Fine secolo - 6-7 giugno 1985

I FINE SECOLO * SABATO 6 / DOMENICA 7 GIUGNO I bellissimi acquarelli e disegni esposti al- 1' Albertina si guardano con un piacere così immediato e spontaneo che sembra consumare e appagare ogni ulteriore curiosità. Ma con l'aiuto del catalogo, molto interessan– te e accurato, scritto da Fritz Koreny per le edizioni Prestel, ci è permesso gettare uno sguardo nell'intricatissimo e appassionante stratificarsi di significati, connessioni e proble– mi che caricano questi fogli sottili di un inso– spettabile peso. Partiamo dalla «Starna morta» di Jacopo de' Barbari ( 1504). Generalmente si è sempre pen– sato che gli studi di uccelli morti di Cranach e Durcr - tra cui la «Ghiandaia marina morta» ammirata e imitata per secoli - fossero tra i pri– mi del genere, in bilico tra l'eccezionale risulta– to artistico e la volontà scientifica e conosciti– va di riprodurre con la massima esattezza un aspetto della natura. Oggi è dimostrato invece che la «Starna morta» del pittore veneziano - attivo all'inizio del '500 alla corte di Norim– berga e di Wittemberg e personalmente cono– sciuto da Diirer - precorre gli studi degli artisti nordici e apre la strada alla natura morta come genere autonomo, radicandosi sulla tradizione figurativa italiana degli intarsi lignei dell'ulti– mo ·400_ Non solo: proprio il tema degli uccelli morti permette un ulteriore salto e connessione con il passato, trovando un riscontro preciso nelle raffigurazioni illusionistiche parietali a Pompei e nelle decorazioni musive pavimentali di edifici romani in Nordafrica. Non è dimo– strabile come Jacopo de' Barbari sia venuto di– rettamente in contatto con queste immagini, anche se è facile supporre che - tornate alla luce nel '500 tra i reperti romani ed ellenistici - venissero avidamente accolte e reinserite nel patrimonio figurativo e culturale del secolo, al– rinterno della grande rinascita dell'antico. Insieme ctlmodulo iconografico antico - rivisto però con l'occhio nuovo dell'artista del Rina– scimento che vuole fondere in un tutto organi– co resa artistica e attendibilità scientifica - Ja– copo de' Barbari trasmette agli artisti d'oltral– pe anche il sapere connesso all'immagine. Le starne morte, legate e appese per il becco, rap– presentavano gli «Xenia», i doni portati dagli ospiti. Cariche di questo significato 'colto' ap– paiono nel quadro a tema mitologico di Cra– nach il vecchio 'Ercole e Onfale', ma al tempo stesso - per quell'affascinante stratificarsi di si– gnificati che si depositano su un'immagine come incrostazioni marine nel corso dei secoli - sono interpretabili anche come simboli della malignità e della lussuria, secondo la lettura medioevale. Più comune e diffusa - anche nei secoli prece– denti - era la rappresentazione di un animale vivente, che veniva poi inserita nei repertori d'immagini in uso nelle botteghe. Basti pensa– re a Giovannino de' Grassi o a Pisanello. Ep– pure I' «Upupa» attribuita a Simon Marmion, qui esposta, rappresenta una significativa no– vità rispetto a questa tradizione: il piccolo punto luminoso che lampeggia nell'occhio del– l'uccello, come se si trattasse di quello di un uomo, le conferisce una vita e una individua- OCCIIIO. L'occhio riflette una finestra, che è la finestra dell'anima. L'anima è di Diirer, i cui fantastici disegni e dipinti di animali e piante sono esposti a Vienna. Con altre opere rinascimentali sugli stessi soggetti. -----------di Margherita BELARDETTI----------· lità che testimoniano come l'artista si sia posto direttamente di fronte all'animale da "ritrarre" e abbia impiegato un'attenzione nuova riella resa fedele del suo aspetto. Allo stesso tempo è una dimostrazione dell'influsso della pittura fiamminga che - con Van Eyck e il Maestro di Flémalle - ha per la prima volta ripreso dal– l'antichità il topos classico del riflesso lumino– so nell'occhio, che troverà poi con Diirer diffu– sione nella pittura tedesca. A questo proposito osserviamo il foglio con la celeberrima «Lepre» di Diirer, modello, come molti altri suoi studi, di numerosissime copie e imitazioni, a volte eseguite proprio con intento falsifica.torio (circa cinquant'anni dopo la mor– te del maestro, avvenuta nel 1528, si avrà un vero e proprio 'rinascimento diireriano', ad opera soprattutto di Hans Hoffmann e Georg Hoefnagel, attivi alla corte praghese di Rodol– fo II, grande amatore delle arti e dell'alchimia e collezionista di rarità). Anche nell'occhio di questo animale - dipinto con sensibilità enor– me e fantastica leggerezza di pennello - brilla un punto luminoso, che riflette .questa volta l'intelaiatura quadrip~rtita di una finestra (comparsa per la prima volta nell'Autoritratto di Diirer del 1500 quale 'finestra dell'anima', e poi trasposta come caratteristica formale negli occhi degli animali). Identico riflesso composto di quattro piccole luci si nota anche nell'occhio della «Lepre in mezzo ai fiori» di Hans Hoffmann, ripresa pari Leprotto ( acquarello e·guazzo su carta, 1502). pari dal modello diireriano, pur trovandosi ambientata all'aperto. Questa curiosa incon– gruenza richiama alla memoria le bellissime pagine di Gombrich in «Arte e illusione» sul– l'influsso determinante che ,la tradizione figu– rativa esercita sull'osservazione diretta dalla natura, interferendo con il suo potere fantasti– co sul dato obiettivo. Ma l'entusiastica volontà di conoscere e ripro– durre fedelmente ogni minimo aspetto della natura rimane la costante dello spirito nuovo: i fili d'erba de «La grande zolla erbosa» hanno diritto di cittadinanza nella sfera artistica e Diirer li riproduce con grandissimo amore e ri– spetto di ogni loro minuscola particolarità. E' sempre Diirer ad annotare nel suo diario, du– rante il viaggio in Olanda del 1520, di aver vi– sto, dopo l'altare di Van Eyck, «i leoni e ne ho ritratto uno con la matita» (dopo questo con– tatto personale i suoi leoni non avranno· più un numero sovrabbondante di dita!). Con il trascorrere degli anni l'aspetto artistico e quello scientifico divergeranno, tendendo quest'ultimo a una sempre maggiore specializ– zazione, dove l'immagine ha lo scopo predomi– nante di rendere riconoscibile e di classificare un determinato fiore o animale. Ma eleganza e enorme abilità disegnativa contraddistinguono ancora queste tavole, come quelle di Conrad Gessner che, sul finire del 1500, disseziona e studia piante e fiori con spirito leonardesco. Bellissimi, forse tra i pezzi più preziosi della mostra, gli acquarelli di Jacopo Ligozzi, attivo alla fine-del secolo alla Corte dei Medici, i fiori finissimi di Ludger Tom Ring il giovane, le ci– liegie dai rossi luminosi di Georg Flegel che - affacciandosi sul '600 - apre la strada alla grande pittura nordica di nature morte con fiori e frutta. Che il connubio arte-scienza abbia potuto pro– durre anche frutti fantastici ce lo dimostra la storia dell'uccello del Paradiso, di cui diversi fogli nella mostra testimoniano la lussUFeg– giante sericità delle piume. Il 6 settembre 1522 la nave Vittoria entra nel porto di Siviglia, uni– ca superstite di una flotta di cinque, partite tre anni prima al comando di Magellano alla vol– ta delle Isole delle Spezie. I dicietto sopravvis– suti dell'equipaggio portano un bottino prezio– so: cinque uccelli del paradiso imbalsamati, dono del capo dei Molucchi e simbolo di invin– cibilità in guerra. Ma gli europei non si accor– gono che ai préziosi animali sono state tolte, per la conservazione, ossa e zampe. Nasce così la leggenda - durata tre secoli - di un favoloso animale, ricercatissimo da principi e scienziati, che è apode e senza scheletro perchè «si nutre della rugiada e del nettare degli alberi delle spezie e, comunque sia, ...di sicuro non può mai decomporsi», come scrive un dotto dell'e– poca, approvato da Gessner e da Linneo. Solo nel 1824 verrà catturato un esemplare vivo e, forse a malincuore, scomparirà la leggenda di questo uccello paradisiaco, come sono quasi del tutto impalliditi e scomparsi i tratti d'ar– gento con cui Hans Baldung Grien ne ha fer– mato le sembianze fantastiche.

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