Nuova Repubblica - anno I - n. 23 - 5 dicembre 1953

]I Tendenze eapitalistiehe e pressione d moeratfoa S IAMO arrivati a una duplice con– clusione. Risulta che Marx si è sbagliato in pieno affermando che la massa della popolazione nelle società capitalistiche non poteva migliorare il suo tenore di vita, ma doveva al con– trario affondare .in una miseria sempre maggiore. Pure, molte delle conclu– sioni che egli e i suoi successori han– no tratto da questo e da altri tratti fondamentali del « grande diagram– ma » del capitalismo, si sono avverate fin troppo puntualmente. Qual"è la spiegazione? Le previsioni di Marx erano giuste, nonostante l'er– rore d'impostazione? Alcuni dei pochi economisti qualificati che l'hanno stu– diato con autentica obbiettività giun– gono quasi a questa conclusione. Schumpeter, nella sezione sulla « Dot– trina marxista » del suo notevole Ca– pilalim,, SocialiJtn a11d Demorracy (Alleo and Unwin, 1943), inclina ad esempio a questo punto di vista. « La struttura del Capila/e, egli scrive, in parte incompiuta, in parte smantellata da attacchi vittoriosi, si staglia an– cora col suo profilo possente dinanzi a noi»; e l'autore conclude che no– nostante tutti gli errori, Marx intul la tendenza storica generale del capita– lismo, pur sottovalutando enormemen– te l'impeto e l'ampiezza del suo svi– luppo. .Il vero cbe u11 genio può intuire il futuro, averne la visione, senza essere in grado di giustificare con un ragionamento adeguato le sue predi– zioni. Ma in questo caso, un riesame del grande diagramma ci fornirà una spiegazione più razionale. In primo luogo, dunque, che cosa è accaduto rea/men/e nel tenore di vita della massa della popolazione dei maggiori paesi capitalistici, nel secolo trascorso da quando Marx cominciò a scrivere il Capila/e? Come già si è ricordato, gli economisti calcolano che il reddi– to reale pro capile del popolo britan– nico, per esempio, è più che raddop– piato dal 1870. Ma questo, di per sé, non sarebbe necessariamente una contraddizione delle previsioni di Marx. In teoria, almeno, quell'aumento più che doppio potrebbe essere andato tutto al 10 per cento, diciamo, della popolazione, che possiede i mezzi di produzione di qualche importanza, senza che ne sia toccato niente al 90 per cento, che lavora per quei proprie– tari. La distribuzione del reddito po– trebbe teoricamente essere peggiorata in questa misura. Naturalmente, sap– piamo che non è così; la maggior par– te della gente, anzi, è convinta oggi che sia accaduto il contrario esatto di quel che aveva previsto Marx. Quali sono i fatti? Contrariamente all'impressione comune, la parte del reddito nazionale assorbita dai salari è effettivamente diminuita per molti de– cenni, anche se in misura di gran lun– ga minore di quella necessaria per– ché si avverasse la « miseria crescen– te » predetta da Marx, o anche per impedire un aumento del livello asso– luto dei salari reali; pure, la dimi– nuzione c·è stata. Per esempio, la quota del reddito nazionale intascata dai salariati fu del 50% nel 1860, del 45% nel 1901. (Layton e Crow– ther, An lnlroduction lo the St11dyo/ Prires. Nel 1911 fu del 39%, nel 1924 del 42,1%, nel 1935 del 40,5%. Negli ultimi anni può darsi che essa sia nuovamente salita, ma senza supe– rare, probabilmente, il livello del 1860. Questo computo però non mostra la grande redistribuzione della ricchezza NUOVA REPUBBLICA PAGINE DI CULTURA CONTEMPORANEA RIESAME DELMARXISMO avvenuta in Inghilterra mediante la tassazione. ln altre parole, esso può dar la misura del successo dell'azione sindacale intesa all'aumento dei sala– ri reali, ma non misura il successo della pressione politica democratica sfo– ciata nell'istituzione del Wel/are Sta– te. Per questo, bisogna trovare il mo– do di misurare il grado di eguaglian– za o di ineguaglianza della distribu– zione dei redditi d'ogni genere fra i cittadini individualmente considerati. Dopo aver consultato gli esperti, e aver fatto del mio meglio per esaminare i dati di fatto, la mia conclusione è che effettivamente non si può mettere in dubbio l'opinione comune secondo cui la distribuzione del reddito nazio– nale è diventata più equa. Ma in qua– le misura? Contrariamente a quello che indicherebbero i saggi nominali della tassazione iidistributoria, ma confor– memente, dopo tutto, all'evidente per– sistere in grado notevole delle spese voluttuarie visibili, la mia opinione è che l'eguagliamento reale sia stato più limitato di quello che molti sup– pongono. Agli scopi di queste noie, tuttavia, non è necessario che noi affroatiamo il difficile tentativo di misurare lo svi– luppo dell'« eguagliamento » nella di– st;ibuzione dei redditi individuali. Ci basta infatti che tale distribuzione non sia, ovviamente, peggiorata. Poniamo. dunque, ai fini della nostra argomenta– zione, che la massa della popolazione abbia conservato una percentuale co– stante del totale, sempre maggiore, del reddito nazionale pro capile. Qui c'imbattiamo tuttavia in un fat– to significativo. Non sarebbe da cre– dere che, lungi dall'aver segnato un lieve miglioramento, la ripartizione del reddito nazionale fosse divenuta i11- co111parabilmen1e più equa? Pensate a tutti gli sforzi compiutì da un secolo a questa parte per ridistribuire più equamente il reddito nazionale. Pensa– te a tutte le leggi per abbreviare gli orari di lavoro, per fissare i minimi salariali; ai servizi sociali e alla tas– sazione ridistributoria stabilita per il loro finanziamento; all'imposta sull'en– trata cresciuta da un penny a 9 scelli– ni per ogni sterlina; alle soprattasse e all'imposta sui profitti; alla tassa di successione dell'80 per cento sulle grandi fortune; a tutto l'apparato le– gislativo per la ridistribuzione istituito negli ultimi cent'anni. E aggiungete l'enorme sviluppo e l'azione possente del sindacalismo, dalle piccole e semi– impotenti società artigiane del 1850 alla solida falange di nove milioni di lavoratori, contrattanti in regime di pie– no impiego, che oggi sta di fronte ai capitalisti britannici. Eppure, umbra che 111110 ciò abbia 111igliora10 la di- 1trib11zio11e del reddito nazio11ale in 111i111ra ttJJai pir) li111it<1ta di quel rhe Jarebbe 1/alo naturale a1pet1ttr1i. Ora, il fatto che la distribuzione sia migliorata anziché peggiorare o rimanere costante, mentre il totale da distribuirsi è più che raddoppiato, di modo che la massa della popolazione ha visto aumentare il proprio reddito da 1 a più di 2, confuta in effetti le previsioni di Marx. Ma si tenga pre– sente, ripeto, come si è arrivati a tale aumento. Ci si è arrivati, non già lasciando che il capitalismo seguisse liberamente le proprie leggi di svilup– po, ma esercitando nei confronti di queste leggi un intervento quanto mai massiccio e persistente, quasi rivoluzio– nario, e ridistribuendo d'autorità, in sede politica, il reddito nazionale. Ci si è arrivati, come han sempre rilevato i suoi indignati apologeti, con la più flagrante « intromissione » nel funzio– namento naturale del sistema. Quando si scopre che tutto questo è servito po– co più che a permettere ai lavoratori di mantenere le loro posizioni di fron– te alla classe possidente (migliorando così le loro condizioni, assol utamen• te considerate, in misura più che dop– pia), si ha un'indicazione non equi• voca della vera natura del sistema. Ap– pare cioè che il capitalismo, se fosse stato lasciato a se stesso, avrebbe fi– nito per somigliare veramente al qua– dro descritto da Marx. In tal caso, fohn Stracl1ey nacque il 21 ottobre 1901, fu educalo a Eton e al Afatdalen Collttt a Oxford. Fu deputato {aburisla dal 1929 al 1931, a,rno in eui si dimise dal Par• lito laburisla. Parlamentare. Fu candidato indipendente nelle tlt:ioni del 1931, e nuo• uamente candidato del Partito laburista nel 1943, • deputato laburista dal 1945 ad oigi. Fu sottosetretario di Staio, .Ministro del• l'Aria nel 194546, A{inistro detli. Approv-– vigionamenti dal 1946 al 1950, Sttretario di Stato alla. Guerra nel 195().51. Fra le sua pubblicazioni ricordiamo: The coming strunla /or power (1932); The me• noce o/ Fascism (1933); The nature o/ capitalist crisis (1935); The theory and pra• ctice o/ Sociali.tm (1936); What are we lo do? (1938); A programme /or Progress (1939); A /aith lo /ight /or (1940); PoSI D. (l!»l). la curva inferiore del diagramma mar– xista, la curva che misura il livello dei salari e del tenore di vita della classe lavoratrice, avrebbe potuto be– nissimo essere una linea retta - se non addirittura inclinata in basso, verso la << miseria crescente ». E se è così, non ne consegue che c'è qualcosa di vero nella diagnosi marxista, che vede nel capitalismo una formidabile lendmu a riservare l'intero frutto dell'aumen– to della produttività ai proprietari dei mezzi di produzione, )asciando i sa– lariati con un q11an1ilativo minimo co– stante, e quindi con una quota sempre minore, della torta sempre più grossa? Sembra a me che ciò dimostri in modo molto convincente che Marx non si sbagliava nella sua diagnosi spe– cificatamente eco11omica. ll risultato ef– fettivamente, per esempio, che l'au– mento della produttività del lavoro ri– duceva i lavoratori per unità di capi– tale impiegato almeno con la stessa rapidità con cui l'aumento del capi- tale totale richiedeva un aumento del– la forza di lavoro. Perché, altrimenti, la disoccupazione di massa è diventata una malattia periodica del sistema? .Il risultato effettivamente vero che quan– do si _verifica questa periodica so– vrabbondanza di mano d'opei;a, i salari tendono sempre a cadere di nuovo al minimo praticabile, a me110 di dra- 11iche in1erfere11zenel f1111zio11ame1110 delle leggi economiche. Perché, altri– menti, ci sono voi uti tutti gli immensi sforzi del sindacalismo e della tassa– zione ridistributoria, per ottenere non molto più che il mantenimento della quota del reddito nazionale destina– ta ai salari e alle altre entrate della classe lavoratrice? .Il successo effettiva– mente che la percentuale della popo– lazione proprietaria dei mezzi di pro– duzione di qualche importanza si è assottigliata. « Un capitalista » ha « steso a terra una serie di capitalisti suoi colleghi». C'è 'stata effettivamen– te una forte tendenza all'accentramento del capitale in mani sempre meno nu– merose._ I « piccoli » hanno ceduto un settore dopo l'altro della produ– zione. E il ripiego semi-collettivisti– co delle società in accomandita a re– sponsabilità limitata non è valso a im– pedire l'accentramento. li Fi11a11cia/ Ti– mes ha scoperto recentemente, non senza imbarazzo, che solo un milione e un quarto di persone detengono azio– ni ordinarie delle compagnie pubbli– che di Gran Bretagna: ossia, con– tando i familiari, il 5 per cento della popolazione. Neanche le fortissime tas– se di successione, a carico delle gran– di fortune, sono riuscite a far qualco– sa più che rallentare questa tend'en– za alla concentrazione e all'accentra– mento del capitale. No, l'errore di Marx non sta nella sua analisi strettamente economica. L'errore sta nel suo aver profonda– mente sottovalutato le conseguenze eco– nomiche che la pressione sindacale e politica, in una democrazia, avrebbe avuto modificando le tendenze econo– miche fondamentali del sistema, che Marx, nef complesso, aveva così ben compreso. Il suo errore fu essenzial– mente po/ilico, ed è l'errore che an– cora commettono ogni giorno i comu– nisti attuali. L'errore nasceva da una meccanicistica mancanza di fiducia nel– le possibilità dell'azione politica e in– dustriale intrapresa in una democrazia da un movimento operaio sempre più forte e solidale; era radicato nella sfi– ducia che tale azione potesse correg– gere, col suo peso, la forma naturale o « propria » del capitalismo - de– formarla, come _lamentano i suoi apo– logeti -, facendo salire la curva del reddito della classe lavoratrice fino a farla correre almeno parallela alla C1J1Va ascendente della produttività. Rende questo errore - un errore di giudizio politico - inutile il « grande diagramma» di Marx? Niente affatto. Quel che egli aveva predet– to non si è avverato: uno dei suoi postulati fondamentali, l'incapacità del– la massa della popolazione di mante– nere la propria quota del sempre cre– scente prodotto nazionale, si è rivelato del tutto errato. Ma ciò non signinca che la sua diagnosi delle lendenze innate dello sviluppo capitalista sia falsa. Sarebbe come dire che il fatto che un aeroplano possa volare smen– tisce la legge di gravità. Come uno sciocco potrebbe indicare un grosso 7 apparecchio che si leva in volo per farsi beffe di Newton, cosi gli apolo– geti del capitalismo potrebbero indica– re, e indicano, l'aumento del tenore di vita delle masse per liquidare Marx. Ma l'aeroplano vola non già perché la gravità non esiste, ma perché si è trovato il modo di vincere la forza della gravità stessa. Questa non è un'affermazione accademica né per quel che riguarda il sistema sociale, né per quel che riguarda gli aeroplani. Chiun– que può farne l'esperienza. Una volta, per esempio, mi trovavo nella cabina di comando d'un apparecchio in volo sul fiume Susquehanna, nell'America del Nord. Tutti e due i m•)tori si ar– restarono, e io potei verifièare immedia– tamente che la forza di gravità esiste– va tuttora. Lo stesso accade col capitalismo odierno. Abbandonate la pressione mas– siccia esercitata su di esso, la quale mantiene ferma, almeno, la quota del prodotto nazionale percepita dai sala– riati, e in tal modo aumenta costan– temente il loro tenore di vita assoluto, e le tendenze innate del capitalismo si riaffermeranno immediatamente. E in base all'esperienza degli ultimi cen– to anni, queste tendenze - a meno di essere controbilanciate - appaiono più o meno quali Marx le ha descritte. In mancanza, soprattutto, di un diffuso clima politico democratico i salari, e le entrate in genere, della massa della popolazione tenderanno verso il minimo praticabile, e tutto l'aumento annuo del prodotto nazionale tenderà a concen– trarsi nelle mani"di un numero sempre più ristretto di proprietari. E allora si avrà il susseguirsi di alti e bassi, di crisi, di imperialismi, di rivolte co– loniali e di rivoluzioni. La diagnosi di Marx è dunque tuttora della massima importanza pratica. E ciò per parecchie ragioni. La pres– sione democratica contro il capitalismo, che per un'ironia della storia impedi– sce, essa sola, il precipitare rovinoso del capitalismo stesso, può essere man– tenuta soltanto a prezzo di uno ,forzo continuo e~ tenace. E ancora, basted. la misura attuale di tale pressione a tenere a bada le innate tendenze auto– distruttive del sistema? .8 vero che Marx non previde lo straordinario suc– cesso che le pressioni esercitate sul capitalismo potevano ottenere. Ma non previde neppure in che straordinaria misura le pressioni stesse sarebbero di– venute indispensabili per evitare il disastro. La rapidità con cui la pro– duttività del lavoro, e quindi il pro– dotto nazionale netto, va aumentando, soprattutto in America, richiede uno sforzo continuo per far salire le en– trate della massa della popolazione, sforzo il cui successo può essere o non essere possibile. Inoltre, il verificarsi in misura no– tevole dei corollari, per così dire, del– le previsioni di Marx (e di Lenin), fa ritenere che negli ultimi due o tre decenni le contro-pressioni non siano state, talvolta, sufficienti. 11 grande diagramma di Marx ha bisogno .l"i ra– dicali modifiche in un particolare vi– tale. Ma è lungi dall'essersi dimostra– to privo di valore profetico. In verità, Marx è l'ultima persona che si deve bia– simare per le imperfezioni percepi– bili oggi nel suo sistema. La cosa straordinaria è che egli abbia previ– sto tanto. li biasimo deve ricadere su di noi: su quelli che l'hanno seguito, e su quelli che l'hanno respinto. Perché l'hanno seguito ciecamente, e respinto ciecamente . .6 tempo, ormai, di cercare di confrontare le sue previsioni con la secolare esperienza che è a nostra disposizione. Solo così facendo, infat– ti, potremo usare le intuizioni di Marx come quella « guida all'azione» che egli in esse si proponeva. JOII:\'STRAtHEY

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