Nord e Sud - anno XV - n. 107 - novembre 1968

Antonino Répaci 12. Non vorrebbe l'autore di queste note, con le aspre parole usate nei confro·nti di Antonio Salandra, avere d,eviato l'attenzione del lettore dai punti fondamentali della problematica q~i affrontata. Sala11dra in ultima analisi fu l'espressione - deteriorata, se si vuole, da una personale fiacchezza morale particolarmente accentuata e da una boria retorica professionale rivelatrice di profonde lacune culturali - della classe dirigente di quel tempo, il cui livello etico, politico e intellettuale er_a considerevolmente basso, e certarr1ente inadeguato ad affrontare un ev·ento di vastissima ,portata storica, qual è quello costituito dal primo conflitto mondiale. Lo stesso Giolitti, che pure torreggiava quale gigante in quella accolita di pigmei, si sottrae a mala pena a questo duro giudizio ~ anch'egli - come presto si vedrà - non tarderà molto a seguire le orme del suo avversario. Sciaguratamente l'unico uomo politico dotato di grandi qualità venne a mancare prematuramente e nel momento più delicato, quan·do, ministro degli Esteri nel gabinetto Salandra, stavano· maturando gli orientamenti del governo italiano. Il marchese Antonio di San Giuliano aveva infatti saputo, nei primi mesi del conflitto, mantenere una linea ferma e dignitosa di neutralità, tale da non pregiudicare ogni possibile soluzione che si fosse potuta presentare nell'interesse del paese. La mancanza di tatto, la caparbietà e la rozzez7a diplomatica del suo successore, Sidney Sonnino, non tardarono a disperdere i frutti di questo tenace e intelligente lavoro. 13. Ciò detto, occorre spostare ora la prospettiva dai protagonisti ai temi fondamentali del problema storico qui dibattt1to. Di altissimo interesse in argomento è una polemica postuma intercorsa fra Luigi Salvatorelli e un anonimo «Unitario» (un salveminiano evidentemente) su Rivoluzione liberale. Scriveva Salvatorelli: 102 I nazionalisti erano essenzialmente una piccola minoranza, ben decisa a diventare padrona, ad ogni costo, della vita p.ubblica, violentando la resistenza passiva della maggioranza. Occorreva a loro, per questo, la sospensione dei rapporti politici normali, la lotta rivoltosa, il colpo di mano a danno dei poteri costituiti. Ed ecco, la propaganda per la guerra intesista fornire a loro l'occasione di tutto questo: l'occasione di scendere in piazza, di esautorare il parlamento, di dominare il governo, di stabilire insomma la loro dittatura a favore della propria forza politica e di quegli interessi economici di cui erano sostenitori. La rivoluzione era reazionaria e plutocratica: ecco quello che offriva la guerra al nazionalismo italiano. Tuttavia, da solo esso non bastava all'impresa. Minoranza, cercò altre minoranze decise, come lui, a prepotere. Trovò i repubblicani... i sindacalisti anarchici ... i radicali ... Tutti costoro si trovarono, si squadrarono, si pesarono, conclusero che si poteva mettersi insieme per l'unica vera rivoluzione che valesse la pena di fare: la conquista del potere. E così dal Bibliotecaginob.ianco

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