Nuova Repubblica - anno I - n. 4 - 20 febbraio 1953

B NUOVA REPUBBLICA 7 ----------------~~...---------- EMANCIPAZIONE • del cinema europeo L'Italia a.ssorbfoa più film americani di tutti gli altri paesi. Oggi comincia a prefetire i nostri S I può dire che nelle sue linee esteriori il movimento' di eman– cipazione delle cinematografie na, zionali dal monopolio hollywoodiano fa pensare ad un vero e proprio « risor– gimento» economico; « risorgimento » a colpi di milioni o attraverso la lenta, sicura via degli scambi internazionali, che mostra una progressiva liberazione del mercato dei vari paesi dall'invaden– za americana. Questo breve esame si limiterà agli accenni essenziali 1 ciascu– no dei quali potrebbe dare l'avvio a .,Più di un discorso, Nell'immediato dopoguerra Holly– wood si vedeva aperti tutti i mercati, molti <lei quali da vari anni erano chiusi a qualsiasi importazione( Ita– lia, Germania, ecc.), molti altri invece, per la guerra e le crisi ad essa connes– se, non erano stati sfruttati a dovere. Già precedentemente Hollywood aveva realizzato incassi strabilianti nelle sale di proiezione d'America; l'industria camminava ed era tutta protesa verso la conquista dei mercati mondiali, ed in particolar modo europei. Cosl vedem– mo riversarsi sugli schermi di mezzo mondo una valanga di films americani, quasi tutti riconducibili ad alcuni « ge– neri>► fondamentali (il m111ical, la com– media leggera, il western, il gangster ecc.). Si venne a stabilire anche sul mercato cinematografico quella sfera d'influenza che gli Stati Uniti andava– no conquistando pure in altri settori dell'economia e che ne rispecchi~va l'influenza politica. I « generi » ebbero molto successo, anche in Europa, dove pure esisteva ùOa tradizione cinematografica: in Ita• lia (e l'esempio vale un po' per tutti i paesi provati dalla guerra) il pub– blico si lasciava prendere dai films di evasione americani, quei films che 1100 lo costringevano a pensare e gli facevano dimenticare i dolori re– centi. La produzione nazionale non piaceva, perché riproponeva in m<>l– ti casi proprio quei dolori (vedi .,d esempio Roma ,ittà aperta, Sciuscià, Paisà, ecc.). Le industrie non erano ancora in grado di opporre una valida resistenza, soprattutto per I' attrezzatu– ra insufficiente, cosicché anche la pro– duzione di antica memoria (opere li– riche, films « storici », « telefoni bian– chi >► ecc.), florida e proficua al tempo dell' « autarchia », impallidiva di fronte allo sfarzo della Melro o del– la Paramo11111. Proprio per tutto questo, forse, Italia, Inghilterra e Germania occidentale divennero tre dei mercati più fecondi per J'i~dustria americana· la Germania di Bonn, in particolare, fu per molto tempo un suo feudo in– contrastato. In molti paesi, poi, in cui l'industria cinematografica non ave– va mai supplito al fabbisogno del mercato interno, Hollywood non face, va che accentuare la pressione che aveva sempre esercitato. Ma a poco a poco i vari paesi si organizzarono, sentirono il danno che l'invadenza americana avrebbe portato alla loro economia, e cominciò allora tutto un lavorio di trattative tra i vari enti e governi, di accordi, di regolamentazioni delle im• teca G1 portazioni, che doveva portare ad una emancipazione sempre più netta. L'Italia si mosse con un certo ri– tardo rispetto agli altri. Da noi i fiJms americani avevano successo più che altrove e gli esercenti, che sono la molla di ogni azione sul mercato cine-_ matografico, erano sfavorevoli ad un in– cremento troppo forte dell'industria nazionale. Secondo un'inchiesta dell'Agenzia Telegraph nessun cinema romano nel '49 aveva rispettato l'obbligatorietà de– gli ottanta giorni di programmazione del film italiano. Hollywood natural– mente cont;nuava a farsi la parte del leone. Si può dire che l'Italia, insieme alla Gran Bretagna, era al primo po– sto nella graduatoria dell'assorbimento percentuale dei films americani. M A Hollywood cominciava a pre– occuparsi: sentiva sfuggirsi il mercato a poco a poco. Alla fine del '49 il produttore americano El– lis G. Amali lamentava le limitazioni alla proiezione di films americani e le restrizioni monetarie imposte da alcuni governi. E Johnston - prèsidente della MPEA (la Motion Picture Export Asso– ciation, che raggruppa tutte le maggiori case cinematografiche americane) - di– chiarava: « Se noi vogliamo fare af– fari all'estero dobbiamo curare che il traffico · svolga in ambedue le dire– zioni. . Occorre pertanto aiutare i pro• duttori esteri ad affermarsi sul nostro mercato ». E con queste parole toc– cava il punto fondamentale della· que– stione. Intanto negli anni successivi gli incassi nelle sale americane diminuiva. no per l'offensiva violenta della Tele– visione, che trovava terreno fecondo nella crescente apatia del pubblico ver– so i films mediocri o riesumati dai ma– gazzini delle Case, Contemporaneaménte continuava il movimento di emancipazione. L'Italia conquistava i mercati stranieri con i suoi capolavori: veniva. l'Oscar ·4~ per Ladri di biciclelle, venivano sem– pre più fitti gli articoli ammirativi e i ricorloscimenti ufficiali a molti dei no– stri films in tu(to il mondo, Andava na– scendo così quel caratteristico feoome– no, solo apparentemente contradditorio, che vedeva i nostri migliori films am– mirati all'estero e trascurati in Italia. L'Italia moveva su una scia già aperta da Rossellini con Roma ci11à ape,•Ja; era la via che doveva portare la nostra cinematografia su di un livello di pre– stigio sempre più alto. Intanto anche all'interno l'Italia si scuoteva dalla sua posizione di compromesso (con una legge insufficiente e non sempre appli– cata); gli organi competenti, fra il '50 e il '51, si accordarono con la MPEA rappresentata da Mc Carthy, per ridur– re notevolmente l'importazione di films americani in Italia, mentre per altra via veniva stipulato « un ·patto destinato a favorire l'esportazione dei nostri films » in America (dalle dichiarazioni dell'avv. Monaco, presidente dell'ANI– CA al Co,.ri,re della Sera). Questa non era altro che la realizzazione concreta delle proposte già avanzate negli am– bienti cinematografici americani. Si ca- Ban piva che una saturazione unilaterale del mercato non avrebbe giovato a nessuna delle due parti: si agiva, indirettamen– te, in conseguenza della crescente apatia che il pubblico italiano andava mani– festando in quel periodo verso i lilms d'oltreatlantico. Anche la Germania di Bonn, co– minciava a scuotersi dal torpore. Al– l'inizio del '50 venivano avviate trat– tative tra esponenti delle Case cine– matografiche tedesche ed un consorzio bancario per il finanziamento della produzione nazionale. Come risposta la Metl'O marciava decisamente alla conquista del mercato tedesco con uno spiegamento massiccio di mezzi pub– blicitari. Ma negli anni seguenti la emancipazione trovava consensi sempre maggiori e gli stessi organi competenti dell'Alta Commissione interalleata rico– noscevano, come nel caso dell'Italia, la opportunità di una autolimitazione del- 1' importazione americana in Germania, che veniva perciò fissata al 40% circa della capacità di assorbimento del mer- cato tedesco. · Anche la Gran Bretagna è riuscita finalmente ad elaborare, l'anno passato, un progetto di revisione dell'accordo ci– nematografico anglo-americano: il Can– celliere dello Scacchiere Butler ha an– nunciato alla Camera dei Comuni che il progetto si basa essenzialmente su di un piano di riduzione delle impor– tazioni di" films americani. Sempre in questo senso ha parlato il deputato la– burista Mallalieu. Inoltre il finanzia– mento in favore dell'industria cinema– tografica nazionale è stato aumentato di due milioni (otto complessivamen– te). Non bisogna dimenticare poi che tra i paesi d'Europa (e specialmente tra Italia e Francia), nel corso di que– sti ultimi anni, si sono andati inten– sificando gli scambi e i tentativi di co– produzione: altro mezzo per alle8);e– rire il mercato da un'importazione uni• laterale. Balza evidente dinanzi agli oc– chi l'errore della tattica economica americana: infatti nient'altro che una sconsiderata fame di dollari poteva in– durre ad una esportazione massiccia e costante, senza una adeguata importa• zione. Una tattica di questo genere po– te.va andare nei primi anni del dopo– guerra, ma a Iungo aru:faredoveva ri– velarsi dannosa per gli stessi esporta– tori. Infatti l'euforia del dollaro por– tava. ad una produzione in serie, sca– dente e talora pessima, o a riesumazio– ni di films quasi sempre di scarso in– teresse. Questa storia durò finché il pubblico poté sopportarla, desideroso com'era di divertirsi, anche a buon mercato. Ma quando il pubblico si stancò di vedere sempre la solita roba (e questo è accaduto nella stessa Ame– rica, dove la TV è un pericoloso nemi– co), anche Hollywood capì final– mente che occorreva una autolimita• zione della esportazione, per non per– dere quanto era stato guadagnato nel periodo felice. E che si trattasse di stanchezza del pubblico appare chiaro dagli incassi di questi ultimi anni, che proporzionalmente vedono in tutti i paesi una contrazione dei profitti ho!- E ARTI DECORATIVE 1n una mostra di Sergio Rujfolo U11amoJlra di car1e//011ipubb!iriJari ,embrerebbe do1•er i111e,·e11a,·e 10l- 1a1110 chi deve fare la pubblicità. Ma q11all(/O lo J/eJJ0 artÌJla e1po11e Ì!JJieme va1i di ceramica e di vetro 1ofliato da lui di,eg11ati, JChizzi di pe/'Jonaggi di 11nballe110,diieg11idi 11olfe da donna e da arredamento_efotografie, 1i ha /'impressione di entrare in 1111 compleuo mondo p111onco che trascende l'arte 111i/itariae che delinea una per1011aliJà originale. E q11e//o che arcade vi1i1a11do la moJJra del 1101/l'0Rufio/o, nolo · ai 1101tri /e/lori per le 111evig11e/lee i 1uoi pupazze/li, il q11ale1111i1ce a q11e11a 111aarie della caricatura tutto un mondo pi11orico1 che appare chiaramente il prodotto di 11n 11111ica fanlaIÙl e 11011 di una compendioia veriatilità, e i11d11ce a domandar1i che coJa egli cerchi, perché 11011i acco11te111i d dipin– gere, magari quadri di ava11g11ardia, co111e gli 1fo11didi a!C11ne 111e tele p11b– b/icitarie ( come quella riprodotta in alto), o di p/am1a,·e e di di,eg11are il velro e la ceramica ( come nei vasi riprodotti in basso a sinistra) o di fare cartelloni 1ugge11i,,i ( come quello in basso a destra). La riipoJla a cui 1i gi1111ge è che il Rufio/o non co11cepiice /' al'/e separa- 1a111e11te dalla vila: per /11i,1111 equilibrio picaJJia110 11alene/1,1miJ11ra i11 Clii ur11e a decorare una pa,-e1e1 a orn,1rela Ilo/fa di ,ma moderniIIima tenda; e u11aforma bizzarra vale 11011per pro1pe11are1111a deformazione della realtà ma per creare 1111a 111101 1 a 1·ealtà, più umile Jo_ne, ma 11011 meno ge11ero1a, che è la ,·ea/1tìdi un oggello domeJJico. I!. arte? Non lo pretende. Ma è traduzione in termini popolari, in Jennini apprezzabili da par/8 di 11111i, di tm'arle aJlralla che al1time,11irimarrebbe confinala ai tenaro/i, Ed è la rivelazione di 1111 artiJla. lywoodiani. Ed è un fenomeno inte– ressante che i piani economici dei go• verni e delle industrie nazionali e l'ini– ziativa di gruppi culturali organizzati si siano identificati sempre più, in questi ultimi anni, con i gusti del pubblico. Si può dire che i due atteggiamenti, ta– lora indipendenti (almeno all'inizio), finiscono quasi sempre per coincidere. Basta pensare allo sviluppo che hanno avuto in Europa i Circoli del Cinema e la stampa cinematografica specializ– zata, contribuendo in tal modo all'edu– cazione di larghi strati di persone. Le cinematografie nazionali d'altra parte .sono passate dalla difesa al con– trattacco. La Francia, l'Italia e il Giap– pone hanno dominato in tutti i « festi– vals » di questi ultimi anni; l'Italia spe– cialmente sta raccogliendo in tutto il mondo consensi unanimi. Ma i films che sono, per cosl dire, all'attacco, sono i migliori (Due 10/di di 1pe– ranza1 Umber/o D. 1 Jeux Ù)terdits ecc.); dietro c'è tutta una valanga di opere mediocri che costituisce la fonte di maggiore profitto all'interno. Si de– linea evidente soprattutto la mancan– za di un prodotto « medio », di buon mestiere, e commercialmente proficuo; tra le opere significative e i brutti lilms si apre un abisso sempre più pro– fondo (e questo è un problema che meriterebbe un discorso a parte). Ecco perciò che molte cinematografie nazio– nali rischiano di cadere in un errore molto analogo a quello commesso anni fa da Hollywood. Bisogna stare attenti, dunque, Come per Hollywood, così per il cinema ita– liano, oggi, una sola è l'esigenza fon– damentale: mi&liorare la qualità. GllNCABLOHlBBIITTJ

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