Nord e Sud - anno IV - n. 26 - gennaio 1957

caratteristiche del regi1ne dittatoriale di transizione e della relativa normazione giuridica, vengono in primo piano. Donde le asperità teoriche per conciliare le tesi di finale palingenesi con la concreta realtà statalistica del regime transitorio, sulla concepibilità o meno di un diritto specificatamente socialista, nel ripensamento globale della fenomenologia giuridica. In questi autori delle origini prevale in definitiva l'intento di perseverare nella tesi circa la intrinseca natura borghese del diritto e delle primitive idealità rivoluzionarie. Di qui costruzioni infelicissime, cscurità e bizantinismi che toccano il loro culmine nella teoria di Pashukanis circa la natura intimamente privatistica d'ogni vero diritto, ivi compreso il diritto penale! Senonchè, in concomitanza con l'affermarsi dello stalinismo, con la necessità puramente politica felicemente posta in risalto dal K. di rafforzare l'autorità dello stato e la disciplina del regime (la legalità << socialista »), si ha la grande svolta di cui l'accademico Vyshinsky fu il più autorevole formulatore. Per tale nuovo orientamento i teorici del primo periodo non solo vengono ripudiati, ma accusati di deviazionismo e di tradimento. È evidente, infatti, che non v'era più posto per gli assertori della natura intrinseca borghese del diritto, ivi compreso quello concepito come transitorio della dittatura proletaria; v'era, invece, bisogno di chi riscoprisse le categorie novissime di un nuovo diritto, quello socialista, del diritto << buono » in contrapposto a quello « tattivo », sempre in attesa della palingenesi totale ora rimandata al completo trionfo del comunismo nel mondo Ecco • allora il carattere puramente strumentale in senso politico del neo-normativismo sovietico, le non minori contraddizioni in cui inaeppano le nuove teoriche e le nuove definizioni, fino alla accertata impossibilità per i sovietici di fondare una coerente concezione del diritto internazionale, impossibilità che il K. esamina nell'ultimo capitolo del suo egregio volume. Tuttavia qui, dei risultati ottenuti dal I(., non si vuol fare una valutazione semplicemente giuridica, idest formalistica; bensì una valutazione politico-ideologica, come al carattere di questa nostra rivista meglio corrisponde. Ed in questo ordine di idee sono da ricercare le ragioni più intime, ideologiche, di tale inanità del marxismo, almeno nella sua versione leninista-stalinista (riteniamo, infatti, che un diverso discorso potrebbe farsi per altre versioni del marxismo, quella di Kausky e dell'austro-marxismo, ad es., lamentando che in proposito l'opera del K. sia singolarmente muta), a ·fondare una plausibile teoria del diritto e dello stato. Ora codeste ragioni, a nostro sommesso avviso, possono rinvenirsi nella mancata scomposizione critica delle parti, ben distinte e diverse, di cui consta il complessivo corpus marxiano, sceverando nello stesso quanto è veramente vivo e vitale da quanto è invece ca,duco. E ci si consenta di dire, pur affrettatamente come l'ottima dimensione di una recensione inesorabilmente esige, che app,unto in rapporto a questa mancata scomposizione critica del marxismo si fonda l'estrema riluttanza di chi scrive a dirsi marxista. Chè in Marx non c'è solo la concezione del materialismo storico e dialettico secondo la quale l'uomo è soprattutto determinato dal suo [118] BiblotecaGino Bianco

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