Nord e Sud - anno XX - n. 158 - febbraio 1973

Pasquale Curatola zionale (la cosiddetto indipendenza affievolita). Anche per l'esame di questo problema, prenderò, come punto di partenza, il processo penale. È noto che la moderna dommatica giuridica concordemente afferma che lo Stato è soggetto passivo costante di ogni reato. E per superare l'antinomia, per sciogliere quello che Bettiol chiama l'enigma del processo, che si pone in quanto lo Stato si presenta, nel cimento processuale, come offeso e giudice al tempo stesso, si fa ricorso al concetto dello Stato di diritto, idea che trasferisce, nel campo giuridico, la dottrina politica della divisione dei poteri; e così è agevole intendere come la subiettivazione della norma penale - per ripetere l''espressione di Moro - avvenga a favore dello Stato-amministratore e non vada riferita né allo Stato-legislatore né allo Stato-giudice. Orbene, almeno da questo punto di vista, il Pubblico Ministero, portatore della pretesa punitiva dello Stato-amministratore, può bene esser considerato emanazione di quest'ultimo, ossia del potere esecutivo. Ma ecco emergere, a questo punto, una delle più gravi contraddizioni del sistema, foriera di confusione, incertezze, e non rare ed inique disparità di trattamento: lo Stato, vittima costante del reato, colpito nella sua parte più vitale di garante delle condizioni di esistenza e di sviluppo del corpo sociale, si sgancia dal processo, e scarica i propri oneri su un organo che rende irresponsabile: in luogo dei procuratori della Repubblica si instaura, in tal modo, la Repubblica dei procuratori, le cui forme di manifestazione più evidenti possono riscontrarsi in due direzioni, che giova partitamente esaminare, e cioè, nella strutturazione degli uffici, e nell'applicazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Per ragioni organizzative, ed in aderenza al principio dell'impersonalità del Pubblico Ministero, che rende unico ed indivisibile l'ufficio, i magistrati del Pubblico Ministero sono inquadrati gerarchicamente. Non esiste però, come parrebbe logico, un unico vertice centrale, ma tanti quanti sono le procure generali presso le Corti d'Appello. Così il procuratore generale gode di un potere di supremazia, nell'ambito del pro, prio distretto, su tutti i procuratori ed i sostituti, senza dover render conto ad alcuno dell'uso del potere; in particolare, potendo esercitare la facoltà di avocazione dei procedimenti istruiti col rito sommario, è in condizione di controllare, in modo assai penetrante, l'attività di tutti gli uffici. Il che si risolve, in ultima analisi, nell'assunzione, da parte del capp, della posizione di arbitro supremo nell'assegnazione e nella direzione dei processi. Si sono insediati, quindi, in Repubblica, nell,organizzazione giudiziaria, 24 granduchi, inamovibili, indipendenti, circondati da garanzie notevolissime, vere immunità occulte: ad essi sono soggetti gli altri magi98

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