Giornale a più voci certamente 11ella « globalità» della contestazio·ne, che allora mancava. Non si tratta soltanto di una questione di forma; il conseguimento di certe condizioni di vita da parte di larghi strati della p,opolazione, che è alla base ,di talu,ne degenerazioni del sistema vivacemente condannato dai giovani di oggi, pareva allora un obiettivo da conseguire, un risultato difficile da raggiungere. Ciò poneva il movimento studentesco dell'epoca in una pjrospettiva assai diversa da quella in cui si colloca il movimento attuale, anche se vi è una caratteristica comune: quella di proiettare le esigenze del movimento universitario al di fuori del momento studentesco, nella società in generale. In realtà, molti aspetti di questa agitazione sono da riferi,rsi ad un.a generale crisi dello Stato. Ci si agita contro realtà che non dovrebbero avere nulla a che fare, in effetti, con uno Stato moderno: le baronie professionali, l'autoritarismo, gli esami concepiti come frettolosa rassegna nozionistica, lo scandalo delle libere docenze, l'inadeguatezza degli istituti e delle attrezzature; e, più in generale, l'arret,ratezza de1le strutture, la mancata riforma della scuola, del diritto di famiglia, delle leggi urbanistiche, ecc. Ma ci si agita jn un modo che ha ugualmente poco a che fare con uno Stato moderno; quando si parla di « potere studentesco », quando si reclama una potestà preminente degli studenti sull'università, si riesumano schemi sostanzialmente corporativi e fatiscenti. L'università deve essere una « comunità» di stude11ti e professori, rna non appartiene ad essi; appartiene esclusivamente alla collettività sociale nel suo complesso, che si esprime negli strumenti di potere che si è data e deve quindi servire alle esigenze di tutta la co,munità. Infine, qualche breve considerazione sull'agitazione nei licei. Se ne è parlato troppo poco e con molta app-rossimazione; l'opinione pubblica è generalmente più aperta a soluzioni innovatrici quando si tratta delle strutture universitarie, ma è invece molto legata al pregiudizio della « im,maturità » quando si tratta di riformare so,stanzialmente le scuole medie superiori. È un. errore; nulla di ciò che oggi accade nell'università sarebbe probabilmente avvenuto se i licei avessero funzionato in modo diverso; l'origine della esercitazione rivoluzionaria che è esplosa nelle università va ricercata nella co,mpressione assurdamente e qualche volta ridicolmente autoritaria dei nostri licei. Che ragazzi di 16, 17 e 18 anni non possano nel nostro paese dibattere liberamente i propri ,problemi, anche senza l'assistenza dei professori, non possano fare i loro giornaletti, non possano organizzare la loro vita sociale., senza passare attraverso difficoltà qualche volta insormontabili, senza avere continuamente la sensazione di dovere combattere per ottenere qualche minima soddisfazione, è inconcepibile nell'anno 1968 ed è un fatto cl1e si riscontra, tra i paesi civili\, soltanto in Italia. Che nelle classi liceali non si insegni la storia contemporanea, che la Costituzione e i principi fondamentali del diritto e dell'economia siano privilegio di pochi pazienti autodidatti, che si reprima qualsiasi libero confronto di idee in sede di insegnamento della storia e della filosofia, sono cose che si protraggono e che 1 cominciano ormai a dare i loro frutti di indifferenza, di ignoranza, di qualun55 ibiiotecaginobianco
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