Nord e Sud - anno VI - n. 53 - aprile 1959

prendimento di quel minimo indispensabile di regole grammaticali e sintattiche di cui si è detto, senza che, per altro, lo studio delle regole diventi il centro dell'insegnamento del latino, come purtroppo finora è stato, nella pratica se non nella teoria. Contemporaneamente, ci permettiamo un suggerimento, rivolto proprio a far sì che l'apprendimento del latino diventi effettuale, e non sia una finzione come in gran parte è attualmente: proponiamo cioè che la versione dal latino sia molto più estesa delle attuali quindici righe. Chi intende una lingua, in quattro ore e col vocabolario a disposizione dòvrebbe saper. tradurre ben più che mezza paginetta: altrimenti, che saper~ è questo? Oppure - qui l'innovazione sarebbe rivoluzionaria - si potrebbe concedere alla versione dal latino, di quindici o venti righe, non più di un'ora, o un'ora e mezza; e nel tempo restante - due ore e mezza, o tre ore - i candidati dovrebbero essere chiamati a svolgere un tema di cultura classica, o a rispondere per iscritto ad alcuni quesiti, il cui scopo sarebbe di accertare 1~ loro effettiva conoscenza del mon'do classico. In questo modo lo studio del latino (e così pure del greco) avrebbe un reale valore culturale e non solo sterilmente erudito; non sarebbe più una finzione, ma uno strumento volto a formare nel giovane una capacità critica nei riguardi del passato; si legherebbe, quanto a metodo, all'insegnamento della letteratura italiana e delle discipline storiche (storia politica, della filosofia, della pedagogia, dell'arte), mentre ora appare ispirato essenzialmente da preoccupazioni linguistiche, vagamente filologiche. Cento anni or sono, quando una provvida disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna abolì l'uso del latino negli esami orali delle facoltà umanistiche, i soliti « difensori del latino » - cioè i difensori della tradizione retorica e formalistica dell'insegnamento del latino ·- gridarono allo scandalo, e vaticinarono un sicuro scadimento del livello degli studi universitari; l'uso obbligatorio della lingua latina negli esami pareva loro indispensabile per la formazione mentale e culturale delle giovani generazioni. Il futuro non diede certamente loro ragione; la diede invece ai fautori dell'abolizione, i quali osservavano che la fatica dell'esprimersi (male, per giunta) nella l~ngua latina meglio poteva e doveva essere impiegata nell'approfondire la sostanza della disciplina che era oggetto di esame. Le considerazioni che oggi avanzano i fautori dell'abolizione della versione in latino sono affini a quelle esposte dagli abolizionisti di cento anni fa: che tale versione costringe per anni e anni gli alunni ad uno sforzo che oggi meglio sareboe impiegare in cose più modernamente formative; che la prova stessa ha un carattere prevalentemente se non unicamente tecnico - sovente vi riescono bene gli sgobboni che poi non ce la fanno a capire un brano di latino di media • difficoltà - che non serve affatto a valutare la maturità di un candidato. Il (43] Bibliotecaginobianco

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