Fine secolo - 12-13 ottobre 1985

FINE SECOLO* SABATO 12 / DOMENICA 13 OTTOBRE DIVISTA LO CONOSCErE Conduceil Telegiornalecon un'aria timida, e inveceè un invasoredi campi. Chi è ClaudioAngelini, e perchè si parla di lui? ----------------------------di Adriano SOFRI----------------------------- A volte mi sono imbarcato, un po' da clandestino a bordo,· sulla nave dei giornalisti inviati. Ho avuto per loro invidia, come chi viene ammesso nel retrobot– tega senza essere del mestiere; e curiosità am– mirata, come si deve a uomini poderosi che hanno molto viaggiato e bevuto; e anche un certo saccente distacco: scrivono pur sempre alla giornata. Sulla scontrosa invidia verso la tribù degli inviati influiva poi la mia ragguar– devole povertà - viaggiavo per un.a testata dai giorni sempre contati come Lotta Continua - e la loro favolosa ricchezza. Compilerei volentie– ri qui una tabula gratulatoria di quanti mi hanno accolto al loro desco e ,llestito giacigli gratuiti e davvero clandestini nei loro apparta– menti d'albergo~ se non temessi di essere indi– screto. Una gamba di gesso Nel corso di uno di questi viaggi ho conosciuto Claudio Angelini. Si trattava di una visita di Pertini a Tito. Un po' spaesato, e forte della posizione di outsider, io mandavo pigramente pezzi che citavano l'incipit del «De senectute», indirizzato a un altro Tito, mentre gli inviati veri riferivano puntualmente e appropriata– mente sullo stato dei rapporti fra i due stati. Soprattutto ammirevoli sono gli inviati televi– sivi, chiamati a fare il loro servizio in radio o in tv più volte al giorno, e tenuti ad avere un aspetto gradevole, e perlomeno a posto. Fu uno dei più autorevoli fra loro, autentico uomo di formato, Demetrio Volcic, a dirmi che Claudio Angelini «non era come gli altri», precisando, con benevolenza, che scriveva poe– sie, forse anche un romanzo, e comunque ~on era privo di una certa sensibilità. (In realtà poi scoprii che a scrivere per l'eternità ce n'era più d'uno, a partire dal corrispondente belgradese dell'Europeo di allora, Paolo Berti, triestino grande e accogliente come papà Natale, che aveva pubblicato in cinquanta copie un fanta– stico racconto breve su Greta Garbo e Cap– puccetto rosso). Dunque Angelini, fosse la sen– sibilità, fosse una gamba massicciamente in– gessata per un rovinoso investimento automo– bilistico, pur ligio agli orari da collegio della televisione, aveva negli intervalli una lentezza che metteva anche lui ai· bordi della precipite tribù dei colleghi. Così perseguimmo mète ov– vie ma inusuali nel giro, pinacoteche belgrade– si, bancarelle di libri, chiese, collezionì di usi e costumi, e spacci diurni di palacinke. Al ritorno, lessi un paio di volumetti di sue poesie e il dattiloscritto di un libro che sarebbe poi uscito da Rusconi col titolo «Malato spe– ciale», e che non era male. La compagnia si rinnovò in occasione di un viaggio in Cina, più convulso, e poi mancava Volcic, e la gamba di Angelini non era più in– gessata (c'era come sempre nei viaggi con Per– tini il fotografo del Quirinale, fraterno protet– tore deglì inviati di mezza tacca, Marcello Pic– chi). In mezzo, e dopo, ci siamo visti di rado: «abbiamo da fare», e poi è sempre un azzardo trasferire una frequentazione dal marciapiede fatale di Sarajevo o dallo scantinato di terra– cotta di Xian a una pizzeria di Trastevere. Io Angelini l'ho bensì visto continuamente, sullo schermo del Telegiornale, e me ne sono fatto bello coi vicini: conoscere di persona un an– chorman non è da tutti. Pertini e Saroldi Inviato al Quirinale e caporedattore del Tele– giornale, Angelini ha l'aria perbene e misura– tamente ironica che ci si aspetta da un profes– sionista del mezzo pubblico. -(Era appena più contento l'altro ieri quando annunciava che la peripezia della "Lauro" finiva bene). Ma, dia-. volo di un Angelini, ha due anime, almeno. Per esempio, ha appena pubblicato un volume di citazioni e immagini del settennato di Perti- ni («In viaggio con Pertini», Bompiani, pp.253, . lire 28.000), un'antologia affettuosa dietro la quale fa capolino qualche malizia. Prendete per esempio questa favolosa storiella di umor nero, dove non si sa se la malizia sia più di An– gelini che trascrive o di Pertini che racconta: · "lo fui denunciato da un amico di famiglia. Ero rientrato in Italia con regolare passaporto sviz– zero quando costui, si chiamava Saroldi, mi fece catturare. Nel '45 costui finì nelle nostre mani e un compagno venne da Savona a dirmi: «Saro/di è stato arrestato e verràfucilato». «Ma che cosa ha fatto? Perchè lo fucilate?» .risposi. «Ma è quello che ha fatto la .spia e ti ha tolto dalla cir– colazione per quindici anni tra il carcere e il con– fino. E' quello che ha bruciato quindici anni del– la tua giovinezza». «Ah, dico, se è solo per que– sto non perme~to che sia fucilato, non voglio questa vendetta». E presi un foglio per scrivere che Saroldi doveva essere messo in libertà. Que– sto traditore poi, benedetto uomo, volle festeg– giare la ricorrenza della marcia su Roma e in– vitò il maresciallo dei carabinieri ad andare a pranzare con lui. li maresciallo se ne guardò bene e Saro/di si disse: «Quest'uomo è stato uno stupido, non è venuto e la sua porzione di ravioli me la mangio io». Mangiò troppo, gli venne un colpo a tavola e morì, ma la colpa non fu mia". Uno smagliante fallimento Ma prendete soprattutto il secondo .romanzo di Angelini, «L'occhio del diavolo», uscito an– ch'esso quest'anno per il Nuovo Portico Bom– piani (lire 16.000). Qui l'anima birbona -e mo– ralista- prende le sue vendette sull'anima as– sennata e sul corpo assettato dell'Angelini tele– visivo. Forse. O forse, per una sua golosità, Angelini lascia che le sue due anime si azzuffi– no fra loro, menando botte da orbi sui fre– quentatori dei reciproci campi. Gerarchi e col– leghi televisivi, protettori e clienti politici, ma– drine romane, da una parte, donne \!ere e com– pagni di un'adolescenza tradita, e che non avrebbe del resto mantenuto le sue promesse, dall'altra. Così, alla fine, il mezzobusto di successo, poe– ta perfino premiato, cantautore e chitarrista per amici, romanziere finalista, sembra riven– dicare una versatilità alla rovescia, la qualità senza qualità delle tante cose che non si é irre– vocabilmente diventati - cui si è scampati. For– se anche, più ambiziosamente, la parabola di una vocazione al fallimento meticolosamente · perseguito attraverso il successo. Anche il suo stile, se così va chiamato, passa disinvoltamen– te dalla bella scrittura alla frettolosità trasan– data e alla gag, dai calchi ariosteschi ai paesag– gi da caserma. Angelini invoca a proprio modello il Bel Ami. Può darsi: al lettore viene più in mente il 1984 di Orwell, per via dell'onnipotente lucina rossa della telecamera, corretto dal film Brazil,per via dei sogni del destriero alato, e dal tipo Fantozzi-Belushi, pét via dei fragorosi alti e bassi della carriera; con una sceneggiatura da esperto di rotocalchi femminili antifemministi. Incurante dell'unità di tono, fino a rifondere qua e là cuciti col filo grosso appunti e versi vari, Angelini gioca su più tavoli. Il primo, per la verità più sgangherato, é quello del pettego– lezzo romano, dell'allusione troppo trasparen– te a personaggi come il telegiornalista biscàz– ziere, l'attempata madrina di carriere col salot– to pieno di Guttuso, un segretario di partito socialdemocratico e manesco che vuole vincere a tennis, il giornalista televisivo che passa dallo schermo al governo attraverso l'Opus Dei. Ro– baccia, peggiore della realtà a cui forse assomi– glia. Un secondo tavolo ospita il mondo televi~ sivo, descritto con una sopraddose di squallore tale da assicurare all'autore piena vendetta e insieme da metterlo al riparo da ogni sospetto di realismo. Ma anche con parentesi di affet– tuosità fin patetica mascherata da cinismo, come dove si descrive la morte in servizio del collega dei tempi eroici, da tutti riconoscibile. Eccovi il capitolo relativo. La morte di Franz «Al telegiornale trovò i colleghi agitati come per un grande evento ... Era morto Franz, simbolo della testata e di altri tempi in cui il giornalismo era un mestiere squattrin!'to ed eroico. Era mor– to là dentro, rabberciando poche righ,e da una strage; le aveva scritte con l'umiltà d'un prati– cante, parlavano di morte senza retorica; erano il suo testamento spirituale. La camera ardente fu composta nella stanza dei grandi inviati, Fa– bio guardò quel viso freddo che non aveva mai tradito emozioni... Andò al funerale di Franz pensando al proprio. Peccato che la chiesafosse soltanto una parrocchia e nel coro cantasse qualche elemento stonato; ma la folla era ocea– nica, le telecamere non mancavano. Un primo applauso alla bara, un secondo al direttore, un terzo a/l'annuncio che anche il presidente del' consiglio non sarebbe m(lllcato; l'omelia fu sa– piente, la tenne un padre gesuita; poi tutti si te– lecomunicarono in diretta; i più grintosi si av– ventarono sul feretro per sostenerlo; Fabio, ri- . presosi dall'estasi, fu il primo e la carovana on– deggiò di parassiti, uscendo dalla chiesa. L 'an– chorman fu quasi schiacèiato dalla ressa anche perchè molti avevano mollato la presa. Dopo po– chi metri lasciò la prima fila, .la seconda e la ter– za per cedere il suo posto a uno degli ultimi as– sunti. Si allontanò piangendo per il quartiere, pensando alla propria morte e a quella del suo maestro, vittima della professionalità. Lo rivide sano, sicuro, mai un colpo di tosse, mai una bat– tuta fuori posto; il principe degli oratori degli anni sessanta; denti candidi, capelli sempre a posto; un padre per decine di milioni di italiani. Quanti colleghi erano morti in quegli anni, uno. ·coipolmoni sfonilati dalla nicotina, un altro sbu– dellato da una bor,rha in Afghanis!an, un terzo suicida per debiti, uii"tfuarto disperso in un inci– dente aereo sulle Ande, un quinto trucidato dai terroristi, un sesto dalla mafia e altri quattro fatti secchi dall'infarto. ...Fabio li rivedeva in sequenze sempre più chia– re; stanchi e assonnati; sulle loro vesti funebri, colleghi analfabeti avevano scritto coccodrilli re– torici come: "Era il più bravo di noi'', "il più te– legenico", "non prese mai una papera", "si op– pose alla lottizzazione e fu punito". ...Per essere ricordato era meglio sbrigarsi. Conquistare il successo e correre nella propria bara." L'occhio della mamma Un terzo registro tocca il rapporto fra il pers~ naggio e la telecamera, il suo occhio rosso che lo insegue fin dai semafori degli incroci: l'oc– chio del diavolo, cui l'anchorman faustiano ha venduto l'anima (ma, l'abbiamo detto, aveva anime dà vendere). · Questa storia dell'occhio che ti segue (diavolo o buon Dio, cattiva o buona coscienza, angelo custode o agente di custodia) è un topos del Nostro. (Ho del resto un altro amico che, da bambino, si sentiva ammonire da una severa madre: «L'occhio della mamma ti vede sem– pre». Volle sfidarla, rubò della marmellata, cancellò le tracce, corse dalla mamma, e la provocò: «Indovina che cosa ho fatto». «Hai rubato fa marmellata», disse implacabilmente la mamma. Lui non si è più riavuto). Angelini, qui, fa morire il suo anchorman in diretta da– vanti alla compiaciuta telecamera. Nel primo romanzo, «Malato speciale», l'occhio era una scacchiera elettronica, e c'era una bella conclu– sione: il paziente riusciva alla fine ad averne ragione, ma la scritta «hai vinto» compariva quando ormai lui era uscito dalla stanza, tra– sportato alla sala operatoria. Meglio era sposar te, bionda Maria? No Il quarto registro, e ultimo, per progressiva ra– refazione e nobilitazione, è il rimpianto per l'altra vita, quella che sarebbe stata possibile e che la prima gioventù sembrava promettere, e che poi la vita è sembrata tradire. In bilico fra appeal massmediale e corruzione della mezza età, fra onnipotenza televisiva e liquidazione burocratica, l'anchorman torna alla casa ~ al paese dell'infanzia, a cercare quell'altra vita - e non la trova. La morale finale, che avrebbe po– tuto essere megalomane - sotto questa faccia di anchorman batte un cuore di poeta e di fan– ciullo - o lagnosa - potevo essere un poeta, e non sono che un anchorman di successo - di– venta così più modestamente appagata: sono un anchorman, un po' poeta, clie scrive r~ manzi, srf<llla la chitarra, canta, dirige una ras– segna libraria, premia ed è premiato, eccetera. Poteva andare meglio? Poteva andare molto peggio.

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