Fine secolo - 29-30 giugno 1985

TO TRJMORTI · ... e-. E quanto riguarda le generazioni. dirò volen- . che quanto affermo è vero per me, ma ~ o è per voi. lo non posso perdonare. non o a farlo. Tengo conto delle generazioni: per me. è il mio destino. la mia miseria Fnale. D'altronde. sto bene. nonostante la · miseria. non andrò mai in Germania. Non · ho più fatto ritorno dal tempo della guerra. Naturalmente. mi vengono dei pensieri un pò uri. torbidi. in cui quello che le ho appena ~&citosi mescola con ·un mio lato patriottico, nazionalista. sciovinista. E' comprensibile. non posso non ricordare. io so cosa sono i crucchi «o i crucchi senza volerlo- che camminano appaiati per le strade. Dalla pensione in cui mi nascosi per qualche tempo insieme ad alcuni amici. sentivo i passi nella notte. Sono pur sempre ricordi di un certo peso! Ci ·tenevamo onti a saltare dalla finestra se fossero entrati. !Alcuni miei compagni vennero fucilati. I miei sentimenti sono irrazionali ma, se può, si met– ta nei miei panni. La mia non è lina risposta bfica. . . E' ma risposta chiara. ma incompleta rispetto ~amore. Per quanto riguarda l'Amore, non ha alcun peso! Volendo citare me stesso, dirò che questo èil prototipo del problema insolubile. L'amore è più forte del male, il male è più forte dell'a– more. Sono entrambi più forti l'uno dell'altro. 1 ' irrazionale. Nella razionalità, nei rapporti ili forza, come si suol dire, esistono il più forte, ilmeno forte ed un punto di equilibrio in cui ci si guarda in cagnesco. Ad un certo punto,. si · stipula un patto e si decide di vivere insieme. <Questo è razionale. Ma non del tutto raziona– le, perchè oggi si parla volentieri di rapporto di forza. La forza non è razionale, è un concetto opaco, cieco, che non è trasparente e non si ri– duce a delle idee -forse a dei concetti, ma non a delle idee. Esiste il problema della violenza. Quindi, fei rapporti tra l'amore e quello che semplificando chiamo il fnale vi è qualche cosa di irrazionale, che è il rapporto di forza. E' ir– razionale che l'altro sia più forte dell'uno se l'uno è più forte dell'altro. Scelga, è l'uno o è l'altro. Ci sono delle fasi: talvolta, sono altret– tanto folitÌ. si stabilisce una specie di battito vi– bratorio. (...) Lei sostiene che il perdono non può perdonare tutto? Il perdono deve perdonare tutto, altrimenti• non è il perdono. Nel contempo, però, non può. perdonare tutto. Sono lacerato, è quello che si chiama lo strappo, un concetto che è an– che cristiano, peraltro, che il cristianesimo ha conosciuto. Ne parlo molto ora, rileggendo L 'agonid del cristianesimo di Miguel de Una– muno, un uomo geniale. L'agonia è un concet– to moltd spagnolo. Agonia è combattere, lot– tare. D'altronde, Pascal afferma: ·«Cristo ago– nizzerà sino alla fine del mondo». Nel frattem– po, non c'è di che dormire. Non si può dormi– re. E' i[ lato insonne che i cristiani hanno ereditato: non dormono_ perchè Gesù Cristo è stato crocifisso. E' meno grave di cinque milio– ni di morti, di cui tre milioni di bambini. Come liquidare una cosa del genere?( ...) fl rispetto per la Resistenzq, Il crimine nazista è una cosa inconcepibile, che esula dalla ragione. Si è tuttavia assistito, anche di recente, a tentativi di spiegazione, se non di giustificazione, alla rinascita di una specie di "ragione mostruosa". Come è possibile? Che cosa non è stato fatto nel periodo di tempo tra– scorso dalla fine della guerra? Si possono mettere diverse cose in relazione con la natura stessa del. male. Esiste un male, suscettibile di correggersi, ed è quello della bi- · valenza, èioè il tema dei fratelli nemici, quelli che quando si odiano si odiano maggiormente. Del male costituito.dai fratelli nemici non si è mai preso sufficientemente coscienza. In primo luogo, sul piano concreto, questo male non è ben guarito perchè non è stato ben curato, nel senso che il nemico, dal canto suo, avendo interesse a ravvivare tutto questo, ha ben presto individuato i punti deboli. Tali pun– ti deboli consistevano nella mancanza di ri– spetto per la Resistenza, la mancanza di buona memoria:· i ·partigiani erano una piccola èlite, erano pochi. Neppure i carnefici, dal canto loro, erano numerosi, le persone al soldo dei Tedeschi erano poveri disgraziati, pietosi e poco numerosi. La massa era piuttosto indiffe– rente. Il nemico -perchè vi è un nemico in ag– guato- ha approfittato di questo punto debole, di questa mancanza di memoria. La strada giusta era quella indicataci dalla Re– sistenza alla fine della guerra, vale a dire l'edu– cazione dei giovani, insegnar loro con convin– zione cosa era stata la Resistenza. Per far que- · sto, però, sarebbe stato necessario conoscerla. (...) Non si può insegnare di· colpo l'odio. ai bambini, mentre è possibile insegnar loro l'a– more ed il rispetto per coloro che èi hanno . consentito di vivere oggi, di esistere. Lo si può spiegare a un bambino, non ne perderà il son– no, e del resto, non soffre d'insonnia.( ...) Si tratta semplic!!mente di _far comprendere loro in modo vivo, che vi è stàta un'epoca, quattro anni maledetti, durante la quale il ne– mico, lo straniero, calpestava il suolo del loro paesè, durante la quale la svasticà sventolava su Notre-Dame, un'epoca durante la quale la Francia era ·alienata, era la cosa di un altro. ( ... ) De Gaulle Questo lavoro non è stato fatto? No.· Poi ci sarà comunque De Gaulle.~ . Si, ma ben presto la cosa è diventata equivoca, per molti irritante. Serbo uno spazio per De Gaulle e non ho mai parlato male di lui, non potrei. Quindi, questa funzione non è stata svolta al li– vello delle istituzioni, in particolare scolastiche, bensì al livello degli intellettuali, ·dei filosofi? Molti hanno ceduto. Comunque, non erano molto numerosi. Non si incontrano molti Jean de Cavaillès, Francois Cuzin, Albert Lotman– ...Non ci vuole molto ad elencarli! Meglio non parlare degli altri, mi stroncherebbe l'appetito. Per molto tempo, mi ha irritato, sono rimasto nel mio cantuccio. Incontrarli in occasione di. convegni mi ripugnava, e tuttora mi ripugna. E' piuttosto paradossale che dopo la guerra, a prevalere a livello filosofico sia stata la tematica dell'impegno. Ah, sì! (ridendo) I filosofi impegnati coniuga– vano il verbo impegnarsi: io m'impegno, tu t'impegni, essi !li impegnavano ad impegnarsi. Merleau-Ponty Se ne dobbiamo parlare, citiamo apertamente Merleau-Ponty o Sartre. . Non mi costringa a parlare di Merleau-Ponty! Sartre era un grande uomo di sinistra, mentre Merleau-Ponty non rappres~nta pròprio nien– te. On carattere meschino. Avevo un piccolo appartamento al quai auic Fleurs, due camere a un pianterreno. Andai al fronte, fui coinvol– to prima nella "dròle de guerre", poi in quella vera, e non pensavo più al mio appartamento, non sapendo se vi sarei mai tornato. Un gior– no, Merleau-Ponty mi scrisse una lettera con la qu;ile mi chiedeva di installarsi nel mio appar- FINE SECOLO* SABATO 29 I DOMEt:JICA 30 GIUGNO -tamento. Stava per diventare padre. «Sistèmati .-gli risposi- ne riparleremo dopo la vittoria; non so neppure se tornerò». Per qualche tempo, mi inviò coscienziosamen– te tutte le bollette d'affitto affinchè le pagassi. . «Non pagherò un bel niente, arrangiati, caro mio, se vuoi abitarci, paga l'affitto». Questo gli comunicai; dopo di che smisi di pensarci. Il figlio nacque, lui traslocò e lo rividi dopo la . guerra. Sartre Nel caso di-Sartre, la questione è più difficile... Ah, è difficile...Sartre ha certamente a'vuto un complesso, venutogli non so da dove, per cui durantb la guerra non fece nulla. Simone de Beauv.oir ha detto: «Per-noi che non volevamo accettare il trionfo del Reich nè osavamo fare assegnamento sulla sua eventuale _disfatta, fu un periodo talmente ambiguo, che persino il ri– cordo che ne serbo è offuscato»:°L'impegno di Sartre dopo la guerra è stato una· specie di morb.osa compensazione, un rimorso, una ri– cerca del pericolo che non aveva voluto affron– tare durante la guerra. Investì tutto nel dopo– guerra, si mise a correre rischi -che non lo era– no più, non sostituivano i precedenti, e lo sen– tiva. Sfidare i poliziotti nel corso di una mani– festazione è positivo, meglio di niente, ma quando, durante la guerra, si ha l'ètà che ave– va Sartre, P.erchè attendere? Simone de Beau– voir lo ha detto, racconta come, ~I momento della Liberazione, Sartre percorresse le barri– cate in cerca di sensazioni forti. (...) Secondo lei, quel che fece in seguito non com– pensa ciò che non fece durante la guerra? No. Meglio non parlarne. Cosa è paragonabile al proprio paese, ai propri amici, a tutto ciò che si ha di più prezioso, a tutti i valori del– l'uomo calpestati dall'invasore? Il dovere era chiaro, non vi era altro da fare, nel '40-'44 vi era un solo dovere, un dovere urgente, un do– vere totale, anche a prezzo della vita. Se non lo si capisce, si potranno anche fare delle_cose po- -sitive in altri momenti, ma non saranno sosti– tutive. Lo sono state per i giovani che durante la guerra non erano in età di impegnarsi. Nella Resist!!nza vi erano dei giovanissimi ed anche gente che non aveva la cultura di Sartre. (...). L'idea di una biografia di Jean-Paul Sartre che non parli della guerra è il colmo del ridicolo. Aveva pressapoco la mia età, è stato contem– poraneo della guerra e-non ha capito di che si trattava. Si è davvero cortesi nei suoi confronti ad usare degli· eufemismi e a non parlarne .. Quando insegnavo alla Sorbona e ricevevo i curriculum vitae dei candidati ad una cattedra, mi precipitavo sugli anni di guerra. Cosa ha fatto durante quel periodo? Nove volte su die– ci, per il periodo '40-'44 trovavo: nomina a Caen, nomina al liceo di Guèret, passato alla– facoltà di lettere di Tolosa, ecc., come se niente fosse, l'iter continuava. A quarantanove Fran– cesi su cinquanta, tra il '40 e il '44, non era ac– caduto nulla. A tal punto che mi stropicciavo gli occhi dicendomi che probabilmente avevo sognato, che non era accaduto proprio nulla, avevo solo vissuto un sogno da sveglio. A favore di Sartre, credo che si possa almeno dire che fu tormentato dai rimorsi. Il suo impe– .gno nel 1968 e negli anni succ~ivi lo hanno pur sempre isolato. · Lei non ha torto quando dice che il suo impe– gno nel dopoguerra, e fino alla fine, doveva es– sere il più pericoloso possibile, avrebbe persino scelto volentieri un compito per il quale ri– schiare la vita, pur di dissipare quel brutto ri– cordo, forse addirittura quell'incubo, perchè esiste un'insonnia morale -è solo un'ipotesi, hon sono sicuro, ma sarei propenso a crederlo. A cura di Jean-Pierre BARON e Robert MAGGIORI (traduzione di Rolando PARACHINI) 25

RkJQdWJsaXNoZXIy