Fine secolo - 4-5 maggio 1985

FINE SECOLO * SABATO 4 / DOMENICA 5 MAGGIO 29 LA NOU V El J,E ~---NE Registra'lioni d filologia e sociologia gastronomica raccolte dal/e saporite memorie di, Teresa,,V aie e Dino,fra Altopascio e il padule. Ovvero al contadino nonfar sapere, quanto sitl buono il caciocon le pere. E poi, acqua,, erbette,baccalà,fagioB scritti e bianchi, mallegato, salsiccia, e un uovo o due. di Luca TEGLIA Partivano per andare a vangare, fino a quindici, venti chilometri; scalzi e la van– ga in spalla. Facevano la settimana. Quelli che trovavano da vangare più vicino par– tivano a buio e tornavano a buio. Gli da– vano pochi soldi e da mangiare. Mangia– vano pane, una minestra, o baccalà in umido: molta acqua e erbette, e poco bac– calà. Una volta due fratelli erano andati a vangare qua vicino, a mezzogiorno c'era pane e baccalà. Uno tira su un cucchiaio ... acqua, l'altro tira su un cucchiaio ... ac– qua, un altro cucchiaio e acqua, e uno dice a quell'altro: «o mi' omo ... ti scalzi tu o mi scalzo io». /Scendi tu senza scarpe nell'acqua a cercare, o ci scendo io/. La mia mamma era rimasta sola con due figlioli, il marito era a lavorare in Fran– cia... diceva lui, ma non riportava mai un soldo. Sicchè chiamava gli uomini a lavo– rare la terra; venivano volentieri perchè .era brava a far da mangiare e ne faceva sempre abbastanza. Faceva dei minestroni di verdure e fagioli con l'osso del prosciut– to, quando c'era, e serviva per più d'un minestrone, se lo prestavano anche da una famiglia all'altra; quando uno ne aveva mangiato quanto voleva stava bene tutto il giorno. Veniva la mattina a caccia; sempre con una camicia e gli zoccoli ai piedi. Non so come facesse d'inverno alle sei, con quel freddo. Si portava dietro un cantuccio di pane, mezzo tordo girato uno o due giorni prima e un fiasco di vino. Quando ci si metteva a mangiare metteva il mezzo tor– do sul pane, poi col coltellino che portava sempre dietro, e che serviva a tutto, stac– cava un bel tocco di pane e se lo metteva in bocca, rufolava con due dita un po' nel mezzo tordo e poi se le leccava. All'ultimo boccone aveva ancora una coscia di tor– do. Per far chiare le regole del mondo, chè uno non s_ene doveva approfittare su un altro, diceva sempre: «del cacio non far barca, del pan Bartolomeo». E quando uno gli chiedeva perchè Bartolomeo, ri– spondeva: «perchè lo sbucchiònno» /lo sbucciarono/. Insomma uno non deve mangiarsi la crosta e lasciare agli altri la midolla. E poi aggiungeva: «però è buffo. Il nonno era senza denti e voleva solo la midolla. Così quand'ero piccolo io man– giavo la crosta e lui la midolla». Pover'omo! andava con un carretto a prendere le calocchie qui sui monti. Ogni tanto lo incontravo. Io avevo il cavallo al– lora e poi dopo venne il camion. La salita del Forrone la faceva a pezzi, non ce la fa– ceva. Sicchè gli dissi di venire con me; due fasci di calocchie in più che vuoi che fosse. Allora lui mi disse: «ma la colazione la VEC IIA ~GNA Amibale Carracd, n mangiafagioli. 1584drca. Roma GaBeria c.oloma. porto io». Arrivò la mattina e mi disse: «oh! ho portato due companatici; il malle– gato e la salsiccia» Quand'ero piccina, andavo spesso la sera da un contadino vicino a prendere il latte. Arrivavo quasi sempre quando erano a tavola. Mungere era l'ultima opra della giornata e poi andavano a mangiare. C'era una vecchia, il babbo e la mamma, due figlioloni grandi e grossi e una ragaz– za. Mi ricordo la tavola d'inverno sempre uguale: di legno nudo, senza tovaglia, un piatto un bicchiere un cucchiaio una for– chetta; una polenta su un pezzo di tela con un piatto rovesciato sotto, così la po– lenta stava aperta dopo che era stata ta– gliata col filo, e un piatto con un salacchi– no e un po' d'olio dentro; a volte invece un tegame con un po' di baccalà in umi– do. Si staccavano un pezzo di polenta ognuno e poi la zuppavano un po'. In qualche casa per consumare meno il sa– lacchino lo legavano con un filo al trave sopra la tavola e ognuno ci passava la po– lenta sopra. Sarà una storia, ma si doveva risparmiare su tutto. E che credi che si mangiasse. Il pane d'e– state e la polenta d'inverno. 11grano mica bastava per tutto l'anno. Il vino lo vende– vano. Molti facevano la vinella; nella bot– te dopo che ci avevano levato il vino ci mettevano l'acqua sulle vinacce e poi be– vevano quella. La carne si vedeva qualche volta la domenica e per le feste. D'estate andavo dallo zio che faceva il guardiacaccia in padule. Mi ci avrebbero lasciato anche tutta l'estate, ma dopo un po' volevo venir via. Si mangiava sempre pesce, e quello con le lische. Pescavano in continuazione, quello buono lo vendeva– no, e quell'altro si mangiava noi. Tutti i giorni era pesce. Dopo un po' non ne po– tevo più. E poi c'erano le rape, gli spinaci, la bieto– la, e naturalmente i fagioli. Di molto si mangiava fagioli. Quelli scritti durante la settimana e qUelli bianchi la domenica. Prima lessi e poi rifatti col pomodoro e l'aglio, e quelle poche famiglie che am– mazzavano il maiale con la salsiccia. Non erano mica tanti quelli che lo tenevano; delle famiglie qua nella zona si contavano sulle dita quelle che ammazzavano il maiale. Ce n'era una che ne àmmazzava due e quando facevano la festa del maiale, uno lo mangiavano quasi tutto. Era una bella festa sull'aia. Facevano gli zampucci, le budelline, la testa, la rosticciana e le bi– stecche. Quei barattoli di strutto bianco, ci si andava avanti tutto l'inverno. Lungo la strada che va all'altro paese, era una strada bianca allora, ci stava uno che si chiamava Bati. Ci passavo sempre per andare al mercato. Tornavo proprio dal mercato verso mezzogiorno, e lo trovo che aveva messo il tavolo sulla strada, un pollo arrosto sopra e un fiasco di vino; come mi vide prese una coscia di pollo e quando ero a distanza di voce, prima an– cora che gli fossi davanti, mi fa: «diglielo in paese; tutti dicono come fa a campare il Bati? guarda come campa il Bati». Ci s'era messo apposta il giorno del mercato, e a tutti quelli che tornavano fece la stessa scena. E poi c'erano le frittate di cipolle. Molte cipolle e un uovo o due. Quando qui c'era un comando dei tedeschi si facevano certe padellate di uova; gli se ne cuocevano an– che sei a testa, ma le portavano loro; a me non m'hanno preso neanche un uovo. Una volta presero dei poveracci che erano venuti a rubare nel pollaio; gli fecero sca– vare la fossa, credevo che li avrebbero ammazzati; sicché andai lì e gli dissi all'uf– ficiale che non si ammazza un cristiano per un pollo, mi rispose: «no mammà! solo paura». E con un calcio nel sedere li mandarono via. Che paura quei poveretti. Ma le uova si portavano al mercato, insie– me ai polli e ai conigli. Una volta alla set– timana c'era il mercato. La massaia ven– deva al mercato polli conigli uova e com– prava caffé, poco ché di molto era caffé d'orzo; il nonno s'era fatto come un ba– rattolo infilato in uno spiedo che girava sul fuoco per tostare l'orzo. Tutto si cuo– ceva o sul fuoco o col carbone di legna, allora non c'era il gas e la luce. Si compra– va lo zucchero, il sale, il baccalà o lo stoc– cafisso, allora costavano poco, le aringhe, le acciughe. Coi soldi di un pollo o due ci si mangiava tutta la settimana; il resto ve– niva dal podere. Una volta alla settimana si cuoceva anche il pane nel forno a legna, certe coppie di due chili o più, che si con– servavano belle fresche nella madia. La farina era più rustica e il pane veniva più buono, più scuro di quello di ora. La mat– tina del forno era un vero gusto, perché si facevano anche le schiacciate col sale, e per i ragazzi anche con lo zucchero. Ma la vera pacchia era a Natale, col cappone. C'era il barbiere del paese che li cappona– va; poi sotto Natale si vendevano; uno o due si regalavano, al prete o al dottore o al maestro, a seconda di quanti ne erano venuti o di chi si aveva avuto più bisogno, ma uno ne restava sempre per noi. Faceva un bel brodo giallo, denso, e c'erano i tor– tellini. La zuppa lombarda, chissà poi perché si chiamava così; non. va confusa con la pan– zanella, che era pane ammollato, condito insieme al pomodoro, la cipolla e il basili– co; era un brodo di fagioli con due fette di pane un po' d'olio e dei fagioli a spasso. C'erano i poveri che ogni tanto facevano il giro a chiedere l'elemosina; lo sapevano che non dovevano passare troppo spesso; gli si dava un po' di pane, a volte un uovo o due. Ce n'era uno che passava sempre verso mezzogiorno e la nonna gli dava una minestra o una zuppa lombarda d'in– verno e una panzanella d'estate. Prima di mangiare diceva una preghiera per la casa e la nonna la diceva insieme a lui. Nonna gli dava la minestra e lui sollecitava un po' la provvidenza; dato che non si dove– va chiedere beni per sé, se lo chiedeva lui era meglio. Mi ricordo gli ultimi tempi prima che finissero di passare, comincia– vano a chiedere dei soldi, e la nonna si ar– rabbia va e diceva: «ma che poveri sono!» e non gli dava nulla. In chiesa invece dava anche qualche soldino. C'erano poi le ulive, in salamoia o seccate. Ma quelle che mi piacevano davvero era quando ne riportavo una manciata colta dall'albero e si cuocevano al padellino. Erano un po' amare, ma saporite col pane. Il vecchio dei contadini qui accanto s'al– zava la mattina e, quand'era stagione, an– dava nell'orto, coglieva un capo d'aglio e mangiava pane e aglio; seduto sul gradino di casa davanti all'aia, dove la mattina batteva il sole. NOTA LESSICALE baccalà e stoccafisso - il primo é il merluz– zo conservato sotto sale, il secondo é dis– seccato al sole. Si dice anche di persona ri– gida. ma/legato - voce vernacolare che indica un insaccato fatto col sangue di maiale, pez– zetti di grasso e talvolta chicchi d'uva. Prende il suo nome dal fatto che viene goffo e bitorzoluto. sa/acchino - diminutivo di salacca; é l'alo– sa comune seccata o affumicata. Si dice anche di persona secca. f agio/i scritti e f agio/i bianchi - i primi sono borlotti, i secondi cannellini. Si dice anche di persona sciocca. Una volta di una ragazza molto truccata si diceva: «sembra un fagiolo scritto». povero - si diceva di persona che, con la vecchia cucina, non aveva da mangiare. Oggi con la nouvelle cuisine ci sono nuovi poveri. Si dice anche di una cucina ipoca– lorica e di poco costo.

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