Fine secolo - 4-5 maggio 1985

PER I E' NON VADO Mio caro, mi chiedi che cosa penso della proposta del ge– nerale Jaruzelski di andare stabilmente all'este– ro, di emigrare. Questo beneficio è riservato solo agli internati. I condannati, gli incarcera– ti, i semplici cittadini che non sono stati ritenu– ti passibili di internamento, non possono aspi– rare alla partenza. La risposta alla tua domanda è relativamente facile: non ho intenzione di emigrare. Ma il problema dell'emigrazione non è nè semplice, nè nuovo, nè tantomeno secondario. Per quan– to è possibile ricordare .il nostro rapporto con l'emigrazione è sempre stato caratterizzato da una ambivalenza di fondo, è un rapporto fatto di invidia e di diffidenza insieme, un miscuglio di complesso d'inferiorità e di megalomania. Ricordi di certo quelle osservazioni mordenti che, quando eri bambino, giravano sul conto del generale Anders, il quale voleva tornare su di un «cavallo bianco», quei riferimenti mali– ziosi sugli scrittori che «avevano scelto la li– bertà», quelle battute ironiche sui ministri del governo polacco a Londra che si erano siste– mati bene in terra britannica, continuando grottescamente a tenere in piedi le istituzioni dello Stato prebellico ed elargendo ai conna– zionali ancora in patria consigli ed insegna– menti campati in aria. L'emigrato della propaganda Ammettiamolo onestamente: questa manovra è riuscita alla propaganda ufficiale. Negli anni della nostra giovinezza, gli anni Cinquanta e Sessanta, l'emigrazione non era considerata benissimo. Era qualcosa di estraneo. Funzio– nava egregiamente lo stereotipo dell'emigrato, che aveva voltato le spalle al proprio Paese, si era distaccato dalla propria nazione, non ne condivideva più fortune e avversità, nutriva la disperata speranza di ritornare ai vecchi rap– porti e ai vecchi privilegi; l'emigrato, che aveva scelto il pane facile, la sicurezza e il benessere e che, pagato dagli americani, raccontava falsità sulla Polonia attraverso i canali di Radio Eu– ropa Libera. Era d'obbligo sostenere che, per pronunciarsi sulle più importanti questioni polacche, biso-. gnava essere qui, sulla Vistola, dove la situa– zione era pesante e scomoda, e non sulla Senna o sul Tamigi, dove tutto era comodo e sicuro. In quel periodo pochi leggevano la stampa del– l'emigrazione e quasi nessuno vi cercava ispi– razione per promuovere iniziative politiche. <;ul più bello esplose la «piccola stabilizzazio– ne» gomulkiana, la gente voleva un po' di tranquillità dopo gli anni del terrore stalinista, si rimetteva materialmente a posto dopo gli anni de11amiseria postbe11ica, cercava soddi– sfazioni nella vita professionale e familiare. Per gli emigrati questo stato di cose era inac– cettabile. La «piccola stabilizzazione» non po– teva bastare agli emigrati. Essi dovevano ra– gionare secondo le categorie di «indipendenza e democrazia». Qualunque fosse quindi il con– creto contenuto politico del messaggio dell'e– migrazione -e sono ben lungi da ogni idealizza– zione- la gente in Polonia non accettò alcun programma che comportasse un mutamento generale del proprio stile di vita; l'emigrazione poteva solo turbare la sua stabilizzazione spiri– tuale, poteva essere· soltanto un continuo rim– provero alle coscienze che con troppa facilità si erano rassegnate a rinunciare alle aspirazioni di ampliamento della sfera delle libertà nazio– nali e civili. I Polacchi dispersi per il mondo erano visti come parenti ricchi all'estero e non come una componente del destino polacco del XX secolo ... Sorprendente! Questo fenomeno era possibile in un Paese, la cui cultura è indis– solubilmente legata alla posizione dell'emigra– to; in un Paese, che per lunghi anni era esistito spiritualmente grazie alla sua emigrazione; grazie alla letteratura romantica, alla musica POL di Adam MICHNIK---------------------------' AdamMichnik, protf!Kf!!USla del ~fiB a Varsavia, ebreo, marxista originale imprevedibile, il più vivace, espostoe impavido degli intel/ettua/i, polacchi, é per ,m'ennesima volta,e in ,m JJ!ù grave isoliimento, prigioniero delregime di Jaruze/ski. A piì, riprese M,chnikha rifiutato di ➔are, ancoraneUa primavera del1984. La letterachepubblichiamo é statascrittanel marzo1982dalcampo_ di int_ernamento di Bialoleka, pubblicata clandestinamente in bollettini di Solidamosc, e poi a Parigi, dal/a rivista"Kultura". di Chopin, all'azione politica della Grande Emigrazione; un Paese insomma dove la gente avrebbe dovuto capire benissimo il senso ed il significato dell'emigrazione. Invece quanto più la Grande, quella ottocentesca, veniva stimata, insegnata nelle scuole e fatta oggetto di inni trionfali nelle accademie, tanto più quella con– temporanea era ignorata e sottovalutata ... Il ponte ricostruito Ma era solo questione di tempo. Quanto più fastidiosa si faceva la propaganda ufficiale, quanto più efficacemente il vaglio della censu– ra eliminava le allusioni non lealiste dai gior– nali e dai libri, quanto più forte diventava l'im– pulso di protestare e di autodifendersi, tanto più spesso e fruttuosamente si cominciò ad uti– lizzare il patrimonio della emigrazione. I doga– nieri sequestravano dalle valigie esemplari del– la rivista parigina «Kultura», le squadre della polizia portavano via dagli appartamenti per– quisiti i libri' di Milosz e di Gombrowicz, di Herling-Grudzinski e di Mieroszewski, di Wierzynski e di Hlasko. Radio Europa Libera era ascoltata diffusamente: vi si cercavano non soltanto le informazioni sul mondo, che ci ve– nivano tenute nascoste, ma le vere notizie sul nostro Paese, sulle pazzie della censura e sulle proteste degli intellettuali. L'inteligencja insor– ta cercava la via per la propria società tramite Londra e Parigi e alla fine trovò questa strada. In tal modo anche gli emigrati ritrovarono un linguaggio comune con il Paese, avviarono il dialogo, ridivennero necessari, ridivennero parte della nazione. Se ben ricordi, non si trattò di un processo senza conflitti. Ogni collaborazione con l'emigrazione era ri– schiosa, come è dimostrate> ampiamente dalle pene inflitte in una serie di processi. Ma il pon– te ricostruito ormai funzionava. Le edizioni dell'emigrazione ospitavano sempre più mate– riali provenienti dalla Polonia ed essi erano sempre più interessanti. La «piccola stabilizza– zione» era finita, si approssimava il «grande torbido» del 1968. Nel suo famoso discorso del 19 marzo 1968 Ladyslaw Gomulka, attaccando «nemid e so– billatori», citò ampiamente gli articoli di Ju– liusz Mieroszewski sulla rivista «Kultura», ri– cercandovi il retroterra politico della contesta– zione polacca. La maggioranza degli studenti (tu eri tra le poche ecceziqni) non conosceva quegli articoli, ma Gomulka, o quello che gli scrisse il discorso, dimostrarono una certa in– tuizione. É vçro infatti, e oggi lo si può ben ve– dere, che proprio Mieroszewski era stato in grado di ricostruire un ponte intellettuale tra l'irrealistico massimalismo degli emigrati e il fin troppo reale pessimismo di coloro che sta– vano in patria, era riuscito a tratteggiare la prospettiva politica dei mutamenti evolutivi del sistema, quella stessa prospettiva che di– venne poi la pratica dell'opposizione democra– tica polacca. Gomulka riuscì a vedere quello di cui molti an– ' cora non si accorgevano; l'emigrazione torna– va in patria. I libri venivano contrabbandati in massa attraverso le frontiere, passavano di mano in mano, venivano nascosti all'occhio vi– gile della polizia. L'emigrazione portava la co– noscenza del mondo e la verità sulla storia na– zionale, i capolavori della letteratura contem– poranea e una riflessione non censurata sulla speranza e sulla disperazione polacca. Ma la stessa emigrazione, arricchita di nuovi elemen– ti, subì una trasformazione interna. Gli emi– grati non erano ormai più anonimi coetanei dei nostri genitori e dei nostri nonni. Erano i tuoi ed i miei compagni. O di qua o di là: il tempo dell'ira Gli avvenimenti del marzo '68, oltre a varie al– tre conseguenze, posero in nuovi termini la questione dell'emigrazione di fronte alla inteli– gencja polacca. Le autorità statali consentiva– no di partire per l'estero. Per cui al professore allontanato dall'università o allo studente espulso si presentava l'interrogativo: che cosa fare adesso? Antichissimo interrogativo polacco: qui o là, emigrazione di fatto o emigrazione interna, compromesso e lavoro organico o coerenza e silenzio, lavoro nelle strutture ufficiali o co– struzione di strutture indipendenti? Natural– mente ricordi quante discussioni vi furono su questo argomento, in quanti modi si rispose a tali domande, come venivano espresse diversa– mente le ragioni «pro» o «contro». Tuttavia dalla prospettwa di oggi si vede chiaramente come nelja svolta dell'agosto '80 si siano ri– composti le esperienze di tutti: quelli che ave– vano scelto le strutture indipendenti e avevano organizzato l'aiuto a11evittime delle repressio– ni, hanno dato vita ai sindacati liberi e hanno iniziato l'editoria indipendente; quelli delle strutture ufficiali si sono pronunciati, a dire il vero in maniera meno esplicita, ma con mag– gior risonanza e hanno creato una sorta di cu– scinetto tra ciò che non era legale e ciò che era ufficiale; gli emigrati infine, che avevano scrit– to e pubblicato grandi libri a11'estero (Leszek Kolakowski, Maria Hirszowicz, ecc.) e aveva– no redatto «Aneks», un eccezionale trimestrale politico, hanno organizzato l'aiuto materiale pe'r la gente in Polonia e hanno informato il mondo su quello che succedeva in patria. Tutto questo però lo si capisce soltanto ades– so. Allora, nel '68, i dilemmi erano formulati in termini piuttosto aspri e molto raramente le scelte erano viste come complementari. Ovvia– mente ricordi le dure discussioni e le accuse re– ciproche, la rabbia degli amici e la soddisfazio– ne degli avversari, ricordi senz'altro, perchè non è possibile dimenticare la nostra ira nei confronti di coloro che decisero di emigrare ... Quell'ira è oggi per noi un rimorso, ma non rimpiangiamo la nostra scelta di allora ... Sia– mo rimasti in Polonia, anche se non si trattò di una decisione nè semplice, nè sicura. I funzio– nari ce l'hanno ricordato abbastanza spesso con il loro irrefrenabile attivismo. Ripetiamo– lo: a11oratutti ebbero ragione. Ma se ricordi il motivo fondamentale delle nostre discussioni, esso stava nell'opposizione alla politica del po– tere comunista, che prima ci aveva diviso in «Ebrei» e «ariani» e poi aveva consentito agli «Ebrei» di «scegliersi una patria». J.-a rabbia era indirizzata nei confronti di Gomulka, di Moczar e dei loro compagni, che avevano in– trodotto nel nostro Paese parametri razzisti, ma il riflesso di quella rabbia ricadde sugli amici che si erano macchinalmente sottomessi a quei parametri. Perchè partirono? Per numerose ragioni, per orgoglio nazionale offeso e per dignità perso– nale infranta, per il pane, per la tranquillità, per trovare una stabilizzazione, per senso di si– curezza e per poter lavorare intellettualmente in condizioni di libertà e anche per poter servi– re la causa polacca. Infine perchè avevano vo– glia di partire, e l'uomo deve avere il diritto di soddisfare desideri di questo tipo. Oggi nessu-

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