'economia di guerra il modello che si sarebbe do– vuto adottare per una nuova organiz– zazione economica, che non fosse più «anarchica» come !"economia dell"ante– guerra regolata soltanto dal meccani– smo dei prezzi. Ma nella totalità dei produttori e dei commercianti era troppo sentita la stanchezza per la bardatura di guerra, troppo viva la speranza che bastassr la fine delle ostilità e l"abb~ndono di tutti i controlli perché l'economia ri– tornasse sulla strada ch'essa- aveva se– guìto fino al 1914; e questo mod·> quasi unanime di sentire fece cadere immediatamente ogni velleità di prolun– gare anche in tempo di pace l'econo– mia di guerra. A questo proposito è estremamente significativo vedere che uno dei primi a prendere posizione contro gli illus1 che nell"economia di guerra vedevano la prosperità assicurata anche per l'av-– venfre, sia stato quello stesso Rathenau, che aveva ideato, promosso e diretto !"organizzazione e il controllo statale delle industrie belliche. In quel mede– simo opuscolo L'economia nuova, in cui, qualche mese prima della fine del conflitto, egli propugnava un ordina– mento economico che ha molti punti di contatto con quello, che, quinJici anni più tardi, avrebbe voluto essere, ma non fu, il corporativismo fascista, il raggruppamento ci"oè in potei,ti unio– ni nazionali di tutte le imprese, gran• di e piccole, che esercita,'iero uno stesso ramo della produzione: in quel– lo stesso opuscolo egli uscivd in que– ste espressio;i, che ci piace di ripor• tare integralmente. « Fatta eccezione - egli premette - per la condizione disa– giata di alcune industrie e JJer la hen nota difficoltà internazionale del vet– tovagliamento, noi viviamo in un pe– riodo di espansione economica senza esempio. Mai come ora era stato così poderoso l'impiego di tutte le forze di lavoro disponibili, la quantità delle merci prodotte ed i loro pagamenti, !"istituzione di nuove officine, la gran– dezza degli investimenti a interesse modesto, e l'abbondanza della circola– zione del danaro ». Ma subito dopo egli getta una doc– cia fredda su questi entusiasmi. « Non si può PreJendere - egli oJJerva - che la grande maJJadel pubblico si rap– pre1e111ila 1iJuazio11enelle 111elinee fo11dame111,,Ji e veda chiaramente che tutta qu1s1a agiatezza e questa produ– zione 10110promo1se da 11110/0 ente, che compera /11/Jo, paga JuJJo, COl'ri– sponde lii/li i salari: lo Stato. Né si rende co1110che q11e110Sia/o 11011 paga 11,110ciò con oggelli che 1ia110real– mente e1iste111i,creando dei 1 1 alori ma• feriali di uambio, ma paga 10/Janto ~ggravando di debili se sleJJo, noi ed il nostro a1111e11ire. Noi non conducia– mo la guerra come un affare, ma come un dovere nazionale: il sacrificio che essa ci richiede non ci è di peso, ma ci rende superbi. Ma questo non ci deve indurre a scambiare, nell'osserva. zione economica, il dare con l'avere». Chi invocava ed ottenne il ritorno immediato al regime economico di anteguerra (ma il Rathenau, pur ve– dendo !"intima debolezza dell"economia di guerra, non era fra questi), poté, in un primo tempo, illudersi di aver pie– na ragione, perché in alcuni degli Stati dell"Europa occidentale, meno col– piti dalla guerra, le industtie che pro– ducono beni di consumo godettero per lutto il 1919 e per buona parte del 1920 di una attività e di una prospe– rità assolutamente insperate. Ma nello stesso tempo, e in parti– colare dopo la crisi che scoppia nel– J"inverno 1920-1921 e sì protrae per tutto l'anno successivo, sia per effetto della crisi stessa, sia per l'inflazione, che, cessato 1 ·accordo per i cambi, in– fierisce più o meno dappertutto, sia infine per le ripercussioni della rivo– luzione sovietica, nel primo quinquen– nio del dopo-guerra si alternano i par– ziali ritorni all'economia di mercato, Je invocazioni continue e rumorose al• !"intervento dello Stato sia per il sal– vataggio d"industrie e di istituti ban– cari pericolanti, sia per mantenere i prezzi del pane e degli alloggi ad un livello di gran lunga inferiore a quel– li di mercato. Si è ancora ben lonta– ni da ogni pianificazione; ma la men– talità- formatasi in tempo di gueru, Ja situazione monetaria che rende estre– mamente difficili gli scambi internazi•J– nali esercitati dai privati, le gravi difficoltà economiche di larghe masse della popolazione, sembrano concor– rere quasi dovunque alla moltiplicazione degli interventi e dei controlli sta– tali. Soltanto dopo il 1925, ritornati qua– si dovunque ad una certa stabilità mo netaria, cominciato il flusso, di anno in anno crescente, dei prestiti privari americani, sembra che l'economia eu– ropea si avvii ad un periodo di sicura prosperità, e le invocazioni all'inter• vento e ad un"azione pianificatrice del– lo Stato si fanno assai meno frequenti e insistenti, e le statistiche dànno per il 1929 delle cifre della produzione mond°iale che superano ed anzi la– sciano, in molti casi, a grande distan– za le cifre del 1913, e nel commercio internazionale, nonostante i grandi pro– gressi compiuti dall'America e dal- l'Asia, nonostante l'assenza qtiasi to– tale della Russia, l'Europa mantiene ·decisamente il primo posto, scendendo soltanto dal 59 al 50 per cento. Da queste cifre si può desumere che, nonostante tutte le difficoltà mate– riali e psicologiche, determinate dalla guerra, l'economia di mercato sembra– va allora destinata a prendere decisa– mente il sopravvento. IV. La " grande depressione " e il " New Deal " negli Stati Uniti d'America Nel momento in cui lo sviluppo economico sembra abbia raggiunto il suo punto culminante e in cui tutti gli osservatori statistici e gli istituti di ricerca economica pongono in evi– denza gli indici della massima pro– sperità, scoppia inattesa nell"ottobre 1929, la crisi, che si estende in pochi mesi a tutti i paesi del mondo, che tocca il massimo della sua gravità nel 1932, e che per la sua durata e per la sua estensione, per le proporzioni raggiunte nella discesa dei prezzi, nel– la diminuzione della produzione e de– gli scambi internazionali, per il nu– mero pauroso dei disoccupati (valutati a circa 30 milioni nel 1932, di cui dai 12 ai 13 milioni nei soli Stati Uniti) lascia a grande distanza tutte le crisi più disastrose delle età precedenti. Una crisi di ccisì paurosa gravità determina un rapido mutamento del– l'opinione pubblica in un paese ch'era stato fin allora il più attaccato alla tra– dizione ed alle mentalità individua– liste. Lo stesso presidente Hoover, pur volendo restar fedele ai principi eco– nomici e finanziari del partito repub– blicano e limitare al minimo l'ingeren– za e le spese del governo federale per risanare la situazione economica, non poté restare indifferente alle sofferenze di tanti milioni di lavoratori ~ di. cit– tadini del ceto medio, e destinò un ca– pitale iniziale di 500 milioni di dol– lari interamente versato dal Tesoro federale alla creazione della Recon- 11r11ctio11 Finance Corporatio·11, intesa a facilitare il credito a quegli enti che si proponessero di dare lavoro ai di– soccupati, e nello stesso tempo tentò di frenare la discesa dei pr~zzi con la nuova tariffa doganale del 17 giugno 1930, che aumentava il I ,elio medio dei dazi in una misura rariabile dal 26 al 50 per ~ento. Ma era ben altro quello dee la gran– de massa bisognosa di aiuto ed i rap– presentanti delle nuove correnti del pensiero economico si aspettavano dal governo federale. Alcuni cittadini pen– savano al governo come ad un elemen– to equilibratore fra le forze in conflit-· to nell"impresa privata, altri come alla fonte suprema di azione nei momenti di gravi difficoltà economiche; molti al– tri, forse la maggioranza, vedevano in esso il protettore dell'uomo medio contro l'avidità e lo sfruttamento di gruppi organizzati. Queste idee prendono forma più coerente dopo il 1929 e specialmente durante la campagna elettorale per la Presidenza nel 1932-33, cioè nel pe– riodo più acuto della crisi. Mentre Hoover si preoccupava soltanto dei provvedimenti che potessero determi– nare un rialzo dei prezzi interni ed una diminuzione della disoccupazione, Roosevelt e i suoi principali fautori vogliono che alla lotta contro la crisi attuale si accompagni una riforma che assicuri maggiore stabilità all'attività economica ed impedisca il rinnovarsi della crisi. Fu appunto durante la campagna elettorale che Roosevelt usò la frase « New ,Dea I for the American People ». In pratica, come si è poi dimostrato, questo significava che il go– verno avrebbe disciplinato più ferma– mente la ricchezza, tassando progres– sivamente i profitti ed il reddito e spendencto più largamente a beneficio dell'uomo comune. Roosevelt ed i suoi consiglieri economici, per Jo più gio– vani, consideravano il << New Deal >> co– me un impegno della democrazia, da realizzarsi con la pianificazione e col controllo; come un sistema di freni e di equilibrio fra la direzione del- 1" impresa ed i lavoratori, fra grandi concentrazioni e piccoli gruppi più indipendenti, fra produttori e consu– matori, fra agricoltura ed industria, fra mercato interno ed estero, fra te~– pi grassi e tempi magri. Il « New Dea! » non era un pro– gramma completo ed esplicito, che fos– se già formulato nei suoi particolari fin dal 1932, ma piuttosto un atteg– giamento generale in favore di un go– verno per il popolo, tradotto in azio– ne per l'urgenza delle circostanze. Nel– la sua formulazione ancora piuttosto vaga è evidente l'influenza delle idee di Keynes, che avevano incontrato im– mediata fortuna fra i giovani ewno– misti americani prima ancora che egli pubblicasse la Teoria generale: si so– steneva con calore la tesi che in tempi di depressione non si doveva preoc– cuparsi del disavanzo della finanza fe– derale, e che, abbandonato il tipo au– reo, si doveva adottare il sistema della moneta manovrata; che tutto il siste– ma sociale dovesse essere riorganizza· to in modo che affluisse meno denaro nelle casse dei ricchi ad aumentare il risparmio, e più nelle mrni dei poveri ad aumentare i consumi. J.e grandi for– tune, si diceva, non provengono sol• tanto dallo sforzo di un singolo indi– viduo, ma anche da quello della co– munità, ed è giusto perciò che esse vengano tassate pesantemente per il be– ne di tutto il popolo. Senza accettare tutto il programma propugnato dagli estremisti keynesia– n~ il « New Dea! » si propose l'at– tuazione graduale di quei punti di esso che meglio rispondevano alla ne– cessità di superare la crisi e di rigua– dagnare la fiducia delle masse po– polari. Il consenso di larghissimi strati del– la popolazione per questa nuova cor– rente di idee economiche si rivelò nel– la elezione trionfale di Roosevelt, nel ritorno alla fiducia ch'essa determinò immediatamente, e nelle leggi che fu. rono approvate subito dopo il suo in– sediamento e nei due anni successivi. (continua) GINOLliZZATTO L'EOO DEI.Li STAMPl U/ficio di rita1li da 1iornali • riuisl• Direttor,: Umberto Frugiuele Condirettore: Ignazio Frugiuele Via Giuseppe Compagnoni, 28 MILANO Corri,pondenxa: Casella Pootale ,549 Teloer.: Ec:ootam~

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