RoGER VAILLAND: << La Loi », Gallimard, Trad. ital. << Il Gioco della Legge», Mondadori 1957. Una nuova provincia si aggiunge alle tante già note della complessa geografia letteraria del Mezzogiorno. In realtà l' avvenimento non dovrebbe destar meraviglia; ché, quasi ogni piega del nostro territorio, dalle campagne dell'Acerrano alle spiagge jonie, dalle valli molisane agli estremi contrafforti appenninici, è attentamente, avidamente esplorata da scrittori che, non sempre, sanno o vogliono respingere le sollecitazioni di una moda e la tendenza a creare atmosfere più vicine a suggestioni intellettualistiche che ad una reale coscienza della società e della problematica meridionale. Naturalmente non sono mancati contributi eccellenti ad una conoscenza del Sud e della sua gente; e se il richiamo a Levi o ad Alvaro può sembrare sin troppo scontato, i nomi di Francesco Jovine, di Fortunato Seminara, di Rocco Scotellaro e - sotto certi aspetti - dallo stesso Sinisgalli (almeno il Sinisgalli delle prime poesie e dei racconti di << Belliboschi ») testimoniano di un in• teresse che trascende il dato folkloristico, per fern1arsi al giudizio e alla denuncia RECENSIONI di un mondo inaccettabile, di una condizione disperata ed anacronistica. Per Roger Vailland la tentazione di lasciare la pagina ai miti e alle seduzioni di un ambiente che - se pur di maniera - ancora permette ad un forte narratore di trarre pretesti e occasioni di prestigiosi exploits letterarii, mentre da un lato rischia va di risolversi in un sofisticato esotismo, d'altra parte poteva spingere a visioni e soluzioni che, per gli schemi di una determinata politica, avrebbero trascurato i dati peculiari ad una condizione particolarissima, che solo una coscienza storicistica e una decisa vocazione meridionalista può aiutare e comprendere. Al contrario, l'Autore, mentre rifiuta le posizioni di certa critica marxista, per studiare senza preconcetti le reazioni ambientali, i rapporti sociali, le aspirazioni ed i moti repressi delle singole individualità, propone un paesaggio umano scevro da indulgenza per ogni forma di n1ito collettivo; sia esso quello di civiltà contadine precristiane, cristallizzate e inaccessibili, sia l'altro, egualmente discutibile, di una cultura ancestrale, assopita al1' ombra dei tanti ruderi ellenistici, sparsi I un po' dovunque sulle nostre spiagge. Ché, se ad una prima e distratta lettura [118] Bibloteca Gino Bianco
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