Lo Stato - anno II - n. 9 - 30 marzo 1961

piantagioni, ma occorre che queste siano poste nelle condizioni « otti– me» per produrre. Vale a dire che l'incremento colturale deve rispon– dere a uno dei più semplici principi di economia agraria: strutturare la coltura in modo che l'alta produtti– vità agisca sulle spese generali e sui costi unitari, comprimendoli. Nel nostro paese, ciò non sempre è pos– sibile, e non solo per le condizioni ambientali (natura del terreno, fat– tori climatici, ecc.) e per il reddito dim1rito dei nuovi impianti, ma an– che per lo scarso sviluppo « vertica– le » delle economie di molte azien– de agricole. In altre parole, i pro– duttori trascurano di attrezzarsi tec– nicamente per procedere alla prima trasformazione del prodotto, rivol– gendosi a terzi per la estrazione del– l'olio dalle drupe. E' vero che tale carenza è dovuta spesso alla scarsi– tà di capitali, ma è altrettanto vero che le tendenze individualistiche di molti agricoltori italiani, specialmen– te meridionali, ostacola il diffonder– si della cooperazione, una delle for– mule migliori, almeno allo stato at– tuale dell'organizzazione agricola, per superare la debole struttura del– le aziende di proporzioni limitate. La cooperazione, in questo caso, permetterebbe, fra l'altro, di affron– tare con maggiori possibilità di suc– cesso il rinnovam<2nto tecnico del ra– mo, di limitare i danni delle infe– stioni parassitarie, attraverso una organica lotta antiacida, di ridimen– sionare la concorrenza degli olii di semi, offerti a prezzi più favorevoli, di resistere alla pressione degli in– termediari fra la produzione e il con– sumo, di estendere la campagna per la genuinità del prodotto e la lotta contro le sofisticazioni, i maggiori nemici dell'olio di oliva. Agli anni di minore produzione, infatti, cor– rispondono più elevate importazioni di olio di semi e più diffuse sofisti– cazioni, e viceversa. Sia le une che le altre agiscono sul mercato a dan– no dell'olio di oliva, modificando il gusto del consumatore, il quale è sollecitato a cambiare abitudini non solo dal confronto dei prezzi, ma anche dalla pubblicità che le indu– strie interessate organizzano per conquistare il mercato. I più forti complessi industriali del ramo, da altra parte, puntano, nelle annate di scarso raccolto di olive, sull'olio cii semi, ricorrendo anche all'impor– tazione, per sopperire alla domanda di olii vegetali. E' necessario, quin– di, operare in modo da accrescere la Lo STATO o ecaginobianco produzione olivicola e neutralizza– re l'andamento irregolare della col– fura con opportunr mezzi tecnici e organizzativi. A tal fine, molto pos– sono fare gli stessi agricoltori, ma molto deve esser fatto dallo Stato, il quale, nell'economia moderna, ha il compito di indirizzare la produzione con i criteri più razionali e produt– tivi. Per avere una idea dell'impulso che occorre imprimere a questo comparto della nostra economia a– gricola, basti rilevare che solo poco più deila metà della superficie de– stinata in Italia a oliveto dà una produzione lorda vendibile il cui va– lore si aggira, in media, fra le 60 e le 80 mila lire per ettaro, giustifi– cando la coltur::1., mentre i valori dell'nltra metà fanno dubitare del– la convenienza di mantenere gli im– pianti, scarsamente produttivi. Per quanto riguarda la trasformazione del rcrodotto, va osservato che il mi– glioramento dell'industria frantoia– na - attraverso l'ammodernamento dei vecrhi « trappeti l> e la concen– trazione dell'attività in complessi di dimensioni più economiche è piuttosto lenta, sebbene ormai si no– ti la tendenza ad attrezzarsi con frantoi atti a lavorare 100-120 quin– tali di olive nelle 24 ore. D'altra par– te, tale processo di riduzione dei co– sti non ha potuto far sentire i suoi effetti per l'aumento di altre spese, quali la forza motrice e i contributi previdenziali. Attraverso l'ammodernamento de– gli impianti e la creazione di elaiopo– li e olifici a carattere cooperativisti– co sarebbe possibile ottenere, oltre che la riduzione dei costi, un pro– dotto di qualità costante. Purtrop– po, l'industria olearia di raffinazio– ne - sorta per motivi di convenien– za economica nel Nord, cioè lonta– no dalle maggiori regioni olivicole, - non ha operato in modo da rap– presentare il completamento tecno– logico dell'industria frantoiana. Esi– ste, pertanto, una certa frattura nel ciclo produttivo dell'olio di oliva; u– na collaborazione efficiente fra i di– versi fattori della produzione po– trebbe, invece, limitare le oscillazio– ni del mercato provocate dalle vi– cende colturali. L'irregolarità della produzione ri– duce l'attività dei frantoi e dei san– sifici (questi ultimi, peraltro, ricava– no ora dalle sanse, cioè dalle olive frante, una quantità minore di olio in seguito al diffondersi delle super– presse, che sfruttano in misura mag- giare le drupe), ma agisce in modo relativamente modesto sull'industria di raffinazione. Questa, infatti, an– che nelle annate di raccolto scaden– te o scarso, lavora a pieno ritmo per trasformare in olio combustibile la gr1;nde quantith di olio lampante (cioè con acidità, espressa in acido oleico, superiore al 4 °lo) disponibile sul mercato nazionale o sui mercati 0steri. Ma c'è dell'altro: i raffinato– ri riescono ad rittenere, perfino da– gli olii al solvente, olii rettificati tecnicamente perfetti. All'origine delle frodi - denunciate dalla stam– pa eci. esaminate in sede tecnica con dibattiti responsabilmente condotti - sono, infatti, processi tecnologici non sempre individuabili. A tale confusa situazione ha portato, però, un po' di ordine la :-iuova legge sul– la « classificazione ufficiale degli_ o– lii di oliva ». Il divieto di vendita degli esteri– ficati, che secondo alcuni ambienti industriali determinerebbe un au– mento del costo di produzione de– gli olii di oliva, - si osserva nel– l'ultimo Annuario dell'INEA sull'a– gricotura italiana - non dovrebbe, in realtà, esercitare una influenza in tal senso, dato che l'olivicoltura e l'elaiotecnica dispongono, senza do– ver ricorrere alla esterificazione, dei mezzi tecnici per contrarre tali co– sti e attenuare, per altra via, anche il divario fra i prezzi di vendita del– l'olio di oliva e degli altri olii. So– no, quindi, ingiustificati anche i dubbi che dal provvedimento po– tranno derivare effetti negativi per quanto concerne l'esigenza, posta dall'attuazione della CEE, della maggiore possibile riduzione dei co– sti, necessaria per potere più digni– tosamente chiedere che venga man– tenuta una adeguata protezione al– la nostra olivicoltura. Il Trattato di Roma stabilisce che la tariffa doganale comune verso i paesi terzi sia determinata dalla me– dia aritmetica dei dazi applicati nei quattro territori doganali della Co– munità. Per i semi oleosi, tuttavia, è previsto l'esonero daziario, men– tre per le materie grasse e gli olii vegetali il dazio è stato fissato nella misura del 2% e del 10%, a secon– da che si tratti di sego animale o di olii vegetali grezzi destinati ad usi alimentari. Tale misura è ritenuta insufficiente per la difesa della no– stra olivicoltura. D'altra parte, la Francia è interessata al sostegno dei prezzi e al collocamento dei semi di arachide dell'Africa occidentale, 19

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