I Il potere e la piazza Per rendersi piena ragione della giustezza di questo giudizio, occorre tenere presenti alcune circostanze di fatto fondamentali: Vittorio Emanuele III, la sera del 27 ottobre, nel rientrare a Roma, diede energicamente disposizione di decretare lo stato d'assedio - ribadendo tale decisione a mezzo del proprio aiutante di campo, generale Cittadini, inviato appositam-ente a partecipare al Consiglio dei ministri tenutosi all'alba dal 28 ottobre - con la impeccabile motivazione che egli non avrebbe costituito un governo sotto la violenza. Ciò significa che il Re era ben conscio dei propri doveri di capo dello Stato e sapeva perfettamente che la soluzione della crisi spettava agli organi legali del potere e ad essi soltanto, e che nessuna forza extralegale poteva essere riconosciuta o am-messa a condizionare comechessia la volontà del potere stesso. Ecco quindi la ragione sia etica, sia politica, sia giuridica dello stato d'assedio e delle misure eccezionali. Lo stato d'assedio· venne deliberato, ma il Re non volle sottoscrivere il relativo decreto. Non è questa la sede per ricercare i motivi di tale rifiuto 23 ; sta comunque di fatto che le misure adottate nelle ore precedenti la deliberazione dello stato d'assedio dal comandante la piazza militare di Roma, generale Emanuele Pugliese, erano già state sufficienti a bloccare l'azione insurrezio·nale fascista 24 ; eppertanto anche senza la proclamazione ufficiale di stato d'assedio, sarebbe bastato il loro mantenimento puro e sem,plice per determinare il totale fallimento della marcia su Roma. Co·me rileva il Salvatorelli nel passo sopra citato, l'ingiuria alla Costituzione non co,nsiste tanto nel rifiuto regio a sottoscrivere il decreto di stato d'assedio, quanto e principal 1 mente nel gesto sovrano di sottostare al ricatto del capo fascista, che dal suo rifugio milanese escluse ogni altra soluzione che non fosse un gabinetto da lui presieduto. La designazione per telegramma ha questo di grave, oltre alla mancata formalità della consultazione: che essa è il risultato di una imposizione, un atto coartato dalla violenza e dalla sopraffazione. Non per nulla l'autor<'! di queste note ebbe a esprimere l'avviso che di fronte a una tale provueazione, il Re avrebbe dovuto affrontare non una, ma cento guerre civili 25 • Vittorio Emanuele III chinò _ilcapo, e in tal modo quella piazza che sette anni prima era stata strumento nelle sue mani, ora sopraffaceva la sua volontà e ne diventava la padrona. Egli violò una prassi, come afferma il Salvatorelli, ma violò altresì qualcosa di assai più sostanziale 23 Op. cit. a nota 19, I, pp. 589 sgg. 24 E. PUGLIESE, Io difendo l'Esercito, Ed. Rispoli, Napoli, 1946. 2s Op. cit. a nota 19, I., p. 589. · 113 _Bibilotecag inobianco
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