Fine secolo - 7-8 dicembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 7 / ÒOMENICA 8 DICEMBRE 22 L a mia amicizia con Elsa è cominciata .ventidue anni fa, sul trenino che da.Piaz– zale Flaminio traversa la campagna ro– mana fino a Viterbo. Elsa andava a trovare sua madre, ricoverata in una casa di cura di Viterbo, e Wilcock, che avevo conosciuto qualche mese prima, aveva scelto proprio quel giorno di farci incontrare. ·A Viterbo Elsa ci lasciò alla stazione e ci ritrovammo un'orà dopo. L'incontro con là malata non era stato facile per Elsa: la madre, resa quasi demente da una grave forma di'artériosclero- .si, non l'aveva riconosciuta, ma Elsa; guar– dandola, aveva avuto l'impressione di rico– noscersi in quel volto incorniciato da ciocche di capelli bianchi e ne era rimasta impaurita. Per questo, mi disse più lardi, preferiva tin– .gersi i capelli precocemente incanutiti. (Nella clinica romana dove Elsa _hatrascorso gli ul– timi tre anni della sua vita, quando aveva or– mai cèssato da un pezzo di tingersi i capelli e sembrava a volte che per un istante non mi riconoscesse, mi ·è tornato in .mente quel no– stro primo incontro). Da quel giorno cominciò una frequentazione molto• intensa, quasi febbrile: ci vedevamo tutti i giorni, a volte dalla mattina alla sera. Elsa aveva quella illimitata disponibilità dei · periodi in cui non stava scrivendo. La matti– na si andava_a colazione fuori Roma, oppure · sull'Appia antica alla trattoria detta "I treni– ni"; la sera ci si ritrovava in qualche ristoran– . te del centro. Oltre a amici più giovani, c'era– no spesso Pier Paolo, Sandro Penna, Natalia e Gabriele Baldini, Cesare Garboli. . Avevo allora ventun anni e non ho mai potu– to dimenticare il viatico, capriccioso ma in– comparabile, di cui l'amicizia di Elsa mi munì. Ma se mi chiedo ora che cosa mi colpì tanto fin da qual primo incontro, che ho poi costantemente ritrovato in Elsa, •posso solo rispondere: era seria, selvaggiamente seria. Serio non significa qui chi prende tutto per vero e con gravitàò Anche senza tener conto delle sue letture dei classici indiani, Elsa era fin troppo consapevole che il mondo è sol– tanto apparenza (ricordate il ''ritornello sov– versivo" del Mondo salvato dai ragazzini?). di Giorgio AGAMBEN LCONGEDO DELIA TRAGEDIA La sua serietà era piuttosto quella di chi cre– de interamente e senza riserve nella Finzione e, pertanto, intende dire tutto quello che dice. In Alibi, quella straordinaria raccolta di poesie che, al momento della sua uscita, nel 1958,.passò quasi inosservata ed è invece, uno dei grandi libri sulla poesia italiana del dopoguerra, c'è una poesia.che contiene una chiave preziosa per il mondo fantastico di Elsa. E' quella che s'intitola Alla favola e in– comincia "Di te, Finzione, mi cingo,/fatua veste...". Per questo, di due rapporti possibili con linguaggio - la tragedia e la commedia - , Elsa aderiva istintivamente a quello tragico. lngeborg Bachmann (che con Elsa cono– scemmo e frequentammo insieme qualche anno dopo e che, per serietà, le assomigliava · moltissimo) ha fatto una volta questa terribi– le confessione: "Il linguaggio è la pena. In esso tutte le cose devono entrare e trascorre– re secondo la misura della loro colpa ...". Se– ria è, .in questo senso, la parola di chi non di– mentica mai che-il linguaggio è la pena e che, parlando o scrivendo, stiamo in ogni caso scontando una pena. · C'è redenzione da questa pena? In una poe-· sia Ingeborg si rivolge alla parola, alla pena stessa_._per chiedere salvezza: "O mia parola; salvami!". Ma per Elsa non sembra esserci scampo nè redenzione possibile dalia pena del linguaggio. Quando, tanti anni dopo, le dissi che stavo scrivendo un libro che si chia– mava li linguaggio-e la morte?, Elsa com– mentò: "Il linguaggio e la morte? Il linguag– gio è la morte!". Per questo quella di Elsa si pi:esenta a prima vista come una dellè rare opere tragiche in una tradizione letteraria, qual'è ·quella italia– na, così ostinatamente fedele all'intenzione antitragica della Commedia. Ma, in Elsa, (e questa era forse la sua eredità cristiana) è come se dentro la tragedia si insinuasse un'altra tragedia che le resiste, in modo che il conflitto tragico esplode non fra una colpa e un'innocenza, ma fra due pene incommensu– rabili. Un'altra poesia di Alibi formula in · questo modo la legge che le ha spezzato il cuore: "Fuori del limbo non v'è Eliso". Nel limbo, com'è noto, si trovano pon degli inno– centi, ma coloro che non hanno altra colpa che quella naturale, quegli infanti che non hanno potuto essere sottoposti alla pena del linguaggio e che Elsa ha vagheggiato per tut– ta la vita. Il battesimo del Verbo cancella qQesta colpa naturale, ma la cancella solo at– traverso una pena più atroce ..Ma, in Elsa, è come se a un certo punto la creatura del lim– bo levasse il suo fragile braccio contro la tra– gedia storica del linguaggio in un gesto senza speranza, in uno scontro inaudito di cui non è facile capire l'esito. Mi sono chiesto molte volte negli ultimi mesi, quando la posta della tragedia nella vita di Elsa era cresciuta oltre ogni misura, se non ci fosse in lei uno spiraglio antitragico, se la sua tragedia non fosse, in qualche modo, una tragedia antitragica. Certo ogni tragedia proietta un'ombra comica e chi ha conosciuto Elsa ricorda certe incredibili can– zonette che solo lei conosceva e con cui, se voleva, faceva ridere a crepapelle gli amici (ce n'è ima traccia negli spensierati ritornelli di cui amava infarcire i suoi romanzi). Ma non si tratta di questo. Piuttosto, a volte, è come se Elsa aderisse così tenacemente alla finzione tragica che questa alla fine apre un varco al di là di se stessa, verso qualcosa che non è più tragico (anche se non può nemme– no dirsi comico). In quel varco, senza pena né redenzione, contempliamo per un istante la pura Finzione, prima che i demoni la tra– scinino all'inferno o gli angeli la sollevino in. cielo. E quell'istante - la finzione contempla– ta, ·1aparola scontata - è il congedo della tra– gedia. Solo in quel punto la poesia di Elsa mostra la sua fenice lucente, la sua cenere· eterna.

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