Nord e Sud - anno II - n. 8 - luglio 1955

' ' 'A ' b mo me sent ommo overamente... sta guerra cca se torna uone; ca nun se vò fà male a nisciuno. Nun facimmo male, Amà, nun facimmo male ... ». Nella confusione di una città poverissima e «milionaria>>, che si arrangia cioè a vivere nel più cangiante e farsesco dei modi, ecco insinuarsi, come uno straniero, questo personaggio solitario e patetico, destinato a rimanere inascoltato. È una flebile voce di saggezza, piena di sicumera e generosa di autocommiserazione, che stona in tanto tragico ed allegro caos: <<Osserva il lusso che ricopre gli invitati e istintivamente si tocca la sua giacca che gli sembra più lacera in contrasto con tanta sciccheria. Il contrasto lo rende mortificato, impacciato, timido: ' Caspita ... che lusso I Mi dispiace soltanto che io non sono presentabile e degno di voi... Chisto, 'o vedite (mostra il suo abbigliamento) è come se fosse una gloriosa bandiera di reggimento ... E si putesse parlà ... Figurateve ca mmiez' 'a 'na campagna, annascunnuto dint' 'a nu ft1osso, pecchè attuorno chiuvevano· granate e cannunate ... '. E qui s'interrompe come per cercare interesse alle sue parole, ma intorno non riesce a trovarlo: i suoi ascoltatori già appaiono distratti, tranne qualcuno che, muovendo il capo in senso affermativo, finge di interessarsi ... >>. È - per chi non l'avesse ancora capito -- il personaggio di Eduardo, trasferitosi di peso dall'estro dei copioni della prima maniera a questa produzione <<filòsofica ». Tutto un ingente bagaglio di improvvisazione e superficialità, tradizionale del teatro scarpettiano, si collega qui_ a nuove cocenti ambizioni, mai chiaramente definite, ma occhieggianti da ogni riga del copione: frutto di una confusionaria ed eclettica e mal digerita cultura teatrale che si sottomette alla programmatica esigenza di un protagonista che possa riempire di sè la scena, fare il «posatore», ~< castigare ridendo mores », atteggiarsi a Catone. Eduardo che vede infrangersi contro la sua nuova coscienza di uomo le onde del vecchio colore locale, del quale egli pure è il prodotto, e contro il quale incomincia a denunciare le ragioni di un suo isolamento psicologico. L'esile suggestione che pure aveva in sè questo piccolo mondo vernacolo che ancora egli conosce ed a tratti dipinge mirabilmente, si dilegua di fronte al freddo sermoneggiaredi questo figlio del popolo fatto furbo dagli eventi: la spregiudicatezza e la verve di un uomo di teatro sensibile al minimo traguardo della <<macchietta», della battuta, dello svarione grammaticale, si atte11ua e disperde al contatto con l'ermetismo improvvisato di una costruzione psicologica volutamente complessa ed oscura. È forse il pezzente di Napoli che s'avvia a diventare proBibloteca Gino Bianco

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