Fine secolo - 19-20 ottobre 1985

fare se serve a periodizzare tra il 68/70 e gli anni successivi. E allora se si vede questo si vedrà anche che la battaglia dell'antifascismo e le battaglie di quegli anni devono essere ricon– siderate. Va riconsiderato il problema, Capan– na, tu non ne hai parlato, eppure è stato un grande tema di quegli anni, la agibilità. Della agibilità non tecnica, come oggi, ma della agi– bilità politica. La democrazia può conciliarsi, lo pongo in termini dubitativi, anzi interrogati– vi, perchè mi piace che venga discusso - la de– mocrazia può èonciliarsi con una sorta di co– struzione di enclave in cui c'è una monocultura politica sia pure legata ad una forte prevalenza numerica e addirittura ad una egemonia idea– le. Nella agibilità abbiamo uno dei grandi scontri di quegli anni tra movimento studente– sco e Pci, anche fra me è voi. E' stato il comita– to per la ricostruzione della democrazia all'u– niversità, non perchè voi non foste democratici ma perchè pensavate che in voi si esaurisse la democrazia: e invece no, era necessario garan– tire anche agli altri la possibilità di essere pre– senti, l'agibilità politica non poteva solo essere affidata alla volontà della forza egemone, do– veva essere affidata a delle regole e noi abbia– mo combattuto con degli strumenti di massa e li abbiamo dichiarati e abbiamo creato un mo– vimento e abbiamo conteso di fronte alla gente nell'università. Questo è un altro punto. Con– cludo, è vero, bisogna mettere al coperto le cose giuste e positive del passato, soprattutto perchè vengano utilizzat:; e riutilizzate e ripen– sate e comunque messe a disposizione per l'og– gi e per il domani, soprattutto ai giovani e ai giovanissimi. E quindi per il '68 dobbiamo fare esattamente come per la Resistenza: perchè ap– punto la Resistenza non può essere giudicata dalle sue forme degenerative e individuali ed estreme, ma per far questo occorre anche che si esprima una chiara scissione e denuncia ver– so quelle forme perchè se no, se si vuole tenere tutto insieme non si salva nulla. J>erchè certo il '68 è stato una grande cosa e una grande cosa è stato il movimento degli studenti a Milano, una grande esperienza non solo per chi l'ha fatta, e grandi sono stati i meriti della lotta an– tifascista, ma se poi vogliamo tenere in questa miscela anche un solo ingrediente velenoso, al– lora si avvelena tutta la miscela e si dà l'aiuto maggiore a coloro che vogliono cogliere il pre– testo da un delitto, da un assassinio come quel– lo di Ramelli per mettere sotto accusa un'espe- · rienza generale. Per riuscire a far fallire questo tentativo bisogna usare il linguaggio della ve– rità, della razionalità, della chiarezza, tagliare là dove bisogna tagliare per il passato come garanzia dell'oggi e del domani. Stefano Rodala' Unagranvoglia difarla finita col'63 ...Io vedo una voglia di vincere lungamente at– tesa contro l'ingombrante '68. Non sto parlan- do dei giudici, ma di chi vuole cogliere l'occa– sione giudiziaria per chiudere una partita, che rimane aperta nella vita politica e istituzionale perchè si è tradotta in troppe cose per essere eliminata con un esorcismo. Chi la coglie que- sta occasione? Chi allora era contro, certo, ma anche chi oggi è altrove e prova un imbarazzo perchè in quegli anni era da ben altra parte e vuole essere liberato dal proprio passato. Per fare questo si sta compiendo una pericolosa operazione riduttiva: quegli anni sono sotto– posti a una contabilità di reati, interpretati come un incubo violento, sovrapponendo al processo per l'assassinio di Ramelli un proces- so a una cultura che viene oggi descritta come una cultura di complici. Questo è il vecchio vi- _ zio di chi scopre con il senno molto di poi le cose, e mi dà lo stesso fastidio che mi dà legge- re certi nomi in calce ad appelli peraltro sacro– santi per una giustizia giusta da parte di chi negli anniÌ.n cui SI facevano le leggi che poi hanno portato a questa situazione, stava dal– l'altra parte. Descrivo il clima di oggi non per giustificare, ma per interpretare meglio e per porre domande molto più inquietanti di quelle che ci vengono rivolte. Il rapporto Mazza: vo- gliamo storicizzare il rifiuto, altrimenti diventa un gioco reciproco al massacro. Perchè fu ri– fiutato? Ricordiamocelo: primo, perchè conte– neva già uno dei tragici errori che sul versante degli apparati pubblici fu fatto in tutti gli anni successivi, la riduzione di fatti di drammatica portata sociale a fatti di ordine pubblico. Uno dei grandi errori che hanno, è un eufemismo, indebolito la strategia delle istituzioni. Secon– do, perchè centrato com'era sul fenomeno di sinistra, aveva in quel momento, quando era davanti agli occhi di tutti la violenza lunga, tradizionale della destra, un effetto di sposta– mento di obiettivo, se non addirittura di legit– timazione di quella violenza. Tutti ricordano il rapporto Mazza, ma dove sono quelli che sciolsero l'ispettorato antiterrorismo del que– store Santillo o il nucleo dei carabinieri di Dal– la Chiesa? Sono due domande alle quali nella commissione d'inchiesta sul caso Moro non abbiamo potuto dare risposta, e noi non ab– biamo detto che c'era un'oggettiva complicità fra chi tenne questi comportaménti e il rilancio del terrorismo, ma sono domande molto più inquietanti perchè toccano al cuore il modo in cui le istituzioni si sono comportate in quegli anni. Perchè oggi c'è un'operazione molto più insidiosa? Perchè da anni, prima timidamente, poi in modo più palese, le dichiarazioni o gli inviti a farla finita con il '68 si sono moltiplica– ti. Farla finita con un'istanza sociale portatrice di grandi richieste e capace di dare forza a tan– te manifestazioni che già nella società italiana si andavano esprimendo, dal sindacato alla magistratura. Questo è un dato al quale .dob– biamo guardare per ciò che ha prodotto nel cuore delle istituzioni: grandi modifiche che oggi si vogliono cancellare. Non è un'opera– zione soltanto di rimozione psicologica, ma ben più consistente, che ha obiettivi politici de– terminati, ben al di là di quello che può riguar– dare una forza come Dp. Questa operazione si fa puntando tutto sull'aspetto della violenza, e di questo bisogna parlare senza mezzi termini. Dobbiamo farla noi questa ricostruzione perchè una cultura ufficiale è stata povera in questa direzione o ha adoperato stereotipi inaccettabili, come quelli che, negli anni del terrorismo, hanno diffuso le versioni abbrevia– te della storia che facévano tutto risalire nien– temeno che a Robespierre e ai giacobini. Ai quali tutti sanno quali debiti, non sempre facil– mente onorabili, si devono, ma possiamo dav– vero amputare la cultura occidentale e dare queste spiegazioni semplificate? Noi dobbiamo riflettere più a fondo su quello che è stato il ruolo della violenza negli anni che abbiamo alle spalle. Dico senza mezzi termini che in questa analisi sono molto più avanti coloro che si trovano incarcerati, e che hanno fatto in questi anni una riflessione senza pietà, forse perchè riflettevano nello stesso tempo su un dato politico e su una condizione personale, cosa che a noi per privilegio è stata evitata. Dobbiamo farlo in maniera rigorosa, e perio– dizzando. E' indispensabile. Non serve a noi, può servire ad altri ritenere che tutto sia stato identico a se stesso, lo, sviluppo di un unico germoglio, e dobbiamo sì uscire dalla cultura dell'assassinio in ogni forma. Lo stesso appello ·sacrosanto e perfino codificato dalla legittima difesa, se spiega tante manifestazioni che ri– guardavano l'aggressione fascista, le sopraffa– zioni e le coperture degli apparati di stato, non spiega nè la conflittualità interna alla sinistra, nè la scelta del nemico primo in certe fasi al– l'interno della sinistra. Certo, tutto questo è anche figlio di una delle componenti del '68 che era all'origine giustificata, la componente antistituzionale. Ma a un certo momento fu ignorato che quell'azione stava producendo .reazioni nelle istituzioni. La mobilitazione po– polare cambiò in tempi impensabili per le no– stre lentezze parlamentari la legge -sulla carce– razione, dandoci la cosiddetta legge Valpreda, o una controinchiesta come 'La strage di stato' influì sull'inchiesta per piazza Fontana. Di questo non ci si rese conto, che in quel mo– mento si stavano determinando contraccolpi nelle istituzioni. Io non dico che tutto sia avve– nuto per virtù del '68,- come non sono d'accor– do con coloro che vedono in quell'anno la na– scita di tutto il male. Ma è certo, e le date ci confortano, che vicende sociali che erano alcu– ne già in movimento, altre cominciavano ano- --ra, trovarono nelle istituzioni sbocco perchè quel movimento _siera determinato. Di questo non ci si rese conto e ci si collocò sempre più al di fuori, da parte di troppi. E questo è all'origi– ne di quelle degenerazioni occulte che poi si ve– rifieareno per esempio nei servizi d'ordine. Ho UN'ASSEMBLEA SUGLI ANNI FINE SECOLO* SABATO 19 / DOMENICA 20 OTTOBRE 17 registrato con sorpresa la vostra reazione a una cosa che diceva Petruccioli; chiedendo tra– sparenza. Ma come, noi, o i compagni di Dp, ci mettiamo tutti i giorni dentro e fuori il Par– lamento contro ogn'i potere occulto, riteniamo che la controllabilità da parte di tutti sia oggi più importante per una democrazia delle stesse occasioni elettorali perchè questo è il controllo non delegato, non saltuario. Qual'era la capacità antiautoritaria, per esem– pio verso l'istituzione universitaria? Si doveva– no aprire alcuni luoghi di quel modesto potere, abbiamo scoperto poi quant'èra povero rispet– to a ben altre forme di poteri che siamo venuti conoscendo negli anni successivi! Ma c'era questa grande forza che veniva da quelle indi– cazioni. La richiesta che veniva verso l'intero sistema politico di aprirsi non possiamo per– derla. Quali sono le vie? e vengo al punto duro, quello del processo: io credo che qui sia già stato introdotto un elemento importante, le amnistie. Non le amnistie di rito che una volta si facevano alla nascita dell'erede al trono e che oggi si vorrebbero all'elezione di un presi– dente della repubblica. Non le amnistie di rito ma quelle di sostanza, come quella dei 14.000 nel '70, hanno un senso se in qualche misura o sanzionano una nuova legalità e quanto meno modificano qualitativamente il quadro dei rife– rimenti giuridici di quegli anni, oppure sono il risultato di una grande operazione politica. Noi rischiamo di fare l'amnistia-colpo di spu– gna: attenzione, ci sono state richieste di amni– stia da parte di uomini di destra, uso questa espressione convenzionale, in perfetta malafe– de perchè sanno che introdurre in questo mo– mento il tema dell'amnistia generalizzata come unico tema di dibattito politico sìgnifica can– cellare tutta una serie di altre cose che sono ef– fettivamente più a portata di mano. C'è un ar– ticolo che ha pubblicato pochi giorni fa Luigi Saraceni sul Manifesto che io sottoscrivo inte– gralmente, per semplicità. Ma c'è un percorso più difficile. Certo, amnistie anche per reati minori, queste siamo vicini a poteJle chiedere e proporre. Interventi su alcuni dei punti duri della legislazione di emergenza che ancora con– dizionano nel senso drammatiGo -la gente ri– mane in galera- la vita di tante centinaia di persone non più giovani, ahimè. E la legge sul– la dissociazione: mi auguro che alla Camera saremo un po' più saggi riscrivendo l'art. I dei saggissinii senatori della Repubblica. Ma c'è un punto che mi preme sottolineare. Sarà per un vizio .di mestiere, visto che faccio il giurista, ma é anche per _una coerenza politica di tutti noi. Noi dobbiamo distinguere tra responsabi– lità politica, morale e giuridica, trà responsabi– lità collettiva e individuale. Attenzione: è la critica che noi facemmo al teorema Calogero, la critica che noi rivolgemmo alla tecnica dei concorsi morali, delle associazioni sovversive, della insurrezione. Questo di ·coprire con re– sponsabilità collettive quelli che vanno invece giudicati come fatti individuali: non coinvolge– re il giudizio politico morale con il giudizio giuridico che dev'essere ancorato a pochi, chiari, precisi fatti. E questa è la linea che dob– biamo seguire: dobbiamo seguirla anche perchè è la linea che ci consente, in questa vi– cenda drammatica, di chiedere il processo giu– sto. Processo giusto è esattamente quello che tiene conto che son passati IO anni. Se si tien . conto dell'ira o dell'ubriachezza, volete che i giudici non abbiano l'obbligo di tener conto del contesto in cui quella vicenda si è comples– sivamente maturata? Questa è una linea forte, chiedere che il processo sia rigorosamante an– corato ai fatti: ai fatti storici, è vero. La stori– cizzazione del giudizio non pçr i dieci anni che son passati, ma per la situazione qual era. E dobbiamo chiedere questo insieme a un'azione parlamentare pubblica, anche di massa se si riesce, che imponga cambiamenti legislativi. Perchè uno dei drammi di quest'epoca è questa asimmetria istituzionale ... Io non me la sento di buttare tutte le colpe sui giudici quando loro continuano a operare con gli strumenti dell'e– mergenza. Ci sono responsabilità dei legislato– ri, per la quota che ci compete, maggiori delle ~ill-,.--"';i;ponsa.bilità-dei-gi-udiç·. ·

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