Napoli tra passato e fut1,,tro configurare nella concretezza delle occasioni che sono precluse agli ignavi, ma che sono alla portata delle classi dirigenti operose e lungimiranti ». D'altra parte, se tutto questo era vero alla fine degli anni cinquanta, non lo era più del tutto alla n1età degli anni sessanta. Nell'introduzione a Cani pania in trasformaziorte ( 1967 J, ricollega11domi a quanto avevo scritto nell'introdL1zio11e a Napoli dopo tln secolo potevo constatare, infatti, che nuovi docun1enti elaborati da singoli studiosi, da gruppi di stt1dio, da enti preposti alla programmazione 11rbanistica e anche economica, co11sentivano ormai di imbastire t1n discorso nuovo, sia pure di prima e provvisoria impostazione, sui fenomeni di sviluppo e di crisi che investono Napoli e la sua regione. E quel cliscorso è stato avviato nello spirito cl1e gli autori di Napoli dopo itn secolo avevano cercato di suscitare (è stato avviato anche da t1na p11bblicazione come Campania 70, i11concepibile 11egli anni '50). Certo, ci sarebbero anche molti rilievi critici da fare per le deviazioni che il discorso st1lla qL1estione napoletana potrebbe subire, e ha già cominciato a subire, rispetto alla linea cl1e gli autori di Napoli dopo un secolo avevano tracciato. Ma per ora vorrei limitarmi a rilevare che, dopo un decennio, c'è pure qualcosa di positivo che possiamo registrare per quanto riguarda l'atteggiamento della cultura nei confronti della città e dei suoi problemi. Quando pensavamo e scrivevamo Napoli dopo un secolo, noi cercavamo di ristabilire quel collegamento che la nostra generazione sembrava avere perduto: il collegamento con la traclizione degli « europei di Napoli », come Giustino l:j'ortunato e Francesco Saverio Nitti. Erano gli anni nei quali la città era stata occupata da quelli che potremmo definire « i levantini di Napoli »; e se qualcuno osava dire: « Napoli così com'è non ci piace », si levavano, frementi di sdegno provinciale, le voci di zelanti paladini della nostra povera città, agitando i grotteschi stendardi di un grottesco borbonismo. È proprio da q_uesto punto di vista che le cose sono cambiate e cambiate in meglio. Se con la pubblicazione di Napoli dopo tln secolo ci eravamo proposti di dare battaglia ai cultori di una irr1magine oleogra .. fica e dialettale di Napoli, che · poteva piacere ai tardi epigoni dello scarfoglismo, mi pare di poter affermare che questa battaglia l'abbiamo vinta, anche se a volte ci tocca ancora di doverci in1pegnare per qualche scaramuccia di retroguardia. E mi pare altresì di poter affermare che il decimo volume della Storia di Napoli interviene a sanzionare la liquidazione, speriamo definitiva, dello ~carfoglismo. Resta da vedere però se si è ristabilito effettiva1nente ed efficacemente il collegamento con la tradizione degli « europei di Napoli »; tradizione che ha avuto in Nitti uno dei suoi più significativi esponenti. 121 Bibliotecagi obianco
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