Nuova Repubblica - anno I - n. 18 - 20 settembre 1953

4 NUOVA REPUBBLICA lacadno- ckll' &o.rwmidta VBNTB661 E PERICOLI diUDHUricollurH nduslriHliZZHIH L A Camera di Commercio di Ferrara pubblica ora gli « Atti del Convegno per la valoriz7.azione della mela », te– nuto per sua iniziativa il 18 e 19 gennaio u.s. L'importanza delle relazioni, delle discussioni e della stessa conclusione del Convegno va molto al di là dello scopo con– creto, per se stesso importan– tissimo, per cui quella riunione era stata indetta. Non si tratta infatti soltanto di un problema contingente dell'eco– nomia della provincia di Ferrara, dove la coltura del melo ha pre– so nell'ultimo ventennio uno svi– luppo tale da porla al primo posto fra tutte le provincie ita– liane, e a grande distanza dalle altre; ma si tratta di un pro– blema generale della nostra eco– nomia, di una trasformazione ra– pida e profonda che può de– stare nello stesso tempo grandi speranze e gravi preoccupazioni. La coltivazione degli alberi da frutta che, avanti la prima guer– ra mondiale, aveva assunto no– tevole importanza per i fichi e i mandorli del mezzogiorno e per gli agrumeti delle coste della Si– cilia, della Calabria e della pe– nisola sorrentina, era andata prendendo proporzioni del tutto nuove dopo il 1920, specialmente in alcune regioni dell'Emilia. del Veneto e del Piemonte, dove vaste estensioni di collina ed an– che di pianura erano state desti– nate alla monocoltura del melo, del pero, del pesco, del ciliegio, e finalmente in Puglia dove in varie zone della provincia di Bari si era data con notevole succes– so la preferenza alle uve da ta– vola. [ primi risultati di questa tra– sformazione determinarono un tale incremento nel reddito agra– rio, che non solo incoraggiarono i « pionieri » a continuare sulla via per cui si erano messi e ad impiegare larga parte degli insperati guadagni per aumen– tale la produzione, ma spinsero molti altri proprietari e fittavoli delle stesse zone a seguire quel– l'esempio. Ne derivò un afflusso notevole di capitali alla terra cd un sensibile miglioramento nella tecnica agraria e nel tenore di vita delle classi rurali. La crisi del '30-'33 e l'autarchia che ne fu la conseguenza deter– minarono un periodo di arresto, di rallentamento in questo· svi– luppo, ma subito dopo il 1945, nella mutata condizione del mer– cato europeo, si ebbe una ri– presa molto promettente, che rag– giun e il suo acme tra il 1950 e il 1952. Soltanto per le mele, le statistiche della F.A.O. assegna– no a tutta l'Italia una pro– duzione annua media di 2.920.000 q.li nel periodo 1934- 1938, di 7. 22 7.00 0 q.Ji nel 1951, di 7.800.000 q.li nel 1942. Quantitativamente il pro"res- so si manifesta, press'a poco nel– le stesse proporzioni, in tutti i paesi dell'Europa centro-occiden– tale, dove la produzione delle mele da una media di 24.600.000 q.li nel 193 4-1938, sale a 40 .700.000 q.li nel 1951 ed a 46.100.000 q.li nel 1952. Si riproduce così, con lievi diffe– renze, nella produzione frutti– cola, lo ste;so fenomeno che è ormai fin troppo noto nella pro– duzione industriale. Un rapido aumento della domanda ed i prezzi altamente remunerativi determinano un incremento non meno rapido delle piantagioni e quindi, dopo un periodo rela– tivamente breve, un forte aumen– to dell'offerta. Può darsi che que– sta sia totalmente assorbita dal contemporaneo aumento del con– sumo; ma può anche darsi che l'elevatezza eccessiva dei prezzi od un mutamento imprevisto nei gusti dei consumatori, oppure la concorrenza di altri prodotti frut– ticoli, determinino non solo un arresto, ma una forte diminu– zione nei consumi. È questo appunto - come ha dimostrato nello stesso Conve– gno di Ferrara il prof. Murneck dell'Università del Missouri - il fenomeno che si è manifestato in 61NO LUZZRTTO misura impressionante negli U .. A., dove nell'ultimo quaran– tennio la prod uzionc delle mele è andata rapidamente aumen– tando, fino a raggiungere, nel 1952, i 28 o 29 milioni di q.li, mentre invece il consumo, no– nostante il forte aumento della popolazione e del reddito nazio– nale, è andato sen ibilmente di– minuendo: da 35 Kg. pro ca– pite nel 191O, esso sarebbe sceso a 18 nel 1925 cd è attualmente di 12-14 Kg-., mentre il consumo generale di ftutta vi è salito dalla media annuale di 75,8 Kg. nel periodo 193'~-38, a 77,7 negli an- ni 1947-48. · Questi spostamenti dei gusti e l'estensione e intensificazione del– la frutticoltura in paesi che fino agli ultimi anni erano stati i principali importatori, minaccia– no una crisi, che fino ad ora è sol– tanto ai suoi inizi, ma può ag– gravarsi rapidamente e assume– re una gravità maggiore delle stesse crisi industriali, perché la sostituzione dell'una all'altra col– tura richiede lungo tempo. forte impiego di capitali e perdita di profitto finché le 1wove pianta– gioni non siano diventate f, ut– tifere. Per fortuna la situazione dell'Italia, in grazia del suo clima e dei bisogni e abitudini elemen– tari della sua popolazione, si presenta meno grave e pericolosa di quella di molti paesi a nord e a occidente delle Alpi. ebbene le statistiche della-pro– duzione e ciel con umo interno per tutta quella parte che non passa sotto il controllo, anch'es– so assai dubbio, dei pubblici mer– cati, non diano alcun affidamen– to di attendibilità, tuttavia non può esservi la minima incertezza sul larghissimo margine di au– mento che si apre ai nostri con– sumi interni, purché la distri– buzione ciel prodotto sia orga– nizzata in modo da ridurre al minimo il proibitivo e assurdo· distacco fra il prezzo realizzato dal produttore e quello pagato dal consumatore, e purché si comprenda quale vantaggio può arrecare anche al commercio in– terno della frutta un'opera abile ed onesta di propaganda. e per il 1947-48 si è calcolato che il consumo medio annuale per abi– tante fosse in Italia di 33 Kg., cioè di 90 grammi il giorno, non può certo apparire ottimistica l'ipotesi che in breve tempo que• sto consumo possa essere tripli– cato. Ma anche per ciò che riguarda l'esportazione, nonostante le ten– denze autarchiche e protezioni– stiche trionfanti in paesi come la Svizzera e la Gran Bretagna, che erano stati in passato i mi– gliori clienti della frutticoltura italiana, la nostra situazion~ non è affatto priva di prospettive, quando si sappiano sfruttare i vantaggi del clima, che permet– tono una produzione precoce, e si curi soprattutto la qualità del prodotto, che può assicurarci, in molti ca :, una superiorità incon– testabile. Per questo siamo lieti che gli organizzatori dl'I Congresso, re– sistendo alle pretese di qualche intere sato che avrebbe voluto l'invocazione di grossi premi di esporta?ione, si siano limitati, nella mozione conclusiva, appro– vata all'unanimità, a chiedere « una efficace prooaganda per il più largo consumo della mela (e noi diremmo della frutta) nella alimentazione; una migliore or– ganizzazione dei mercati all'in– grosso, mag:giori larghezze nel credito per la costruzione di ma– gazzini per la conservazione del– la frutta; la eliminazione dal mercato della produzione p1u scadente e di scarto mediante la distillazione, a cui sia accor– dato un trattamento fiscale pari a quello delle materie vinose: e infine, per quanto riguarda la esporta?ione, una politica com– merciale che ,;esca ad eliminare le limitazioni contrastanti con i c,;teri della liberalinazione ». Se si procederà decisamente su questa via è sperabile che la frutticoltura inàustrializzata con– corra efficacemente all'incremen– to della ricchezza nazionale sen– za essere causa di nuove crisi, con profonde e gravi conseguenze. COSE DI FRANCIA GLI SPAVENTAPAS Dal nostro corrispondente. L a Francia repubblicana ha di di tanto in tanto il suo bravo generale che si offre per salvar– la da tutti i mali. Ha avuto Boulan– ger, più recentemente ha avuto De Gaulle. Adesso lo spav,ntapasseri di turno è Juin, che è addirittura ma• resciallo, il solo maresciallo fatto dalla IV Repubblica, chissà poi per– ché. I generali spaventapasseri finisco• no generalmente nell'operetta; Bou• langer, poveraccio, è finito nel me• lodramma, suicida sulla tomba del– l'amante. Tuttavia, dopo essere statn scottata nella sua infanzia da u,i certo generale Bonaparte, imitato mezzo secolo più tardi tlo un nipote che non era neppure generale, è naturale che la Francia repubblicana si preoccupi di questi tipi d'auventu– rieri. Senza contare l'esperienza. - fatta in condizioni particolarissime -; di un altro maresciallo, Filippo Petatn ... Bisogna notare che Juin non ; ri– masto alle parole e alle dichiarazio11i enfatiche, come già Boulanger • Dc Gaulle. Il maresciallo ]uin s'è reso famoso per. le parolacce con cui iri– fiora i suoi discorsi, ma egli ha di– mostrato anche di saper agire. ERli ha saputo farsi nominare maresciallo, ha saputo farsi eleggere membro im– mortale dell'Accademia Francese, e adesso ha saputo - debolezze o com• plicità? - farsi assegnare un muc– chio di cariche che lo pongono alla pari, se non al di sopra, del Mini– stro della Guerra. M n 11011 basta: il maresciallo ]ui11 è stai.o l'autore effettivo del recente colpo di stato marocchino. Il Marocco, come lutti i paesi del/' Africa del Nord, è i11 continuo fermento e si agita, i11tol/era11tedella dura « protezione > francue. I coloni francesi che si sono piantali laggiù, fanno affari d'oro, e vorrebbero pre– munirsi dal pericolo di certi guai, come quelli capitati ai loro colleghi stabiliti in Indocina. Per questa ge11- le, resa miope dall'ingordigia, la ri– volta dell'Indocina no11 è dovuta al– l'incomprensione dei governanti, ma a mancanza di energia repressiva. ll sultano, un po' incoraggiato dalla •si– tuazione generale, un po' per la pre– senza degli Americani nei suoi porti e aeroporti, un po' per tenersi fedele la popolazio11e anelante all'iridipen– denza,- da. qualche tempo oppo11eva una certa resistenza agli ordini <lel residente francese: ]11in ieri, il gene– rale Guillau.me oggi, tenaci, e non di– sinteressati tutori dei privilegi dei co– loni. I coloni poi auevlllro trovato fa– cili alleati, specialmente a pagamento, in certi grandi signori feudali indige– ni, primo fra lutti il pascià di Mar– rakés, El Glaui, ricchi.ssimo ma avi– dissimo proprietario di u,1 gran nu- . mero di case di tolleranza del Pro– tettorato. E siccome il governo di Parigi tergiversava, per timore di complica– zioni, per riguardo dell'America, del– l'opinione pubblico, dei paesi arabi, coloni e feudatari iridigerii pensarono di fare da sé: deporre il sultano con• siderato troppo restio e i,utaurnre un regime di terrore sotto il quale nes– suno osasse più parlare <li indipc,i– denza né... di sindacai.i, sotto il qua• le fosse possibile perfezionare lo sfrut– ta.rnento del lavoratore fodigeno, la rapina. del coltivatore indifeso. E tro– varono un vecchio abulico da mettere sul trono del sultano. Ora questo complotto, come di– cevo, ebbe un animatore, juin, che era stato residente di Francia al Ma– rocco fino all'anno scorso e s'era fatto nominare come successore una delle sue creature, il generale Guil– laume. Il governo dell'incat,acissimo Laniel, affogato nella marea degli scioperi, si trovò davanti al fotto compiuto. Per dare un'idea della si– tuazione: quando i rappresentanti del gruppo socialista si presentarono a Laniel per esporgli la loro indi– gnazione per l'incomprensione coc– ciuta del governo e qualcuno di essi accennò ai fatti del Marocco, il presidente uscì con questa frase: « Signori, abbiate pietà di me!>. Co11 maggiore ci11ismo Bidault (cui il po– tere ha fatto perdere le virtù dei tempi rn cui era l'esponente della Resistenza), accettò quello che i suoi fu,izionari avevano fatto, contravve– nendo ai suoi ordini e ubbid,ndo a jui11 e a Guillaume! Fu un vero colpo di Stato, colpo che si vorrebbe adesso ripetere in Tunisia, senza curarsi delle sue ri– percussioni nel mondo in generale e in quello mussulmano in particolare. Questi avidi affaristi del Marocco non vedono che il proprio guadagno immediato, hanno ancora, nei con– fronti dell'indigeno, la mentalità vile e stupida dell'c uomo di razza supe– riore >. Ma c'è chi si preoccupa che ]uin, agevolato dalla debolezza scanda– losa di Laniel (un Facto senza, probabilmente, la buona fede ingenua del veèchio parlamentare piemontese), tenti di organizzare colpi più vasti, e 11011 solo in Tunisia. C'è chi accosta gli attuali avvenimenti del Ma– rocco francese a quelli del Marocco. spagnolo nel 1936. La rivolta contro il legittimo governo repubblicano spagnolo partì appunto dalla zona marocchina del Rif; di là partì il generale Sanjurjo - sostituito poco dopo la sua tragica fine da T<ranco: con le sue orde di mercenari mus• sulmani e di criminali del Tcrdo - la legione straniera spagnola - per imporre l'obbrobrio dell'attuale regime, del resto benedetto dal Va– ticano, regime eretto sui cadaveri di due milioni di spagnoli. Dunque, non si preparerebbe Juin, nel suo feudo marocchino, a marciare ... su Parigi? Egli saprebbe imporre la dittatura del grosso ca– /1itale affaristico e senza scrupoli, e Bidault ha accettato ciaicamente il colpo di stato marocchino, peradel mare– sciallo Juin,lo spaventapasseri di turno. avrebbe l'aiuto dei vecchi elemertli del governo di Vichy, della reazio11c tradizionale, degli ultimi discepoli di Maurras, della schiuma proni.a a vendersi a tutte le tirannidi. Si dice addirittura che ]uin avrebb, fatto tastare il terreno presso certi alti comandi militari e presso certi pre– fetti per sentire come si comportereb– bero s'egli si mettesse alla testa delle e sane forze dell'ordine>. Senonché, ammesso che ]uin abbia davvero di queste idee per la testa, e che inoltre l'amministrazione re– pubblicana di Eisenhower sia di• sposta a tollerarlo, gli scioperi d'ago– sto hanno dimostrato che esiste in Francia una forza che può arrestare i11 poche ore la vita del paese. Si provi. il maresciallo ]ui11, e vedrà. Ma appunto per questo il mare– sciallo Juin non si proverà, e resterà u110 dei tanti spave11tapasseri della Fra11ci<1 repubblicana.

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