Fine secolo - 21-22 dicembre 1985

Pubblichiamo alcune parti de/l'ultimo capitolo del libro di Afo Sartori, "Santi a dispetto del Paradiso", appena edito da Pacini, Pisa. I I jazz, si sa. lo si è ripetuto, coinvolge an– che molto lo sguardo rispondendo ad un_ luogo comune molto imprescindibile: pic– cole attrazioni accendono l'interesse non meno della musica; il pia.uamento scenografico del concerto; la disposizione strategica degli stru– menti all'inizio, e gli stessi strumenti distratta– mente abbandonati nell'intervallo: le bacchette sul rullante, il contrabbasso aggiaccato, la tromba sulla seggiola e una bottiglia per terra; l'osservare mille intensi particolari tipici, e classici, degli strumentisti jazz, (testimoniati non di rado da fotografie cariche di suggestio– ni); osservare i comportamenti - taluni mania– cali, taluni superstiziosi - di un artista verso il proprio strumento; .le immagini degli orna– menti bibelots del jazz fitti anche di scapestra– tez7.e: com'è risaputo. Scrutarlo poi dall'altra parte della barricata, ossia dal palcoscenico, da addetti ai lavori, ol– tre a pennettere di sgamare numerose impa– reggiabili sfumature in più, l'umore dei musici– sti nell'ensemble e tra loro, la concentrazione che isola l'artista, la sua solitudine in mezzo alla moltitudine, le interrogazioni del feeling segnate sul volto, quel ritrovarsi più a contatto con gli enigmi che il jazz costantemente predi– spone (Paolo Conte: duemila enigmi nel jazz ...), significa anche, e inoltre, un succulen– to, smisurato salto che uno spettatore pres– sochè professionista - mettiamo pure il sotto– scritto - stanti svariati anni d'attività di servi– zio necessario, compie verso orizzonti di gloria organizzativa portandosi dietro quantità ana– loghe, generalmente cospicue, di angosce e spe– ranze: ciò manco a dirlo fornirà esperienze che riempiono di orgoglio ... e di... debiti ... Ho udito - con queste orecchie avrebbe detto nonna - il grandioso Archie Shepp pronuncia– re un paio di volte, ora estasiato ora depresso, "My God" nel suo rapido soggiorno pisano. Una prima volta, avvinto dalla· Bellezza, nella splendida Piazza del Duomo vista all'imbruni– re in un giorno di dolcissimo autunno, allorchè il crepuscolo ne acclama i contrasti nel cando– re dei manni secolari; l'altra quando gli comu– nicammo, acciaccati dal rammarico giuro, come e qualmente non avevamo disponibili • LAPIU' GRANDE Nessuno ha mai cantato come lei le parole fame e amore. Difficile non è cantare, diffici– le è creare la vita cantando, scazzottarsi con la vita cantando, come Lady Day, impecca– bilmente, fra insolenti eleganze e sensualità sfacciate, ostilissima alle mezze misure che sprofondano anche personalità di prim'ordi- ne. E perchè poi è del resto risaputo, anche parecchio, lo stretto rapporto fra sesso e jazz, lo racconta lei stessa senza equivoci: "A quei tempi Alice Dean teneva un casino vici~ no a casa nostra, e spesso facevo delle com~ missioni per lei e le ragazze. Non sono I~ sola, penso, ad aver sentito per la prima voi~ ta del buon jazz in un bordello. Però non ho mai dato importanza a questo fatto. Se aves– si scoperto altrove la musica di Louis e di Dessiemi sarebbe piaciuta lo stesso. Ma tanti bianchi la conobbero nelle case come-quelle di Alice Dean e perciò la chiamarono musica di casino. La geòte dimentica come stavano le cose a quei tempi, il casino era l'unico po– sto, si può dire, dove i bianchi e i neri potes– sero incontrarsi tranquillamente, come una cosa naturale. Certo che nelle chiese si faceva poca amicizia". E poi perchè Io si è già visto: FINE SECOLO* SABATO 21 / DOMENICA 22 DICEMBRE 7 ... li jazz compie 85 anni. Il jazz itali.ano ne compie 45. Anche Afo Sartori. Che per l'occasione hafatto la storia del jazz in Itali.a, e sua personale, l'ha stampata e Ombre di tristezza calarono nei racapiti della dolcezza, là fra i lineamenti, mentre uno sguar– do sconsolato e invocanté forse voleva dirmi, chissà: «Ti ci metti anche tu compagno?». Ri– spose., eccome!, viceversa, risentito e brusco, arrestando per un attimo la «lunga marcia» in– trapresa sul libro bombardato di pastasciutta, Charles Greenlee: «E' il momento di piantarlà con codeste stronzate! Archie è un grandissimo musicista! Archie non si tocca». E chi lo tocca: rilegata.· . lmbiancluno, più tardi costituito· in ditta, ~rande scrittore murale, a suo tempo, di lui a Pisa si cantava ''Perchè l'è il simbolo/ dell'Antinori / Afo Sartori / lo vogliamo sì", quando a Pisa si cantava. tutte le palanche pattuite: sì... quel concerto ci aveva riempito d'orgoglio ... e di debiti. ( ... ) Il diavolo fa uso d'acquasanta? Il Leone stan– co rifiuta ruggire ancora? Forse! Illusioni tipi– camente perdute? Possibile! Ciabattate del ri– flusso? Probabile! Smarrito l'ardore di una volta? E con questo? Non è più Shepp si dice in giro: eccoli gli avvoltoi, gli impiegati del co– munismo rannicchiati con astio sotto i tomo dell'ideologia, prontissimi a voltare le spalle al 0 l'artista appena decide di smussare gli spigoli giacchè darci contro è semplice questione di in– columità della capoccia. Qua a Pisa apparve, il grande uomo, effettiva– mente stanco della gestione ultradecennale di conflittr irresolvibili fra due signore ingorde, la .Prassi e la Teoria; delle contraddizioni; alacre– mente giunte al loro pettine come ogni rispet– tabile e insulso nodo, fra due cuginette in ca– gnesco fra loro come Estetica e Ideologia. In– cedeva perfino zompando in ogni tocca con certi piedacci angariati presumibilmente da "poichè era molto espansiva non era certo il– libata ..; ma sarà bene sortire "una tantum" dalla schiavitù dell'eufemismo che soddisfa pochissimo sempre. Chi l'ha conosciuta rac– conta che Billie era una che la dava via con gioia e partecipazione. Fugge davanti alle metafore: Billie era una che si è spesa tutta, mai portato resti a casa. (...) Nel 1958 è di nuovo in Europa dove era già stata quattro anni prima con ricordi e succes– si da incantesimo; !stavolta finirà anche in Italia dove non era[mai venuta: commetten- do una sciocchezza.i( ...) - Scende allo Smeraldo di Milano ingaggiata, chissà come, in uno di quegli scalcinatissimi avanspettacolo dove si celebrano le più squi– site avventure di Cretinetti, ovvero i trionfi del Mongoloide; c'è il solito comico che fa ri– dere, in un mare di doppi sensi, sulle più nu– merose funzioni corporali, una soubrette un po' allentata sopraffatta da penne di struzzo della Upim; alcune sculettanti alla meno'peg– gio, e un'orchestrina dimessa da liscio par– rocchiale. (...) Fa a tempo a cantare sì e no tre, quattro can– zoni prima di un nubifragio di spetacchia- gotta (la quale non è poi malattia tipica dell'i– nedia), ma recava sulla faccia, molto h"lh. la dolcezza di una sconfinata sensibilità umana, e un immenso fascino che le contraddizioni, an– corchè assottigliarlo, avevano anzi ampliato. Mi rendevo conto che ògni uomo ne ha dmtto, a quante contraddizioni vuole, senza per que– sto additarlo di carogna al culto e all'inclita: specialità degli uomini tutti d'~ pezzo. Io non sono tutto d'un pezzo, tuttavia gli volli porre la domanda, priva per altro di toni subdoli o cattivi né tesa a «smascherarlo», che ognuno gli presentava per sentirsi a la pagè, forse. Se è vero insomma che•iI grande arrabbiato dei free jazz, il rissoso assertore della coscienza politica dei neri, ha concluso imborghesendosi la para– bola rivoluzionaria approdando a comode mu– siche, che piacciono anche ai bianchi, del bel tempo che fu; se all'uomo che dianzi guidava incandescenti coacervi non sembra la musica che suona oggi una specie di inno di sconfitta; e qualche altra quantità ingente di amenissime bischerate. Billie Holiday «Guarda Magid che non volevo és~re scorte- se» gli feci poi. Era verissimo: solo che soffro di una mitomania recidiva che si eccita in pre– senza degli idoli del jazz e mi rincitrullisce come effetto contrario ogni volta: imbranatis– simo, intimidito buttai lì la prima cosa sciocca che mi capitò; letta per di più male nei giorni precedenti. Volli insomma anch'io bazzicare una risaputezza tranquillizzante molto sul «da– temi un aforisma mi dispenserete dal pensare con la mia testa»; precipitare nella mia trappo- la diuturna: difatti risaputezza magari Io era, quanto a tranquillizzare tutt'altro come facil– mente si evince. Cameron Brown discorreva di , letteratura - la insegnava prima ·del contrab– basso in una scuola media di New York - di– mostrandosi altresì appassionato del nostro vino puppandolo voluttuosamente da un bic– chiere dove aveva affogato, alla nostra moda, del limone; Dave Burrel si era forse perso per– lustrando il soffitto, lasciando tutto nel piatto; Beaver Harris speava unjoint sbirciandoci sot– tecchi con una certa avversione: nessuno di noi gli era simoatico. Ma c'è una cosa che la dice piuttost~ lunghissi– ma sulle sindromi del cangiare umore chiac– chierando poi amabilmente, evitando l'assillo di domande che attaccano e risposte che difen- in un locale milanesenel 1958.Pochi mesi primadella morte.(La foto è tratta da "Musica Jazz", ottobre 1984). ' dono. Archie narra la sua esperienza di docen– te di musica e cultura afro-americana all'Uni– versità di Amherst, Massachussetts: ebbene a·llesue lezioni non si presenta un nero che sia uno, sempre e soltano giovani intellettuali bianchi. Il mondo cambia costantemente pelle, a furia di inseguire il mondo dei bianchi ai neri si sono aperte prospettive forse più felici mate– rialmente ma più miserabili spiritualmente: rimbecillire anche loro dal benessere, o dal suo fantasma. Il che potrebbe anche corrispondere ad un abbrivio d'ipotesi affatto barbina, tra le miriadi possibili, sulla crisi del jazz. menti, fischi, ueggiamenti, sconcezze. I jazzo– fili milanesi si strappano allihi ti i ca ne-lli 1\lf;. !ano come "deep south?". La ripagano, im– pagabili, organizzandole un recital a:Iteatro Girolamo, piccolo ma giusto per chi riesce ancora a distinguere fra le categorie del giu– sto. Accompagnata dal grande Mal Wal– drom ottiene, si racconta, quello che in fon– do, dopotutto si merita: calorosa partecipa– zione, considerazione dovutale, testimonian– za d'affetto, benchè sia fin troppo facile in– dovinare come il meglio si sia perso per strade ... e che strade. Una vita come quella di Billie Holiday costa, dunque si consuma, manco a dirlo in fretta. · Nel 1959 Lady Day conta quarantaquattro devastatissimi anni: siamo al pagliolo. Detto fatto: un fegato permaloso ed affaticato e perfino decorato in battaglia si arrende con l'onore delle armi. Muore il 17 luglio in una di quelle candide camerette del Metropolitan Hospital di New York City. Ora, tutte le bio– grafie racconteranno che fuori della stanza prestava servizio un piantone dell'F.B.I., che aveva arrestato un cadavere in sospetto di droga. Una storia ''nei ve~to'' di Giorgio GASLINI Una cosa è comune, e lo è stata specialmente ne– gli anni '60 e '70, a tutti i tipi di critica jazz del nostro paese: un quasi' totale scollamento non solo dalla vita dei musicisti e dalle loro reali condizioni ne/l'azione, • ma specialmente dalle connessioni con la società, i suoi rivolgimenti, le sue trasformazioni, la sua storia politica ed eco– nomica. In altre parole la critica ufficiale ha sempre visto il jazz come una religione e non come "sangue e sudore" della gente. In particolar modo poi le sono sfuggite tutte le vicende storiche italiane che negli anni '70 han– no avuto nel jazz grandi momenti di incontro e di identità. Ed è a questo punto che questo lavo– ro di Afo Sartori, balza fuori come un 'attesa e necessaria pagina di storia del jazz. Afo anzitutto dimostra una vocazione di autenti– coforte scrittore. Mi piace il suo taglio morden– te, il suo linguaggio intenso e pieno di sapore. E proprio perchè non appartiene alla critica "uffi– cia/e" nè vi ambisce, può cogliere "nel vento" questa musica così inafferrabile e misteriosa. E la coglie con il cuore, innanzitutto, perchè ama i musicisti dei quali parla. Ma la coglie anche con una coscienza storica e politica non libresca, ma anch'essafatta in un amore vissuto in prima per- . sona.

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