Nuova Repubblica - anno II - n. 8 - 20 aprile 1954

15 ctorni nel fflondo LE OPPOSIZIONI ALLA CED P ochi giorni dopo la pubblica– zione della nota in cui rivol– gevamo alcune domande all'on. Piccioni, è stata distribuita la rela– zione del governo che accompagna il disegno di legge per la ratifica della CED. Si dice che un primo progetto, elaborato a Palazzo Chigi, mancasse a un tal punto di alito federalista da dover essere ritirato e sostituito con un secondo testo. La lettura di quest'ultimo lascia tut– tavia altrettanto perplessi quanto do– veva lasciare la lettura del primo. La relazione è 'presentata dal Presi– dente del Consiglio e non dal Mi– nistro degli Esteri. Chissà poi per– ché? Si dice che il governo intenda impegnare la sua responsabilità sulla CED ponendo la questione di fi– ducia. Ma anche sul Patto Atlantico era impegnata la sua responsabilità: eppure il disegno di ratifica fu pre– sentato da Sforza, che era allora Ministro degli Esteri. Ma Piccioni/ evidentemente, non è Sforza. Da chiunque sia alato presentato, quel testo è comunque di una me– diocrità indicibile. Esso non si pro– nuncia chiaramente su nulla. Non precisa con quale spirito l'Italia en– tri nella CED. Né che cosa ci vada a fare. Né come questo governo re– spinga le numerose obbiezioni mosse, in Italia e altrove, contro la CED e i pericoli che essa rappresenta. Tutta la bravura degli estensori della relazione si accentra in una lunga analisi degli sviluppi della po– litica estera sovietica in questi ulti• mi anni, una specie di motivazione dell'ingresso dell'Italia nell'alleanza atlantica. Ma non nrlla CED, alla cui conclusione non vf'Cnc data nes• suna giustificazione pertinente. Coò una relazione di quel genere. il go– verno sembra chiedere ona ratifica a occhi chiusi, a denti stretti e con la gola asciutta. Una specie di pur– gante, insomma. che il parse farcbbr meglio a prendere tutto in una ,·olta senza pensarci su. • t vero che l'opposizione parla– mentare all'attuale maggioranza si merita questo governo e questa rela– zione. Non parliamo dei missini e dei monarchici i quali si affannano a spiegare a chi lo vuole intendere che sono disposti a votare tutto quello che vuole il gowrno in poli– tica estera - ossia che non hanno una politica estera di ricambio da offri re - purché non si ponga la questione di fiducia ,u quella poli– tica, purché non si consenta alla loro e ba,e > e alle loro clientele elettorali, cioè, di pensare che, ap– provando la CED, essi approvino un atto qualunque della politica quadri– partita. Un'opposizione pili pietosa di questa sarebbe difficilmente conce– pibile .. Noi vogliamo occuparci piuttosto del PSI, che proprio in un caso di questo genere avrebbe una funzione autonoma da esercitare, un'alterna– tiva da proporre, assumendosi con coraggio la responsabilità di difen– dere in Italia una piattaforma socia– lista di sinistra, come, per esempio, quella difesa in politica estera, in questo momento, dalla socialdemo– crazia tedesca, da Bcvan e dai suoi amici o dagli avversari socialisti della CED in Francia. Del problema della CED si è oc– cupato l'ultimo Comitato Centrale del PSI, dove Riccardo Lombardi ha pronunciato un interessante di– scorso. Purtroppo, da prcmes,e giu- . ste, Lombardi non è riuscito a giun– gere a conclusioni altrettanto giuste e la sua incapacità di sviluppare una posizione socialista autonoma fi– no in fondo si riflette poi nelle con– clusioni alle quali è giunto il Comi– tato Centrale del PSI. Lombardi, secondo quanto rife– risce del suo intervento l'edizione ro– mana dell'Avanti!, ha distinto op– portunamente i motivi dell'opposi– zione operaia alla CED dai motivi dei nazionalisti e degli ambienti mi– lit<ari. e Il non .. ,ere la. CED stru- mento efficace per la creazione della CEP - ha aggiunto poi Lombardi - può servire a smascherare i fautori 11 europeisti " del trattato ma non deve suscitare il minimo equivoco sulla posizione socialista, che, nei riguardi della Comunità politica, è di avversione altrettanto risoluta >. Lombardi ritiene infatti che attra– verso gli strumenti europeistici l'at– tuale classe dirigente cerca di < espor– tare le sue responsabilità e collo– carle ove esse possano sottrarsi al contatto con il movimento popolare. Lo strumento tipico degli istituti europei sarebbe secondo Lombardi il e: commissariato >. e organo supremo supernazionale o meglio anazionale, obbligatoriamente tenuto ad agire senza accogliere gli impulsi dei paesi cui appartengono i suoi componen– ti ... Per questo si parla lcgittimamen– .te di ' tecnocrazia irresponsabile' >. Siamo d'accordo anche noi che la politica europeista dell'attuale clas– se politica le sia in gran pa-rte servi– ta a < esportare > le sue responsa– bilità, cercando di sottrarle al con– tatto con il movimento popolare. Ma anche quella parte del movimento popolare che fa capo ai socialcomu– nisti ha contribuito almeno quanto quella classe dirigente a creare que– sta situazione. Se i clericali europei hanno cercato di esportare le loro responsabilità, il movimento opcrajo socialcomunista non ha fatto altro, dopo tutto, che importare responsa– bilità della politica estera altrui, tro– vandosi cosl artificiosamente astratto e distratto dagli sviluppi della poli– tica estera ciel proprio paese o del– l'intera Europa occidentale. Lombardi critica pure la tecno– crazia che si sviluppa dall'attuale politica europeistica C il carattere « supernazionale o meglio anaziona– le > del Commissariato, che non sente gl'impulsi popolari. D'accordo per la tecnocrazia. Ma parliamoci chiaro. Che un nazionalista voglia far Sl'ntirc questi impulsi tornando agli stn•tti confini drllo Stato nazio– nale. lo comprendiamo. e •quindi comprenderemmo anche che criti– rassl' il carattere « anazionalc > degli istituti cUropci. Lo comprendiamo molto meno quando questa critica viene da parte socialista. Il socialista deve infatti compia– c,·rsi chl' la borghesia abbia scavato con Il' proprie mani la fossa dello Stato nazionale e lottare affinché il falso internazionalismo borghese di– venti internazionalismo g-c·nuino pro– letario. Marx si compiaceva della dominazione coloniale inglese in • lndia. pur denunciandone tutti gli orrori, perché la riteneva più con– facente agli effetti della creazionl' di condizioni di lotta migliori di quanto non lo fossero le vecchie do– minazioni feudali. La posizione di Lombardi pecca quindi di astrattismo quando pone sullo stesso piano CED e CEP e quando contrappone implicitamente ai timidi tentativi di federalismo tec– nocratico e funzionale un ritorno allo Stato nazionale. Fra il Commis– sariato supernazionale della CECA e il Commissariato dell'IRI o di qual– siasi altro c11tc parastatale italiano, noi preferiamo mille volte quello della CECA, che per lo meno offre la possibilità, ad un proletariato che non se ne lasci sfuggire l'occasione o che non si lasci bendare gli occhi dai suoi falsi profeti, di portare la sua lotta contro la grande industria carbosiderurgica su un più largo piano europeo anziché sul ristretto piano nazionale. Lasciare alJa borghesia l'iniziativa internazionalista e rifugiarsi in un nazionalismo che tenta di ammantar– si della neutralità - a cui la man– canza di alternative positive porta il PSI - significa, per un proletaria– to che deve la sua forza all'imposta– zione internazionalista, rinunciare alla lotta e accettare la sconfitta. La vittoria arriderà solo a chi saprà allargare il campo delle sue alleanze e superare i confini ristretti del pro– prio parse. l'-lOW llTTORELLI NUOVA REPUBBLICA 5 I VITA DI FABBRICA I IL PROBLEMA DEGLI STRAORDINA I. Sviluppare nuovi bisogni A MMETTIAMO per un momento che la cl istribuzione della gior– nata in otto ore di Javoro, otto ore di svago ed otto ore di riposo, rappresenti il massimo equilibrio del– le ·attività dell'uomo nel tempo, una aderenza armonica tra umanità e na– tura. Tale disttibuzione è ormai ac– quisita dal senso comune, assorbita dalla nostra civiltà. La data del 1° Maggio non soltanto celebra i Martiri di Chigago, ma riafferma questa con– vinzione. Un movimento sociale che voglia essere progressivo dovrebbe, secondo noi, prendere slancio per ulteriori pas– si in avanti da condizioni ormai isti– tuzionalizzate o per lo meno resistere ad ogni tentativo di retromarcia: el nostto caso e per questo particolare problema, bisogna lottare in chiave di resistenza, proponendo l'abolizione del– le ore straordinarie. La presente nota vuole esporre due motivi particolari di questa proposta in aggiunta al motivo centrale soprad– detto. li p,;imo mot.Jvo è di carattere sa– nitario. Che lavori a cottimo o a eco– nomia, ogni uomo sente il lavoro come una costtizione. li lavoro-gioia è una condizione mitologica. Ogni lavoro comporta sforzo e fatica. Per quanto uno sia integrato nel suo lavoro, sod– disfatto di esso, aiutato da esso a esplicare completa la sua personalità_ (tutte cose augurabili ma finora irrea– lizzabili per i più), si sforza di lavora– re. Fisiologicamente parlando, lo sfor– zo induce la fatica. Esso è una tensio– ne, all'inizio facile, che diventa sem– pre pii, difficile man mano che scorre il tempo: per cui necessita fermarsi, tirare il fiato. Dopo un certo numero di ore non basta più, a rifarsi, il bre– ve intervallo istituito dagli accorti stu– diosi dell"organizzazione scientifica del lavoro o concesso a ~e ste~si dai direui interessati: occorre dare un tai:lio. Chi si sottopone alle ore straordinarie di– mentica il suo istinto <li conser"aziont, preso dal miraggio dell"aumento d,I guadagno. li suo .accumulo di fatica sarà più difficilmente smaltibile nelle ore di svago e di riposo. Si produr– ranno dei residui, che, aggiunti agli ulteriori sforzi e fatiche, diminuiran– no la capacità di resistenza al lavoro dell"organismo. Conseguenza: malattie. mutua, irrequietezza, malinconie, di– sturbi nervosi. Questo è il bilancio che ciascun medico di fabbrica può comprovare. L'operaio che sarà stato prtso in tale fircolo vizioso, constaterà a sue spese che quel maggiore g1u1da– g110 em 1t11tomg!,i1111to per 1111a. ,·ia sbt1glia1a ( ci sono altre strade per chie– dere aumenti giustificati) e si è t,·aJf~r– mato in perdita. Il secondo moti,o riguarda il tem– po libero. I lavoratori e chiunque ha cura di rendere l'uomo meno animale da fatica, dovrebbero porre maggiore attenzione su questo problema. Pen– siamo un momento: si può dire che la maggior parte delle persone riposi o dorma effetti, amente per otto ore. r on si può dire però, a parte le ore straordinarie, che la maggior parte delle persone dedichi al lavoro otto ore. In realtà alle otto ore di lavoro va ags:iunto il tempo per andare e tornare dal la\loro e l'intervallo tra le ore anti e postrneridiane, che costi– tuisce un \IUOto ozio di attesa in cui non si è liberi cli disporre di se stessi. Le otto ore di svago in questo modo si assottigliano enormemente. Se vi ag– giungete le ore straordinarie esse pra– ticamente si annullano. Eppure !"uo– mo non vive solo per lavorare e per dormire. Egli ha una moglie con cui mantenere rapporti sereni; ha dei figli da educare, degli amici con cui comu– nicare, degli interessi pubblici di cui occuparsi attivamente se non vuole subire !"ordine costituito delle cose; ha in più una cultura da tenere aggior– nata e delle attitudini particolari da tenere in esercizio per' non impoverir– si e rendersi arido del tutto. Capisco che il datore di lavoro ha tutto l"interesse di far vivere più che sia possibile il lavoratore in fabbrica o nell"ufficio: molte realizzazioni di servizio sociale a carattere aziendale riguardano anche il « tempo libero ». come ad esempio I circoli sporti,·o-n creati"i, i dopo-mensa, le proiezioni ci– nematografiche. Cosicché avviene che la vita gerarchizzata, semiautomatica, che si vive per la maggior parte della giornata, riesce a influtnzare il nostro comportamento individuale e sociale, nella misura in cui l"abbrutitnento del– la fatica non ci consente altri interes– si, altre dedizioni, altre partecipazioni reali. Non capisco come i mo\limcn– ti sindacali non reagiscano a questo costume. Suppongo che qualche attivista sin– dacale illuminato potrebbe dirmi: la nostra azione tende a dare ,, ria1c11110 1eco11doi 111oibiJog11i; noi interpre– tiamo la volontà dei la\lOratori; essi vo– gliono lavorare di più e noi legaliz– ziamo e contrattiamo il regolare paga– mento degli straordinari; non è que– sto il tempo di a\lanzare certe ri\len– dicazioni impopolari. A un tale attivista bisognerebbe ri– spondere che il problema non sta nel <lare a ciascuno secondo i suoi biso– gni, in quanto troppa gente si arGon– tenterebbe di non morir di fame; ma nello sviluJ1J,a.-e1J11oribisogni e crea– re condizioni di vita tali da fa'"orire la scoperta di essi anche alle persone più povere di spirito. Sui giornali di fabbrica, ,ui notiziari delle federazioni di mestiere, su quelli sindueoli è spesso trottato il grosso pro– blema Yenutosi n creare in Ita– lia da quando l e indust rie - grandi, piccole e 1ned.ie - han– no fatto ri corso, s iste1naticn– mente, al.le ore slraordinarie per rimediare ulln necessità di una maggiore produzione. t un grave rutto, le cui con• scguenze di ordine socinle, sin• dncule ed ccono1nico contribui– scono ad uppesunlire la crisi che stanno uttruversando il n10- ,•in1ento operaio e il paese. II. '' Solidarietà ,, operaia I L sistema delle ore straordinarie porta alla creazione di uno sta– to di pericolosa frattura, poiché il fatto che una parte dei lavoratori - i quali hanno già un'occupazione - effettuino un super-orario è una dolorosa ironia nei confronti dei due milioni di disoccupati. Diventa allora inutile parlargli di solidarietà operaia e di classe, quando vi siano le testi– moni1nze di fatti come questo. E insieme a questo processo - tutto rivolto verso l"esterno, cioè dalla fab– brica al paese - un altro si attua con degli effetti negativi molto più imme– diati. uguali al precedente, con le sole proporzioni modificate. 1 on sempre nelle fabbriche è possi– bile a tutti fare gli straordinari: lo stato stesso in cui versa l"organizza– zione tecnica dell'industria, costitui– sce la causa di sperequazioni produt– ti\le per cui possiamo vedere reparti della stessa azienda che riescono a malapena a raggiungere il minimo di orario di la,·oro, mentre altri sorpas– sano largamente i massimi consentiti dai contratti di lavoro; una situazione che si' ripete perfino entro certi reparti. Anche qui qualcosa si spezza: an– che qui !"unità, che è fatta di volon– tà ma anche di condizioni e di intc~ ressi simili, viene incrinata poiché coloro che riescono a lavorare di più si sotttaggono alle condizioni gene– rali, illudendosi di avere risolto parte dei propri problemi economici e di– ,·entano, in fondo, i primi oppositori a una politica di richieste di aumenti salariali, di cui denunciano essi stessi la necessità, costrettj come sono a ac– cettare, e sollecitare (subendo cosi il ricatto della situazione) lo straordina– rio, come mezzo possibile per inte– grare J" insufficienza della paga. Grave errore il loro: in realtà rie– scono solamente a impedire che i pro– prietari dell"azienda siano costretti ad aumentare il personale, ad attrezzare e organiziare convenientemente la fab– brica per raggi ungere una maggior pro– duzione. Consentono che dai loro sfor– zi i padroni realizzino un guadagno immediato, poiché il costo della mano d'opera strao:dinaria non è gravato dalle spese generali, dai contributi. come nelle ore normali: e nello stesso tempo gli risparmiano di aumentare i salari che è un altro guadagno certo, procurato senza che ci sia una possi– bilità di partecipare agli utili. Essi credono di essere fortunati e non rie– scono a capire che invece sono sola– mente gli strumenti inconsci di una politica oppresSi\la nei confronti dei loro compagni dentro e fuori della fabbrica, \"erso i quali diventano pure corresponsabili dei licenziamenti: cre– dono di godere di un privilegio. fatto di fatiche, di rinunce e di umiliazio– ni, mentre invece tutto questo può fi– nire in ogni momento sol che i padro– ni lo vogliano. III. Produzione di miseria S E tutto ciò convenisse all'econo– mia aziendale, rimarrebbero sol– tanto gli aspetti sociali e sinda– cali del problema; ma in effetti ciò può interessare gli utili dell'azionista o del padrone (e anche di questo c"è da dubitare), non il buon andamento Jell'azienda. Si può dire che. a) i co1ti azre1tdal111011 wno ,·1do11i dalle ore Jlraordinarte u '10n m mo• do fi11izio: ,I costo, m salario, d, ogni unità di prodotto aumenta. Ogni prodotto fabbricato durante le ore straordinarie costa apparentemente me– no in quanto la· leggera percentuale di aumento de.Ila paga oraria è com– pensata largamente dal risparmio di oneri sociali, ma in effetti è gra,·ato da un minore rendimento. da un mag– giore numero di scarti e da un affa– ticamento della manodopera che si pro– lunga anche sulle ore normali; b) ore 1traordi11arieau11111ta JÙ/e• ma indicano mM diJorganizz,1zio11e del- 1,, produzione, per mancanza di ade– guata programmazione, che provoca sprechi di energia, materiali e tempo. Se infatti la produzione prevista non può essere mantenuta entro le otto ore, bisogna assumere nuo\la manodo– pera e acquista.re nuovo macchinario; se può essere mantenuta entro le otto ore, ogni ora in più è uno ~perpero che ricadrà anche e specialmente sugli operai con riduzioni di paghe. rifiu– ti di aumenti, tagli dei tempi ecc.; e) le ore Jtraordinarit cmuorrono a 11umte11ere di1ou11pazio11e 1011ou11p,1- zio11e, cioè una situazione economica ge• nerale negati,·• per un andamento red– ditizio dell"azienda. Il lavoratore di– soccupato è non soltanto un peso per tutta la comunità economica 1 in quan– to mangia senza produrre, ma è anche un consumatore mancato e un produt– tore di miseria. La perdita di abilità inevitabile in chi non lavora o l'impos– sibilità di raggiungere un".ibilità di lavoro è un costo; la mancanza di con– sumo è un costo; la produzione otte– nuta con ore straordinarie sist~mati– che si risol\le in futura diminuzione della produzione, ed è perciò un costo fortissimo. Il sistema delle ore straordinarie può quindi essere difeso da persone che si curano più di accumulare ra– pidamente profitti, che non di fare fun– zionare economicamente l'azienda; ma . non può essere accettato dai la\lOrato– ri che hanno tutto !"interesse a che !"azienda funzioni, e il loro lavoro produca benessere. e sia fonte di nuo– vo lavoro per altri. Ogni sfruttamen– to del lavoro umano oltre il normale è non soltanto un problema morale; è anche un problema economico le cui conseguenze infatti pesano. spe– cialmente sulla classe la\loratrice. Non diciamo che le ore straordina– rie siano la sola o la principale causa della situazione economica attuale. Di– ciamo che contribuiscono sensibilmente ad essa. E pensiamo anche che su di esse è possibile agire immediatamente. rifiutandosi di farle ogni l'Oli" rhe di– ventano 1isJe,na e chiedendo al loro posto: - una migliore organizza2ione del lavoro; - assunzione di manodopera o ac– quisto di macchinari; - aumenti salariali tali da non costtingere un lavoratore, per miglio– rare il salario, a lavorare contro la propria convenienza e la solidarietà di classe; - riduzione degli sperperi e dei costi in altri fattori di produzione. t ... ,.

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