Fine secolo - 13-14 aprile 1985

FINESECOLO* SABATO13/ DOMENICA14APRILE 16 "In una piccolissima città ci possiamo annoiare, ma alla fine i rapporti dell'uomo all'uomo e alle cose, esistono, perché la sfera de' medesimi rapporti è ristretta e proporzionata alla natura umana. In una grande città l'uomo vive senza nessunissimo rapporto a quello che lo circonda (...) Da questo potete congetturare quanto maggiore e più terribile sia la noia che si prova in una grande città( ...) L'unica maniera di poter vivere in una città grande, e che tutti, presto o tardi, sono obbligati a tenere, è quella di farsi una piccola sfera di rapporti (...) Vale a dire fabbricarsi dintorno come una piccola città, dentro la grande." (Al fratello Carlo, 6 dic.1822). "Lasciando una Roma, e tornando in una Recanati, non vorrei trovar altro che amicizia ed amore ..." {a Carlo, 9 apr. 1823) "Ogni ora mi par mill'anni di fuggir via da questa porca città, dove non so se gli uomini sieno più asini o più birbanti: so bene che tutti son l'uno e l'altro. Dico tutti, perché certe eccezioni che si conterebbero sulle dita, si possono lasciar fuori del conto. Dei preti poi, dico tutti assolutamente". (A F. Puccinotti, 27 apr.1827) "Starò qui non so quanto: fo conto di aver terminato il corso della mia vita" {a G. Rosini, il 28 nov. 1828, una settimana dopo un nuovo ritorno a Recanati) "lo sono, mi si perdoni la metafora, un sepolcro ambulante, che porto dentro di me un uomo morto, un cuore già sensibilissimo che più non sente ec." {Bologna, 3 nov. 1825, Zibaldone 4149). "Quanto a Recanati, vi rispondo ch'io ne partirò, ne scapperò, ne fuggirò subito ch'io possa; ma quando potrò? .." {A Adelaide Maestri, 31 dic. 1828). "Questo soggiorno orrendo ... Quest'orribile e detestata dimora" (1829) "L'orrenda notte di Recanati mi aspetta" (1830) "Oh quanto a me gioconda quanto cara fummi quest'erma (sponda) plaga (spiaggia) e questo roveto che all'occhio (apre) copre l'ultimo orizzonte". (Argomento dell'idillio "Sopra l'infinito"). d ,\ :.:::" f il. f t {) p ,_ n _r) _, 1 I .··, ... I j ' ,, I.~ r :: :: (: 11 Qui non siamo a Recanati, ma a Pisa, davanti alla casa in cui il 19-20 aprile 1828 Leopardi scrisse "A Silvia", e ii fico che sbuca dal muro è l'albero della poesia. Silvia evocava probabilmente Teresa Fattorini, morta nel 1818 di mal sottile. "Odi anacreontiche composte da me alla ringhiera sentendo i carri andanti al magazzino e cenare allegramente dal cocchiere intanto che la figlia stava male, storia di Teresa da me poco conosciuta e interesse ch'io ne prendeva come di tutti i morti giovani in quello aspettar la morte per me (...) Canto mattutino di donna allo svegliarmi, canto delle figlie del cocchiere e in particolare di Teresa mentre ch'io leggeva il Cimitero della Maddalena" (Ricordi d'infanzia e d'adolescenza, primavera 1819). Qui accanto, il frontespizio del "Cimitero della Maddalena''. Davanti al palazzo avito, Vanni Leopardi e il nipote, Pierfrancesco, primogenito di Giacomo. Recanati ha oggi 18.000 abitanti, un terzo sparsi nelle case di campagna. C'è un liceo classico, uno scientifico, un Istituto Tecnico Industriale, un Professionale per segretari di azienda. Gli studenti di ragioneria vanno a Loreto. Qui sotto l'uscita da scuola davanti alla facciata vanvitelliana di San Vito. Leopardi scrisse "Il sabato del villaggio" alla fine di settembre del 1829. Fra tutte le poesie servite d'ufficio agli scolari, è sempre stata la più vicina al loro animo, a quell' "angoscia del lunedì" che ne guastava le domeniche. Almeno, fino a che il dì di festa e la sua vigilia non si sono tramutati nel week-end, e la settimana non è diventata corta, e il villaggio elettronico. Con l'introduzione inevitabile e prossima del sabato festivo nelle scuole, "Il sabato del villaggio" non susciterà più l'immedesimazione emozionata dei giovani lettori, e diventerà un reperto di altri tempi, di altri calendari, e di una stranissima persona. /

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