Fine secolo - 30 novembre-1 dicembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 30 NOVEMBRE/ DOMENICA 1 DICEMBRE 2211111111111111111111111111111111111111111111111111iiiii::::lillimmHmF""""'····· D iamo una occhiata alle immagini dei giornali e della televisione. Ci accor– giamo subito che si è enormemente af– fermato il genere <<dentrola notizia», «dentro gli avvenimenti». Al telegiornale della notte si susseguono immagini di torture, esecuzioni, stragi, carestie, morti di droga, morti di mafia. Eppure noi dormiamo lo stesso. Spesso i reportages dei nostri giornali non sono altro che raccapriccianti atlanti di orrori, Eppure da questi drammi contimiiamo a sen– tirci lontani. Nessuna di queste immagini ci rende realmente inquieti. Queste immagÌni non ci stimolano, non ci pongono domande, non ci rendono più attenti. Sì direbbe che per una storia di maledizione, quanto più gli obiettivi dei media si avvicinano ad un dramma, tanto più lo allontanano dal cuore degli uomini. · Una f olografia atletica Prendendo come pretesto, come alibi, l'ogget– tività dell'informazione, l'immediatezza del- _l'informazione, si è finito pèr concepire, im– porre, accettare l'immagine come qualcosa di neutro, di passivo, di consumabile. Un oggetto inanimato, intercambiabile, che si presta ad es– sere assemblato in qualsiasi contesto, per co– struire qualsiasi discorso. E a questo deve ser– vire. Qualcosa che puoi consumare, mai qual- . cosa che, in un certo senso, può consumarti. Si afferma una sorta di fotografia atletica,' spesso spettacolare, sempre superficiale, acriti– ca, sistematrice. Per parte sua, la disponibilità di sempre più perfezionati mezzi tecnici contribuisce a rende– re accettabile, quasi gradevole, la casualità, la superficialità, la rozzezza. Il continuo perfezio– narsi degli strumenti tecnici -di per sé molto positivo- entra a servizio del prendere di sor– presa -di trovate, effetti, espedienti. Di tutti quegli ingredienti che compongono una· foto– grafia fatta per essere consumata subito. Quel– la che si dimentica subito. L'occhio e l'amore Una buona fotografia, una fotografia che dà l'avvio ad un pensiero, che diventa parte di noi, che non possiamo dimenticare, è sempre frutto di conoscenza, di interesse, di partecipa– zione, di -non si scandalizzi nessuno- amore. Sono queste fotografie che non si fanno consu– mare. Consumano. Ci lavorano dentro. Sorio fotografie che hanno una personalità, una vita propria. Spunta sempre qualcuno a ricordare che stia~ mo vivendo la civiltà dell'immagine. In uri cer– to senso è vero. Mai come in questi anni l'im– magine è presentata come oggetto di consumo meccanico e leggero; e se ha uno scopo, questo è di appiattire, di omologare le menti e gli ani– mi delle persone. · Scorrono fiumi di immagini. Alcune -dice Bar– thes- spaventano, sconvolgono, stigmatizzano, ma nessuna fa pensare. Al tempo della repub– blica di Weimar scrivevano che la rappresenta– zione casuale di qualsiasi avvenimento, situa– zione, persona, non fa altro che rafforzare il punto di vista di chi comanda, di chi ha il po– tere.. Credo che le fotografi~, forse più di éJ,ltre espressioni umade, si possano guardare come i sintomi della salute e della malattia degli anni in cui si realizzano. Sono accessibili, immedia– .te, riproducibili. Possono venire imposte, ma è facile produrne di proprie. Se esistono diffe– renti modi di vedere, le fotografie sono le pri– me a mostrarlo. · La fotografia per tutti Che questi anni siano brutti, lo vediamo tutti. Le fotografie che ci passano sotto gli occhi, dal canto loro, sono fra le immagini più spente che siano mai state prodotte. Non certo perché sia- L'OCCHIO E LA BOCCA DI·TANO D'AlVIlCO di Tano D'AMICO Autore di fotografie che sono diventate classiche degli ultimi anni, Tano D'Amico è avversato ferocemente per il suo presunto populismo, neorealismo, patetismo, o amato francamente per la sua presunta sensibilità, poesia, indipendenza. Per liii parlano le sue fotografie, naturalmente.- Ma sttnoha gli abbiamo-chiesto dì parlare delle sue fotografie, e di. quelle altrui. Ecco un autoritratto di/ otografo co11 · f o/ta barba, e senza peli sulla lingua. no oscurate da qualsiasi censura.- o. Ci viene fatto vedere tutto. Sembrerebbe anzi che tutti i poteri del mondo. finalmente, per la prima vol– ta, non abbiano più paura delle immagini, di nessuna immagine. La fotografia· passiva, inanimata, oggetto in– tercambiabile, assemblabile in qualsiasi discor– so, pronta a essere asservita a qualsiasi dida– scalia è. pensata come <dafotografia». Da tutti: dominanti e subalterni, vincitori e vinti, umi– liati e dominatori. Nemmeno sotto il fascismo le immagini diven– tano segni così espliciti della· totale sconfitta culturale delle opposizioni reali o potenziali, delle minoranze. Ogni mattina vediamo su tutti i giornali le stes– se immagini che abbiamo visto nei telegiornali della sera. Le stesse immagini, e nessuna si schioda dal suo significato letterale. Come nes– sun essere umano in esse ritratto si schioda dal ruolo che gli è dato di ricoprire in questo mon– do. E' impressionante accorgersi di come, riguardo alle immagini, una sottomonocultura accomu– ni tutti. Alcuni da questo stato di cose -di im– magini- hanno tutto da guadagnare, altri vi perdono la propria consapevolezza. Penso che la consapevolezza sia il vero patrimonio di ogni uomo. . Penso che il non cercare, çoncepire una foto– grafia diversa, una diversa -immagine di sé, un proprio punto di vista, voglia dire non avere valori diversi da fare emergere, da buttare in campo. Essere solo capaci di aspirare ad una fetta di questo potere, di questa torta. Le immagini e la didascalia Ogni tanto si sente qualche lamento sulla stru– mentalizzazione delle immagini. Ce la si pren– de con la didascalia, con l'impaginazione, con le parole che accompagnano il filmato in tele– visione. Mai con le immagini. Certo non ce la si può prendere con qualcosa che è scontato, che può essere solo neutro, senza vita propria. Una cosa che può essere consumata e può es– sere fatta conswnare da chi la possiede nel sen– so che vuole lui. Che assume il significato di ogni didascalia, di ogni contesto. Che non stri- de mai. , A nessuna minora117.aviene più in mente che possono esistere immagini non strumentalim– bi_Ii, con una dignità propria, che nessuna dida– scalia potrà mai raggirare. Nessuna minora.ma cerca le sue immagini. Nessuna minoranza, se non le trova, se le fa. O tenta almeno di farsele.. Ho prima parlato di immagini che non devono far pensare, non devono farsi amare, devono essere spente. Il guaio è, in questi anni, che nessuno pare voglia accenderle. Per la prima _ volta nella storia. I contadini con una scarpa sola . Non è stato mai così. Permettetemi, da incom– petente, di fare un esempio storico. Nella Ger– mania dell'inizio del XVI secolo, la fatica dei contadini manda avanti il mondo. La co1twa dominante li disprezza. Ci ride sopra. Li fa come mostri., Li esorcizza. La coppia di conta– dini al. mercato è il luogo comune della satira scontata e a buon mercato. Si tirano mìgliaia e migliaia di silografie di esseri subu.m.aD4con lo sguardo spento, le figure e gli atteggiamenti goffi e pesanti, Particolare curiosò: spesso ban– no una scarpa sola. Dall'espressione dei volti sembrerebbe di capire che sono troppo stupidi per metterle tutt'e due. Non si sottrae nemmeno Albrecht Diirer, il principale esponente del rinascimento tedesco. ei libri di grafica compare uria sua incisione del 1512, che ho trovato commentata in uno scritto di Robert Pbilippe. Forse. è quella che più fa stringere il cuore. I volti della coppia di contadini.al mercato oltre ad~ rozzi, goffi

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