Fine secolo - 8-9 febbraio 1986

FINE SECOLO * SABATO 8 / DOMENICA 9 FEBBRAIO 2 T occare l'arte" è un titolo suggestivo; fa. ripensare alla tattilità dell'artista men– tre lavora o alle discussioni sui valori tattili nella pittu-ra o nella scultura. Nel parti– colare universo dell'arte egizia, cui l'iniziativa proposta con quel titolo si riferisce, "toccare l'arte" è pratica corrente degli esperti e occa– sione indispensabile di esercizio per chi esperto vuole diventare. L'egittologo Giulio Farina era noto per l'insistenza con cui incitava i suoi allievi a chiudere gli occhi e a concentrarsi sul– la propria capacità di sperimentare al tatto i materiali, le superfici, le forme. Con questo, si proponeva innanzitutto òi svi– luppare nei suoi interlocutori le attitudini di un buon archeologo, abituato a manipolare diret– tamente gli oggetti e a saggiarne, con rispetto e precisione, la natura, la qualità e lo stato di conservazione. Certi residui di corteccia rima– sti su un'assìcella di legno tagliata a stele -mi spiegano alla Soprintendenza alle Antichità Egizie di Torino- non si possono apprezzare alla vista;· così, solo la mano è in grado di co– gliere appieno, in scultura, la diversa natura delle superfici: la grossa grana dei manufatti in La scelta delle sculture . I curatori dell'iniziativa hanno lavorato per tappe successive. In primo luogo hanno esami– nato con attenzione le due grandi sale che ospitano lo statuario, per sceglie,rei pezzi più adatti. Si trattava da una parte di rispettare l'emblematicità delle singole sculture e dell'in– sieme delle opere scelte -in tutto quattordici, un numero comunque limitato vista la relativa lentezza di un approccio puramente tattile- in vista di una prima sommaria conoscenza della cultura e della storia degli antichi egizi. D'altro Iato, si voleva garantire al futuro visitatore il massimo possibile di leggibilità del materiale · che si intendeva mettergli a disposizione. Così molti pezzi sono stati scartati per i più vari motivi: per imprenscindibili problemi di con– servazione, tali da suggerire, per un futuro non si sa quanto ·lontano, la produzione di calchi in gesso più facilmente accessibili; per le dimen– sioni troppo piccole e troppo grandi; per l'ec– cessiva densità dei segni, come nel caso della stele di Rosetta; per la scarsa fruibilità d'insie– me, come nel caso di un rilievo nel quale la TOCCARE L'ARTE di Fabio LEVI Conosciamo tutti il sacrosanto e ossessivo avvertimento - unica qualificazione professionale di tanti custodi di museo - · "non toccare". Il museo egizio di Torino ha appena preparato la guid4 a un percorso tra statue "da toccare". Destinata ai non vedenti, l'iniziativa sollecita a riconsiderare il rapporto fra la scultura e il tatto, con conseguenze impensate anche per i vedenti. arenaria o la levigatezza, ottenuta dopo un lungo lavoro di politura, di certi graniti. Il tatto dunque come mezzo indispensabile per la valutazione dei materiali e del lavoro arti– gianale che ha saputo esaltarne le caratteristi– che; ma anche come strumento essenziale per misurare le impercettibili modulazioni che ani– mano la geometria della scultura egizia a volte ben oltre il limite delle possibilità visive: si trat– ti del muscolo di una gamba, della prominenza di uno zigomo o di qualsiasi altro particolare su cui è esercitato Io sforzo di perfezione del– l'artista. E una sensibilità o, meglio, una sensi– tività in tal senso è il risultato di una lunga esperienza, difficile da descrivere e ancor più da teorizzare: un privilegio insomma concesso a pochi e del tutto irraggi~mgibile,ovviamente, per il comune visitatore di musei. . Ma quel titolo -"toccare l'arte"- appare anche in un'altra direzione, non meno difficile da im– boccare e dai tratti un po' paradossali. Sto re– censendo -è ora di dirlo- un opuscolo didattico inteso a fornire la guida adeguata per una visi– ta "tattile'' dello statuario del Museo Egizio di Torino; un opuscolo rivolto in particolare ai ragazzini ciechi delle scuole medie inferiori. Ora, il paradosso non sta certo nell'aver deciso -in questa forma, per la prima volta in Italia– di abbattere una ulteriore barriera, fonte di di– scriminazione e di isolamento per chi non vede; quanto nell'aver voluto piegare una for– ma artistica evidentemente visiva come la scul– tura alla percezione della mano. Con quali obiettivi? Con quali modalità? E' proprio di questo che vorrei parlare, nell'intento di solle– vare problemi e interrogativi, la cui portata va senz'altro al di là della apprezzabile realizza– zione promossa dal Comune di Torino. granulosità del materiale e le pose dinamiche delle figure rendevano ogni cosa affatto irrico– noscibile al tatto. Si sono preferite invece le opere che uniscono a una effettiva rilevanza dal punto di vista egittologico una non eccessi– .va complessità di forme e una sufficiente ac– centuazione dei particolari: fra l'altro una sfin– ge, una statua del Dio Api, una di ariete e una di leone, le figure di Ramesse Il e di Amenho– tep Il, un blocco inciso in geroglifici, il sarco– fago del giudice Gemenefherbak. Le schede descrittive Una volta scelti i pezzi, si trattava di renderli accessibili. Ora, va considerato che il tatto pro– cede invariabilm~nte dal particolare al genera– le, dalla parte al tutto, inteso come somma più o meno integrata dei singoÌi aspetti, via via sperimentati e memorizzati attraverso un per– corso tutt'altro che lineare: in mancanza di in– dicazioni preliminari, ogni particolare può al– ludere a innumerevoli contesti, così come ogni ipotesi sull'insieme via via formulata può attri– buire significati diversi al singolo particolare. A questo punto si rendeva indispensabile for– nire per ogni scultura una scheda informativa che desse subito una definizione d'insieme e aiutasse poi, sulla base di una minuziosa de– scrizione, a riconoscere le singole parti dell'o– pera, compresi alcuni dettagli del tutto impre– vedibili, come le abrasioni, le fenditure, le rot– ture o i materiali diversi dall'originale utilizzati per il restauro. Per certi versi la scheda doveva proporsi come un surrogato del colpo d'occhio iniziale lanciato da chi vede: e cioè uno stru– mento preliminare a qualsiasi approccio diret- '! i f~ l '~l!~ :, ~ ·_. \J ' ; . I ;'t ·\ \ ·.n ...: !.Il ,~ ·., .. ~~- . ' • c.•'~-... . .. ' f ~ .. '·,}' .... to al pezzo, in questo quindi assolutamente in– dispensabile al visitatore, malgrado tutti i limi– ti che una descrizione verbale inevitabilmente porta con sè. Ho scelto qui, per chiarezza, un esempio fra i meno complessi: la statua di sfinge rinvenuta a Tebe nel 1818 e atata intorno al 1000 a.C. Nella scheda che la riguarda si dice subito del materiale, l'arenaria; si danno poi le dimensio– ni, lunghezza m.3, altezza m. 1,47, larghezza m. 0,88, e si parla di sfinge "dal caratteristico corpo di leone con testa di re". Subito dopo si procede alla descrizione: "la figura è accascia– ta su una base alta cm.14 e presenta molti par– ticolari anatomici: i cinque ed i quattro artigli delle zampe anteriori e posteriori; i tendini del– le zampe; le zone di attacco delle zampe al cor– po; sette costole ai fianchi. Sul lato posteriore destro è la coda, portata in avanti ad avvolgere la zampa destra". Segue infine la descrizione analitica della testa e qualche ragguaglio im– portante sul ritrovamento, la datazione e il si– gnificato simbolico dell'opera. Un particolare non poteva essere taciuto, anche per evitare complicati fraintendimenti: "Il volto del farao– ne è adorno di una barba cerimoniale a forma trapezoidale con dodici ondulazioni, unita al collo della figura dalla pietra risparmiata du– rante la lavorazione, allo scopo di evitare che tra barba e gola si crei uno spazio vuoto, estra– neo al gusto·ed allo stile della scultura egizia". Si dice abbastanza?·o troppo poco? Qualun– que risposta si scelga di dare a tali domande, tenuto conto peraltro delle finalità didattiche della scheda, degli interlocutori cui si rivolge, della mole non indifferente di un testo di molte pagine trascritto in braille e via considerando, vorrei far notare almeno tre aspetti della di– stanza invalicabile che, in ogni caso, si frappo– ne fra una descrizione verbale come quella ap– pena citata e l'oggetto cui essa .rinvia: il rigido condizionamento -benvenuto in questo fran– gente, ma non per ciò meno cogente- al quale è sottoposto suo malgrado il destinatario del messaggio; la carenza di immediatezza e infine la genericità di un'immagine mentale destinata

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