Fine secolo - 1-2 marzo 1986

FINÈSEGOLO .*,SABATO :.1 :l OOMèNICA :tMAFIZO;) :' 2- ISm DEI DUE MONDI Questa è la storia dell'ultimo Indiano. Visse da solofinchè potè,poi si consegnò al . mondo degli altri, dei bianchi, dei-fiammiferi, e dei glottologi. L'unico mondo che restava. di Michele COLAFATO A ll'alba del 29 agostò .1911 un uomo nudo si consegnò ai macellai d'Ùn mat– . tatoio a 3 miglia da Oroville in Califor– nia. I cani di guardia l'avevano attaccato e l'uomo s'era piegato in due e rannicchiato in una posizione di difesa ma non aveva gridato né parlato. I macellai chiamarono lo Sceriffo della Contea, J.B.Webber, che vide l'uomo e lo riconobbe ufficialmente per un indiano, poi Io rinchiuse nella cella della sua prigione destina– ta agli insani. L'Indiano era stremato dalla paura e dai patimenti fisici, il suo corpo nau– fragava dentro un saio che gli venne allungato . per coprirsi. I fiammiferi Da anni gli indiani erano spariti dalla circola– zione, così curiosi da ogni dove accorsero in gita a Oroville per dare uno sguardo all'ultimo selvaggio. Il professor Kroeber, antropologo dell'Università della California, lesse sul «San Francisco Cali» il :resoconto della cattura del– l'ultimo Indiano che nel frattempo aveva di– mostrato di saper parlare una sua lingua diver– sa dall'inglese, e munito di una regolare auto– rizzazione dell'Indian Bureau di Washington corse alla prigione e riuscì a farsi consegnare il cattivo. Il 4 settembre l'ultimo Indiano selvag– gio lasciò Oroville per San Francisco in com– pagnia di Kroeber, del· suo assistente Water– man e di Batwi, un Indiano che aveva già lavo– rato con i professori alla reda21one di un voca– bolario Yana. Nell'uomo che per 1a prima vol– ta in vita sua sedeva a fianco dei Bìanchi, vedeva il treno, osservava i fiammiferi usati da Kroeber per accendere la sua pipa si riconobbe un appartenente ai gruppo Yahi - uno dei quattro in c·ui si suddivideva il popolo Yana. La cosa che apparentemente lo colpì maggior– mente nella traduzione a San Francisco fu la fiamma sprigionata senza fatica e preparativi dal fiammifero di Kroeber. Gli Yana costitui– vano una delle ventuno nazioni Indiane della California, e tutti gli Indiani della California erano fino al 1850, dieci anni prima della corsa all'oro, tra i 150 e i 250 mila. La lingua delle madri e quella degli uomini Caratteristica esclusiva e straordinaria degli Yana l!rano i due separati dialetti per gli uomi– ni e per le donne. La prima lingua di ogni nato era quella materna. Il masc!ùo avrebbe impa– rato la seconda .all'età di dieci anni dopo aver abbandonato la compagnia delle donne. La prima lingua, l'unica parlata dalle femmine, era usata dai ragazzi e dai maschi adulti in pre– senza delle femmine. Nel 1872, quando il sel– vaggio ribattezzato Ishi (che in Yahi significa semplicemente uomo) aveva più o meno 10 anni, forse non più di 20 o 30 individui del suo gruppo sopravvivevano di caccia, pesca e fur– tarelli, a valle sui fianchi aspri e selvosi delle montagne che i coloni Bianchi, persa con la scomparsa delle tribù la speranza e l'emozione di cacciare il nemico, non avevano più motivo di frequentare, Nel 1859 gli Yana già non esi– stevano più come popolo: erano stati stermina– ti dalle epidemie, specie tubercolosi, malattie veneree .e vaiolo, dalle armi .da fuoco e dal trauma delle deportazioni. Ishi era nato in un ·gruppetto di dodici Yahi scampato all'ultimo storico massacro. in località «Three Caves» che vivevano nascondendosi. Costretto alla clan– destinità perpetua alretà di 10 anni, quando poi gli altri pochissimi superstiti del suo mon– do morirono visse da solo tra gli alberi le ac– que e gli animali fino al 29 agos~o 1911. Di casa nel museo Ishi morì di infezione tubercolare il 25 marzo 1916. Nel periodo compreso tra civilizzazione e morte abitò nel museo dell'Università co– struendo archi e frecce (che ancor oggi si pos- sono vedere) e sottoponendosi di buona grazia alla curiosità dei visitatori. Passava il tempo facendo lavoretti ·d'ogni tipo purché fossero utili a qualcosa o qualcuno glielo chiedesse, si rese utile ai linguisti e passò straccio e scopa in terra percependo un modico salario mensile da aiuto bidello. La sua storia é stata raccontata · con mirabile compassione e misura da Theo– dora Kroeber nel libro «Ishi in Two Worlds» pubblicato dalla University of California Press nel 1961. Ishi era un orfano senza neppure pa– renti superstiti o terra lontana a cui guardare. Nulla e nessuno intorno a lui gli regalava quel sentimento elementare di identificazione che accompagna e fa brillare l'esistenza di ciascu– no. Conosceva poche parole di inglese e i suoi amici antropologi non parlavano fluentemente yana. Eppure scelse di rendersi utile benché nessuno lo costringesse, di stare con gli uomini della razza che aveva distrutto il suo popolo e la sua famiglia, di coltivare la propria indipèn– denza anche se non finalizzata alla competizio– ne e al successo. Nel maggio 1914 fu chiesto a fshi di guidare ·una spedizione scientifica sui luoghi della sua infanzia depredata e dalla sua solitaria vita da adulto. Accettò: Fece tutto ciò che i compagni di impresa desideravano: li portò dove i suoi erano stati uccisi, al ruscello dove si bagnava, nei suoi nascondigli e dove stava acquattato in attesa della caccia. Divise con loro le sue me– morie e forse, scrive la Kroeber, «in questa av– ventura emozionalmente simile alla psicoanali– si riuscì a colmare il vuoto tra il suo primo mondo e quello àttuale. Per quanto felici fosse– ro questi giorni, egli volle impovvisamente tor– nare indietro nel museo, ritornare a casa. Men– tre il resto della compagnia si dimostrava rilut– tante a partire, a ritornare alla civiltà, Ishi sol– lecitava le operazioni di -smantellamento del campo e di carico delle bestie da soma». La nostalgia non è una virtù Ishi sembra un anti-eroe della socialità, della pazienza e del coraggio di vivere. La sua scelta di vita che forse attinge a un profondo senso della dignità personale e a una forte tempra morale non ha il carattere declamatorio della disfida ideologica al nemico, e il suo rapporto con ciò che chiamiamo il passato non é nostal– gico o appiccicoso come le memorie di coloro che pretendono di affezionare i contemporanei e i futuri alla morte del miglior mondo possibi– le. Egli vive da solo finché può, poi si conse– gna. Svolge con lealtà la propria parte nel nuo– vo mondo in cui il suo personale valore é quel– lo della reliquia. Abita in un museo. Accoglie i visitatori e si lascia toccare da1le loro mani. Capisce che il suo passato può essere interes– sante per i suoi amici ma rifiuta di farsene il compiaciuto custode. Costretto a navigare per l'oceano del nulla e della distruzione cerca quotidianamente di ricostruire significati e sen– timenti costruendo oggetti e svolgendo occu– pazioni utili soprattutto agli altri. Torna indie– tro perché glielo chiedono ma sceglie di guar– dare avanti verso il mondo in cui non é nato ma che rimane l'unico in cui vivere.

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