Fine secolo - 1-2 giugno 1985

r, T,EIJA, DOPO. -LATOR / a cura di Roberta MAZZONI -----------:--- Devo·parlare di Lelia, parlando del percorso che mi ,ha portato· ad accorgermi di lei. Devo fare circolare il video che le abbiamo fatto: quel suo bellissimo viso da indio che racconta, poi si fer– ma, cerca _diinghiottire l'emozione di certi ricor– di, riprende, frustandoci con la sua intelligenza. E parla di quello strano processo di autocolpevo– lizzazione per averla scampata, per essere so– pravvissuta a tutto quello che lei chiama, in quel suo- dolcissimo castigliano, "la machinaria del Nel viaggio latino-americano di Piera Degli Esposti e una piccola delegazione di donne,_ha fat.to irruzione a un certo _pùnto Lelia. Cilena, desapar.ecidil, torturata: scontrosa, /inèhè non ha deciso di raccontare fa sua storia di allora, e ' _·dioggi. oror". . c· Trascrivere il suo messaggio su carta toglie tre quel ·tempo, tra i sedici e i diciotto anni. i quarti di intensità. Permette la distrazione, per- portarono allo Stadio· Cile... era uno stadio mette di non affrontare fo sguardo di Lelia che chiuso, sovrastato da mitragliatrici. Presero i nostri dati e ci portarono negli spogliatoi, co- arriva dritto c,ome uno sparo. Ma intanto. . minciando ad accusarci di essere franchi tira-. Lelia Perei, di nazionalità cilena, 28 anni.· Ora tori. Assassinarono sotto i nostri occhi cinque vive a Maracay, in Venezuela, con un compagno di noi ... e noi che aspettavamo venimmo tra– e due figlie. Non trova lavoro. Continua la su_a sformati in fantocci, in cavie... rton so come al– lotta in un collettivo femminista, portando m. ti;o dire ... Le donne venivano violentate pi~ giro per le strade uno spettacolo sulla condizionf!_._ volte... ·. della donna in Americ_a Latina.· · - La prima persona assassinata fu la mia amica Un giorno a Caracas, dopo uno spettacolo trion– fale di Piera all'Ateneo, appare nel camerino una ragazza bellissima, con una gran frangia nera sugli occhi scuri, ·da indio, che dice a Piera: ''Tu hai conosciuto le Madri. C'erano le Madri di Plaza de M ayo nella tua Ermione" (i giornali avevano parlato di 'do/or digno ', riferendosi pro– prio all'interpretazione del Racconto d'Inverno di Piera). Prima che Piera possa reagire, colpi– ta (era vero, era venuta con noi a interv_istarele madri, il secondo giorno), una donna italiana la presenta: "Lelia Perez, cilena... è stata desapa– recida, torturata ... ". La fierezza dell'indio si ri– sveglia: "Non è il mio biglietto da visita" e se ne va. Questo me lo racconta Annali~a Scafi, che era presente . . Dopo qualche giorno, in una casa, incontro un gruppo di donne che fanno teatro di "calle" (strada). Annalisa ha scoperto che l'ultimo sketch del loro spettacolo è dedicato alle Madri. Un ottimo finale, pensiamo, per un video che ab– biamo fatto alle Madri a Buenos Aires. Chiedo se possiamo jìlmarli ad Eulalia, una del gruppo,. Ma una voce nella penombra dice "no". Dura, severa, diffidente. '.'Non ha senso". Eulalia sor– ride imbarazzata, cercando di mitigare /'ostilità della compagna. Nel frattempo è arrivata Anna– lisa e le parla del perchè della nostra proposta. Lelia (perchè è lei, anche se io non lo sapevo) si scioglie un po'. Io inizio a parlàrle dell'Italia ... Non ho capito che è lei la desaparecida. Le chie– do qualcosa e lei, lentamente, #,olcemente, inizia a parlare. Non era diffidenza, quello scarto. Lei vuole parlare, ma di quello che ha passato, quel– lo che ha capito. Decidiamo di raggiungerla a Maracay, in Venezuela, per farle il video. Ma ci manchiamo, per ben due volte, stupidamente. Rinunciamo. Chiudiamo le valigie con un sentimento di perde– re qualcosa. Fra due ore lasciamo il Sud Ameri– ca. E lei telefona, è giù nella hall. Si è fatta ac– compagnare da due amiche: 120 km. per poter fare questo video. Ha bisogno di parlare, df mandare il suo messaggio al di là dell'oceano. E emozionata e felice di averci trovato come lo siamo noi di vederla. Andando a cercare un posto per filmare, ci chie– de se abbiamo figli. No. È stupita. Ci spiega che ancora oggi, in America Latina, una donna che non ha figli non è considerata una donna: "Se avessi potuto scegliere, come fate voi, non so se avrei avuto figli ... " Ci immergiamo n~ll'orto botanico di Caracas e iniziamo. Lei parla con voce calma, ferma ... · ogni tanto si deve fermare per via delle lacrime, poi riprende ... passa un aereo, tace, continua. Parla per venti minuti e il video non si stacca mai dal suo viso in primo piano. Poi si ferma, sorride svuotata e "non so che al– tro dire", dice. Mi chiamo Lelia Perez, sono di ·nazionalità ci– lena. li 12 settembre del 197 3 sono stata arre– stata con altri dieci compagni. Avevamo, a Daniela. Fu assassinata accanto a me ... aveva diciassette anni. Noi che eravamo ancora vivi, eravamo obbligati a trascinare i corpi senza . /, vita dei nostri compagni-fino al ç~µiion dell'e– sercito. Tutto questo:'durò circa. un mese. Poi un giorno ci chiedond ,perchè eravamo in car– cere...·loto che ci avevano arrestato, che ci ave– vano torturato, che ci avevano condannato, loro che ci avevano assassinato, un giorno ar– rivano e ci chiedono perchè siàmo detenuti .. Fortunatamente, ad un compagno venne in mente di dire che eravamo in prigione-per non aver rispettato il coprifuoco. E fummo messi in libertà. Passò molto tempo prima che io potessi ricor– dare tutto questo. Quando lasci~i lo stadi9 Cile, molte cose non le ricordavo ... non ricor- davo molte morti. , Sentivo che avevo molta paura a ricordare, perchè mi s~ntivo responsabile della Idro scomparsa. Un processo strano, molto strano di autocol– pevolizzazione per -quello che era successo ... pur sapendo razionalmente chi erano i veri ~e– sponsabili, s~pendo tutto questo ... la sensa210- ne, il sentimento era una cosa inesplicabile. Una sera, alle nove di sera del 24 ottobre del 1975,. arriva la DINA - la direzione nazionale d'informazione: un organismo creato sotto la dittatura di Pinochet ·per coordinare la tortura, per coordinare l'informazione sugli oppositori politici - e mi arrestano di nuovo, sott? gli o~– chi di mia madre. Mi portarono alla Villa Gn– maldi con gli occhi bendati e lì trovai il mio compagno che era stato arrestato lo stesso ·giorno, qualche ora prima. · E nuovamente "la machinaria del orror" co– minciò a funzionare. Mia madre mi raccontò che mentre irruppero nella casa e perquisivano la camera, io ridevo. Non mi ricordo: credo che fosse una reazione nervosa perchè nuova– mente entravo in quello stato atemporale, dove non c'è spazio, dove il corpo prende un'altra dimensione ... perchè l'orrore ti inonda ancora ... entra dentro di te e ti impedisce di pensare con chiarezza, ti impedisce di sentire, non ti lascia coordinare ... Non si può control– lare. Quella notte cominciarono gli inte_rrogat?ri. La tortura Gli interrogatori erano molto piiì precisi ... Ci bendavano, alcuni incatenati mani e piedi, e ci torturavano. Fondamentalmente, mi riferisco all'uso dell'elettricità nella vagina, nel seno e nelle altri parti del corpo. Anche nel 1973 usa– vano l'elettricità - però allora era diretta, dalla presa di corrènte, era corrente a 220 volt. Ci bruciavano, lasciandoci dei segni molto più evidenti. Con il passare del tempo avevano im– parato a von lasciare tanti segni, le bruciature erano molto più superficiali. Ma i colpi erano altrettanto brutali. Un 'altra formà di tortura era quella di immer– gere la testa nell'acqua fino a praticamente provocare l'asfissia. Nel mio caso, io allora ero incinta di tre mesi e, come punizione per un'in– formazione che non avevo dato, mi minaccia– rono di assassinare mio figlio: una minaccia che durò due ore mentre mi tenevano incatena– ta e mi spiegavano i particolari di tutto quello che mi avrebbero fatto ... cercavo di non ascol– tare ma la realtà alla fine fu decisa da loro ... quattro agenti della DINA cominciarono a colpirmi il ventre fino a provocarmi l'aborto. Dopò di ciò, decisero che, dato che era mio fi– glio, doveva restare con me; e mi dissero che, dato che era mio figlio, non dovevo provare disgusto per lui e che dovevo mangiarlo. Mi rinchiusero quindi in una piccola cassa dove non. si poteva stare né in piedi né seduti _ né sdraiati ... e mi ricordo che non sapevo se ero viva o se ero morta. Non c'era tempo, non c'era spazio. Se io dicessi che pensavo in quel momento starei mentendo: io non pensavo. Io ero tma cosa. Avevo febbre, molta febbre. D'un tratto sentii dei -colpi di bastone vicino a me ed er~ uri altro desaparecido: Jorge Fuente Alarcon. Arrestato in Paraguay, fu trasferito, senza nessun problema di visti o di passaporti o di permessi speciali, in Cile. Semplicemente messo ·in aereo, portato in Cile, torturato, se– parato dagli altri prigionieri politici e messo in una ·cassa come la mia. Aveva la scabbia sul --corpo, incominciò a parlarmi e a chiedermi cosa mi era successo. Io non avevo il coraggio di parlare: era come se, raccontando quello che era successo, lo facessi diventare reale. Lui co– minciò a dare colpi contro la cassa: quando gli portarono da mangiare afferrò le mani del car– ceriere e cominciò a urlare. Il carceriere ritrae– va le mani per paura di contagiarsi e lui grida- va che venisse un medico a curarmi. Arrivò un medico, mi fece un raschiamento, mi pulì, mi diede della penicillina, forse un an– tibiotico. Più tardi Jorge, che è ancora desapa– recido, volle che ci scambiassimo una promes– sa. Mi disse: "Io ti prometto che sarai libera, che ayrai altri figli...~' e io gli dissi: "Io ti pro– metto che sarai libero ..~". Lui mantenne la sua promessa, io no. Lui continua a~ esser~ desa: parecido. Abbiamo fatto tutti gli sforzI legali che si possono fare sotto la dittatura; tutte le denunce che si potevano fare sono state fatte, .ma senza effetto: non serve a nulla perchè il re– gime cileno decide sulla vita e sulla m?~e .. Poi non so bene perchè: forse per la mia gio– ventù, forse-per )a-pressione-internazionale-, per la solidarietà espressa da tutti i popoli del mondo verso il popolo cileno: il regime si sentì costretto a non assassinare tutti i prigionieri politici, a lasciarne liberi alcuni, smettere di fare sparire la gente. Mi trasferirono in un car– cere di prigionieri politici chiamato TRESA– LAMOS, dove rimasi-un anno. Un altro elemento che fa parte di tutto questo orrore è come ci facevano assistere alle torture dei nostri cari: a me facevano assistere alla tor– tura di mio marito, mio marito ha assistito alla mia tortura. Ascoltavo continuamente le grida e i lamenti. In quel periodo furono assassinate cinque per– sone alla Villa Grimaldi. Quella sera, alla tele– visione fu data la notizia e la polizia alzò il vo- ,. lume al massimo, mentre veniva letto l'elenco delle persone assassinate, per farle credere uc– cise in combattimento vicino a Santiago. Tutto era contro di noi. Eravamo in una situazione in cui non potevamo difenderci Eravamo de– saparecidos. È il percorso di tutti i desapareci- dos ... Per la presenza onnipotente della ditta– tura, e non solo della dittatura, ma anche di quei governi che utiliz7.ano la desaparicion come tecnica di repressione sociale, per inf on– dere terrore, per eliminare le prove delle loro esecuzioni. li dopo Quando me ne andai dal Cile e venni in Vene– zuela, per molto tempo non ho potuto parlare di tutto questo ... mi sentivo "reducida", ridot– ta. Ridotta a un essere che non poteva decide– re, che non poteva pensare, a un esse~e che si sentiva terrorizzato di vivere, colpevole di vi– vere. In questo processo interiore di andare ogni volta più a fondo ... di consumarsi ... si sta– va cancellando tutto, si stavano cancellando i morti: si cancellavano le parole, rimaneva solo . il corpo, la faccia, le mani. In quell'incontrarsi con la faccia, con le mani... questo guardarsi allo specchio e dire - quella, quella sono io - e con questa faccia ho visto sempre il mondo, con questa faccia ho visto gente senza vita, con queste mani ho toccato, ho -sentito,_ ho dato amore ... e ho desiderato ammazzare. Con que– sto corpo, con questo esseré donna. Quando bQ imparato questo, ho potuto rifare la storia, la mia storia; capirla, toglierla da queU'oscu– rantismo, ho potuto darle l'impulso verso il fu– turo. Capendo che la violenza non era stata scelta da me, però io dentro di essa ... la violen– za, la distruzione, non era stata scelta da me, ma ne ero stata vittima e che l'unica maniera per poterne uscire era ancora attraverso ]a vio– lenza, la violenza di spe~e, la violenza di vi– vere, perchè VIVERE E VIOLENTO. Non è solo guardare i passerotti o andare da una parte all'altra ... È assumersi, è capire che questa America Latina che ha 90.000 desapa– recidos esiste, che ne siamo parte, che siamo l'America Latina, che siamo donne in America Latina, e che questo ci dà una connotazione diversa, speciale. Essere donna latina-america– na è diverso dall'essere un uomo latino-ameri– cano. Proprio perchè eravamo donne ci hanno trattato in maniera diversa - con umiliazione differente: non posso dire più umiliante dell'al– tra ... con umiliazione per essere donne. Vivere non è soltanto andare a lavorare o cercare la– voro. Vivere è anche capire, riconoscendosi in tutto questo e assumendosi come persone lati– no-americane. Implica rompere, implica uscire da sé, creare un collettivo, perchè l'unica ma– niera che noi abbiamo di sopravvivere è essere un collettivo, essere un gruppo. È il nostro gruppo, la nostra gente: e co°: loro ~ndiamo in piazza, con loro facciamo la guerra m Salva– dor, con loro difendiamo una rivoluzione in Nicaragua, con loro costruiamo un processo, a Cuba· con loro cerchiamo i nostri familiari in , . Argentina, in Honduras, e non solo sul piano cosiddetto politico. Ci sono anche altri livem che noi dobbiamo assumere, come. Latino Americani. Quando ci rendiamo conto che sia– mo emarginate, che siamo spinte alla prostitu– zione, dobbiamo capire che noi latino-ameri– cane siamo materiale adatto per la prostituzio– ne, e se non ci assumiamo come prostitute lati– no-americane, prodotto della miseria e della fame, non stiamo facendo niente, non stiamo assumendo niente, siamo ferme ... io personal– mente ho deciso di non fermarmi più, non pos– so fermarmi: c'è troppa storia vissuta, ci sono troppe vite troncate perchè io mi possa suici– dare, perchè io non possa assumermi ... Non so che altro dire.

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