Fine secolo - 19-20 ottobre 1985

LA UNA ATF:M,AVIV A SCORSA, A. QUALUNQUE, ..._______________ di Wlodek GOLDKORN ------------------------------------...j Un viaggio giornalistico, ma il nostro giornalista ha in Israele la [amiglia, e ci ha vissuto lui stesso per anni. Allora era un traditore . della patria ebraica,forse, o forse uno chefaceva onore al popolo ebraico. Comunque, non è più niente di tutto questo. Ecco il suo quaderno privato. M ancavo da Israele da più di tre anni. L'ultima volta ci sono andato du– rante la guerra del Libano, alla vi– gilia dell'assalto a Beirut Ovest (la parte mu– sulmana della città) che provocò l'esodo di Yasser Arafat dal Libano. Ora torno all'indo– mani del bombardamento del quartier generale di Arafat a Tunisi. Torno non solo e non tanto per scopi giornalistici, quanto per motivi per- · sonali. In questo paese ho vissuto più di quat– tro anni. Qui ho la famiglia e tanti cari amici. Qui ho anche tanti ricordi di una militanza po– litica assai radicale. Facevo parte di un piccolo gruppetto di «sessantottini mancati». In Israe– le il '68 non c'è stato. Ci sono state invece alcu-· ne decine di sessantottini locali e immigrati. C'era un'organizzazione radicalmente anti-sio– nista che si chiamava Matzpen e che in nome della futura rivoluzione socialista, nonchè del– l'internazionalismo contestava il diritto all'esi– stenza dello stato ebraico. In Israele eravamò odiati ed isolati, trattati come «traditori della. patria». Ma Dany Cohn-Bendit ci chiamò «l'o– nore del pòpolo ebreo», e ancora oggi, benchè io sia lontano dalle mie idee e dei miei interessi mediorientali di allora gliene sono grato. Cambia la musica A Tel-Aviv l'aria è umida e pesante. Non c'è il piacere di respirare a «pieni polmoni». Questa fu la mia prima impressione quando molti anni fa uscii dall'aereo che mi portò, «nuovo immi– grato» in Israele. La stessa sensazione ho àn– che ora. Qui non si respira. S.ultaxi la radio è accesa. Gli israeliani non si muovono mai sen– za una radio a portata di mano. I notiziari vengono trasmc::ssiogni ora. La stessa notizia è ripetuta solo per due volte consecutive. Se hai perso-i due notiziari;-hai perso la-notizia. E qui nessuno vuole perdere 1e notizie. Tutto ciò che accade in Israele o agli ebrei viene vissuto come un fatto personale che riguarda ogni sin– golo ebreo. E fin qui per ·me che manco da tre anni non c'è niente di nuovo. «Nuova» è inve– ce la musica che trasmette la radio. E' musica araba. Una volta non veniva ascoltata. O me– glio, la ascoltavano gli ebrei sefarditi, prove– nienti dai paesi arabi, ma di nascosto. Si ver– gognavano di questi «gusti primitivi». Era in– vece «permesso»· ascoltare la musica greca. La quale, «orientaleggiante», costituiva una specie -di-sublimazione-di-quella-araba «proibita». La -musica-«veramente»-ebraica-erainvece-basata sulle melodie russe. In verità erano canzoni po– polari russe con testi in ebraico. Oggi la musi– ca è araba, anche se-il testo è rimasto ancora in ebraico. La musica /<russa»sembra un reperto da-museo, roba per i nostalgici dei tempi pio– nieristici della_ «vecchia buona .Eretz Israel» (terra d'Israele). Comunque io, «veterano anti- 0sionista» ravveduto, ma noIP"pentito, di quei tempi_ non sono per niente nostalgico. Una sera alla tv vedo un biondo che canta la solita canzone «araba» in ebraico. Chiedo a mio pa'– dre: «ma da dove viene un sefardita biondo?». E mio padre ride: «no, non è un sefardita, è un polacco, si chiama Olearczyk, ma per essere popolare canta canzoni "arabe"»: I sefarditi sono la maggioranza nel paese. Gli askenaziti, i polacchi, i russi vivono e si vedono solo in al– cuni quartieri. Stanno nascosti nei ghetti per i ricchi, nei quartieri bene nel Nord Tel-Aviv. Un bel paradosso, il sionismo è stato un movi– mento di ebrei askenaziti, ~lacchi, russi, ro– meni, tedeschi. Il sionismo doveva risolvere il problema di questi ebrei, dar loro una patria, uno stato. Un bisogno questo sentito con mag– gior forza in Europa dopo l'Olocausto. Ed ecco che lo stato ebraico è oggi «sefardita», •mentre la stragrande maggioranza di ,askenazi– ti (sopravvissuti all'Olocausto) sta altrove, in America, in Europa Occidentale. Ma come è venuto in mente agli ebrei polacchi di costruire uno stato per quelli marocchini o yemeniti con i quali non avevano nulla in comune? Una do– manda retorica che rivolgo a mia madre. E lei rincara la dose raccontandomi il seguente epi– sodio. La vicina dei miei, un'ebrea libanese ·simpaticissima, un giorno chiese a mia madre chi era la signora ratfigurata in una foto appe– sa sulla•parete del salotto. Mia madre rispose che era la sorella di mio padre. «E dove è ora?»· chiese Rosette. «E' morta ad Auschwitz con quattro figli», rispose mia madre. «E allora è vero quel che voi askenaziti raccontate!» si stupì la vicina. Sempre in proposito dello stes– so tema, un mio amico mi racconta una sto- . riella di cui protagonista è uu vecchio ebreo greco. L'uo_moè stato prigioniero in un campo di sterminio nazista. Faceva parte del Sonder– kommando, vale a dire portava i cadaveri dal– le camere a gas ai forni crematori. <<E' rimasto profondamente traumatizzato», mi dice il mio amico. «Non c'è di che stupirsi» rispondo io. Milleseicento ebrei «Ma tu non sai la causa del suo trauma psichi– co» fa l'amico, e prosegue: «l'uomo è rimasto traumatizzato perchè non riesce a càpire come mai i nazisti l'hanno rinchiuso in un campo di sterminio.dato che lui non è askenazita». Ai tempi dell'«eroico» pionierismo, la diaspo– ra, anzi gli ebrei della diaspora erano profon- damente disprezzati. L'israeliano, specie il «sa– bra» ·nato e cresciuto in Israele o nello «ji– shuv», la società dei pionieri in Palestina prima della nascita dello stato, era il sinonimo del- 1'«uomo nuovo», fiero, forte, capace di difen– dersi dal nemico armi alla mano. L'ebreo della diaspora veniva invece visto come uno che passivamente subiva i soprusi dei gentili, si la– sciava sgozzare, al massimo andava a trattare (ma con denari e non con armi. alla mano) la sua sopravvivenza. «Shtadlan» era un leader della comunità in diaspora che negoziava (pa– gando oro) con.i «cattivi» gentili·e magari otte– neva che inveèe di ammazzare dieci ebrei se ne amazzassero «solo» cinque. Con il declino del– l'ethos pionieristico è stata anche rivalutata la diaspora. E con essa la «feccia del popolo», il personaggio di «shtadlan». Nel teatro «Came– ri», il miglior teatro di Israele, fanno vedere lo spettacolo «Kastner». Rudolf Kastner, _giorna– lista di un quotidiano ebreo, prima e durante la seconda guerra mondiale era uno dei capi della piccolissima organizzazione sionista in Ungheria. Il paese guidato dal governo fascista dell'ammiraglio Horthy era alleato dei nazisti. Gli ebrei vi conducevano però una vita piutto– sto tranquilla. Questo «paradiso in mezzo ai campi di sterminio» finisce nel marzo '44 quando i nazisti invadono l'Ungheria. A Bu– dapest arriva lo stesso Adolf Eichmann «esper– to nella soluzione finale della questione ebrai– ca». Lo spettacolo «Kastner», uno spettacolo verità che dura quasi tre ore, inizia qui. Gli ebrei ungheresi sono in preda al panico. Il vec– chio establishment ebraico capeggiato da nobi– li baroni e da rabbini «illuminati» non è in gra– do di gestire la situazione. Alcuni tra i leader radicali della comunità propongono la via del– la resistenza armata. Ma gli ebrei non hanno armi e non sanno come procurarsele. E allora che fare? A questo punto entra in scena Ka– stner, un uomo ambizioso e spregiudicato. As– sieme ad alcuni amici decide di trattare la sorte dei suoi connazionali direttamente con Ei– chmann. Nelle estenuanti e pericolosissime trattative condotte nella sede della Gestapo, un ebreo, un «sotto-uqmo» destinato a diven– tare una saponetta ad Auschwitz propone ad Eichmann, padrone assoluto della vita e -della morte degli ebrei, di fare un affare. Soldi, cen– tinaia di migliaia di dollari in cambio della vita degli ebrei. Kastner diventa anche per gli ebrei l'uomo che può salvare le loro vite. Lo implo– rano per la strada di fornire loro i «salvacon– dotti». Ma Kastner non dispone di alcun sal– vacondotto, le sue trattative con il boia si ba– sano sulle promesse di Eichmann e sui brutali ricatti. E poi sui dollari, tanti dollari. Ma Ei– chmann chiede di più. Vuole dei camion, molti camion ,aIJ1ericani in cambio della ·vita degli ebrei. Intanto spedisce gruppi di ebrei ad Au– schwitz. «Più presto arriveranno i camion e meno ebrei moriranno nelle camere a gas» spiega a Kastner durante una assurda, fastosa ed angosciante cena in due nel corso della qua– le Kastner deve dare anchè la prova di essere un «ottimo conoscitore di vini». Kastner non si arrende, non interrompe le trattative. Forni– sce soldi e prostitute agli assistenti di Ei– chmann. Corrompe a destra e manca. Fa in– somma il mestiere dello «shtadlan». Ma alla fine non riesce a fare di più che salvare la vita di appena 1600ebrei ungheresi che con un tre– no arrivano a Zurigo. E anche questi li deve scegliere lui ~n i suoi amici. Deve cioè salvare la vita di alcuni e condannare gli altri, per con– to dei nazisti. Fin qui Io spettacolo. Poi c'è l'e– pilogo, anche questo basato sui fatti realmente accaduti. «Kastner» esce davanti al sipario e racconta come nel 1953 Malkiel Grunwald, un ebreo ungherese, lo accusò di aver collaborato con Eichmann per salvare la vita a se stesso e ai suoi amici. In cambio della vita, Kastner avrebbe tenuta nascosta ai suoi compatrioti la verità sui treni diretti ad Auschwitz. Nel 1955 la Corte d'Assise di Gerusalemme assolse Grunwald (accusato di calunnia) e stabilì che Kastner «vendette la sua anima al Satana». Lo «shtadlan» ungherese divenne la personifica– zione di tutte le peggiori caratteristiche dell' «e-

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