Fine secolo - 8-9 febbraio 1986

a rimanere ben più indeterminata dell'impres– sione prodotta da una qualunque occhiata sommaria. Non dico questo per sminuire l'utilità e l'im– portanza della descrizione verbale in un'occa– sione come quella di cui sto parlando, ma sol– tanto nell'intento di tratteggiarne il limite; per superare il quale è indispensabile dotarsi di al– tri strumenti, quali ad esempio i disegni in ri– lievo che per l'appunto accompagnano le sche– de appena descritte. I disegni in rilievo Il disegno in rilievo fa da ponte fra la descri– zione verbale e l'esperienz.a diretta (tattile) del– la scultura. La sua dimensione ridotta -deve es– sere contenuto su un normale foglio di. carta, altrimenti risulta del tutto inutile- rende più accessibile un'jdea di insieme dell'oggetto: con– tribuisce cioè a sottrarla alla complessa media– zione della memoria, inevitabile in un'opera- . zione tipicamente sequenziale come quella compiuta dalla mano che tocca una dopo l'al– tra le diverse parti. Ne risulta per il soggetto una più precisa nozione delle proporzioni e della reciproca collocazione delle parti nel tut– to. Anche qui però i problemi non mancano. Solo -o quasi- un vedente può tradurre un oggetto complesso da tre a due dimensioni, e insieme ridurne la grandezza mantenendo inalterate le proporzioni. E' facile a questo punto che egli si lasci trarre in inganno dal suo "punto di vi– sta". Ad esempio, la prospettiva centrale, in quanto strumento ben collaudato di rappre– sentazione della profondità, può risultare in questo caso una convenzione ingombrante e inutile. Il disegno in rilievo conserva in sè la terza dimensione, ma in una forma del tutto partico– lare: solo e unicamente in questo segno. Per il resto si tratta di definire un modo per rendere la profondità, che eviti la complicazione delle linee oblique e del mutamento delle proporzio- FINE SECOLO* SABATO 8 / DOMENICA 9 FEBBRAIO 5 Da sinistra:"Crollointeriore", -. ~ e,:_- scultura di uncieco dalla nascita. Testa. Pacasmayo,Perù. Statuadel dignitarioAnen. ni in relazione alla distanza dall'osservatore. I curatori della guida al Museo Egizio di Tori– no, in mancanza di alternative valide, hanno utilizzato il mezzo più semplice, e di conse– guenza, più approssimativo. Per la statua di Ramesse II o quella del dignitario Anen ad esempio, hanno accostato l'immagine frontale a quella laterale (a 90°), anch'essa vista fron– talmente. In questo, il loro compito è stato reso più age– vole dalla rinuncia degli antichi egizi al tutto tondo. Per le sculture descritte nella guida, i punti di vista, ad angolo retto l'uno rispetto .al– l'altro, proposti nei disegni per dare conto del– la profondità, coincidono grosso modo con i. punti di vista più significativi da cui chiunque del pubblico è chiamato a guardare le figure rappresentate. Non è però sempre così. Il pro– blema di una resa semplificata della profondità non coincide con quello della efficace indica– zione del punto di vista, o dei punti di vista, assunti come più significativi dall'artista. Tan– to più che -e qui sta la difficoltà principale- il concetto stesso di punto di vista è sostanzial– mente estraneo alla percezione aptica, abituata a esplorare ogni oggetto indifferentemente da tutte le direzioni. Riguardo alla possibilità di dare conto della terza dimensione e della specifica valenza di ogni punto di vista restando all'interno della sfera aptica, emerge dunque una evidente di– scontinuità fra gli oggetti -nel caso particolare le opere dello statuario di Torino- e la loro rappresentazione sul piano. Per non djre poi delle semplificazioni giustamente realizzate sui disegni cui ho accennato, al fine di evitare una eccessiva densità di segni, o delle necessarie schematizzazioni, ad esempio dei copricapi o delle barbe rituali, operate allo scopo di creare -anche per oggetti in parte diversi fra loro– simboli unificati più facilmente riconoscibili. Anche qui, come per la rappresentazione ver– bale, si tratta di misurare con precisione la co– municabilità dei messaggi a partire da un'at– tenta considerazione degli strumenti a disposi– zione evitando per quanto possibile di fidare troppo nelle capacità, che pure la mente in parte ha, di surrogare l'esperienza percettiva. L'intento didattico Fare qualcosa per facilitare un approccio tatti– le alla scultura, malgrado tutti i limiti e le diffi– coltà, è dunque possibile; e abbiamo visto come. Il discorso si fa più incerto quando si tratta di valutare i risultati. Come si sono comportati in proposito i pro– motori dell'iniziativa torinese? In primo luogo hanno scelto di rivolgersi a un interlocutore privilegiato -gli allievi delle medie inferiori- an– che se non esclusivo: troppe volte i ragazzini non vedenti sono stati esclusi -o si sono sentiti .esclusi, il che non fa gran differenza- dalle visi– te ai musei e al Museo Egizio in particolare; ora è disponibile una guida, stampata indiffe– rentemente in nero o in braille, che offre un buon terreno di incontro fra chi, come i ciechi, la vorrà usare per "toccare l'arte" e chi, come i loro compagni di scuola, se ne servirà invece come occasione per fermarsi qualche minuto in più ad analizzare nei particolari alcune delle sculture più .interessanti raccolte nello statua– rio. Va ricordato inoltre che la guida è concepita in modo tale da non richiedere ulteriori supporti. Un cieco, insieme al suo abituale accompagna– tore magari del tutto digiuno di arte egizia, di– spone ora di uno strumento che gli consente fra le altre cose di orientarsi, grazie a una pian– tina in rilievo, fra gli oggetti esposti nelle sale del museo e di ritrovare quelli per cui sono sta– te apprestate le apposite schede. Si tratta di piccoli accorgimenti significativi anche per la filosofia che li ispira: quella di garantire il mas– simo possibile di aiuto insieme al massimo di autono~ia. Se poi tutti i problemi non sono stati pienamente risolti, l'uso pratico della gui– da sarà una buona occasione per trovare nuo- ve soluzioni: ad esempio alcuni disegni in rilie– vo presentano difficoltà di lettura che possono essere affrontate solo con l'aiuto di un'altra persona. Che infine i promotori dell'iniziativa non si siano pronunciati esplicitamente su quale potrà essere il grado effettivo di fruibilità per i non vedenti delle sculture messe a disposizione •dal museo, a me non sembra certo un limite dell'iniziativa. Chi ha compilato le schede ten– de a valorizzare soprattutto la funzione didat– tica, centrate come sono quasi esclusivamente sugli elementi compositivi della scultura egizia: quanto poi alla dimensione estetica tutto è la– sciato al singolo visitatore. E quanti sono i vi– sitatori vedenti -mi è stato chiesto con un sor– riso dalla gentile curatrice della guida- in gra– do di apprezzare veramente la bellezza di una sfinge tebana? Si può toccare l'arte? Non penso però che si possa chiudere con una battuta una questione più volte discussa, e com'è naturale, mai definitivamente risolta: può un cieco o, per essere più rigorosi, un indi– viduo nato cieco apprezzare sulla base della sola percezione aptica un'opera di scultura? Mi limiterò qui a riportare in proposito una ri• sposta recisamente negativa ·e un esempio ad– dotto invece a sostegno di una posizione del tutto opposta. li primo giudizio è di G. Re– vesz, per il quale "l'esperienza estetica sembra essere assolutamente in antitesi con il carattere fondamentale della percezione aptica, con la sua natura analitica e costruttiva". "Non è " infatti "mediante la conoscenza o mediante l'i– dentificazione che otteniamo un'idea del valo– re estetico di un lavoro, ma mediante l'espe– rienza spontanea della bellezza artistica". "Dal momento che (i ciechi) non riescono a realizza– re la tensione interna prodotta dall'interazione delle diverse proporzioni, essi sono privi di quell'impressione di dinamismo, di energia vi– tale, di nobile bellezza interna, che dà alla struttura materiale inerte una pienezza di si– gnificato artistico". E "il piacere che i soggetti vedenti ricevono dall'opera d'arte quando la percepiscono apticamente, e ancor più i ciechi, è un piacere sensuale, una gioia creata dalla purezza della struttura e della disposizione ar– chitettonica, ma non dalla valutazione serena di valori artistici". Invece, l'esempio addotto, fra molti altri, a so– stegno di un punto di vista radicalmente diver– so è tratto da un lavoro di V. Lowenfeld dedi– cato alla creatività artistica dei bambini, con un'attenzione particolare ai ciechi e ai deboli di vista. Nell'ultimo capitolo del suo libro, Lo– wenfeld crede di individuare una relazione fra. certe forme di arte primitiva e l'arte dei ciechi. Il confronto fra una antica testa modellata . scoperta a Pacasmaya in Perù e un'opera dai tratti per certi versi simili realizzata da un suo alunno cieco dalla nascita dovrebbe conferma– re, a suo modo di vedere, la possibilità di rap– presentare le espressioni del volto non tanto sulla base dell'esperienza visiva, quanto a par– tire da mere sensazioni aptiche o come dice l'autore autoplastiche: sui due volti risultereb– bero evidenti i segni delle "innervazioni mu– scolari" che, per il loro apparire nella forma di un gran numero di linee parallele, a torto ven– gono normalmente interpretati come semplici motivi ornamentali. Di qui un esplicito paral– lelo fra arte dei ciechi e arte primitiva, ma so– prattutto la convinzione che ai privi della vista sia concesso uno specifico ambito, connesso con la sfera aptica, riservato alla percezione e alla creazione di opere artistiche di solito con– siderate tipicamente visive. NOTE I) G. Revessz, Psychology and Art of the Blind, New York 1950 (traduzione italiana a cura dell'istituto Romagnoli). 2) V. Lowenfeld, La natura dell'attività crea– trice, Firenze, 1968 (London 1938 e 1952).

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