Fine secolo - 23 marzo 1985

FINE SECOLO e SABATO 23 MARZO . . '-------~----------------------- a cura di Adriano SOFRI------------------------------ Nel luglio 1983, alla formazione del governo Craxi, Mario Raffaelli, un trentino di 36 am~i, viene nominato sott'1segretario agli Esteri. È un po' preoccupato. È già stato sottosegretario - con Altissimo, alla Sanità - nel governo pre– cedente: ma gli Esteri sono un'altra cosa, e Raffaclli non ha viaggiato granché, e, per dirla tutta, non è neanche un gran poliglotta. Poco dopo la cerimonia del giuramento, passeggia nel Transatlantico di Montecitorio con Aldo \jello. un vecchio amico, ed esperto conoscito- 1 ç,di organismi internazionali: diligente, anno– ta i consigli e le indicazioni bibliografiche di .-\_jcllo. l?cr fortuna c'è l'agosto di mezzo, e Ralfaclli lo passerà a studiare, come chi ha un c,ame autunnale da sostenere. Mentre i due parlano. arriva Andreotti, che nel nuovo go- \ erno ha preso, non senza polemiche, il posto d1 Colombo alla Farnesina. Raffaelli non lo L·onosce ancora, e lo possiamo immaginare un ro· agitato. Andrcotti però è gentile; ricorda di. e,serc entrato nel governò come sottosegreta– rio alla presidenza del consiglio nell'anno in cui RalTaclli nasceva, insomma lo· incoraggia. F lo convoca per il gi◊-rno dopo al Ministero. 11 giorno dopo, gli spiega che d'ora in poi il \1inistero degli Esteri non suddividerà più la -..ua ·attività per temi, ma per grandi aree geo- 1:!rafìche.Se la sente, Raffaelli, di diventare il -..ottoscgrctario responsabile dei rapporti con l"-\frica'! I "Africa è grande e misteriosa, Raffaelli è un ):!Hl\ anotto di Trento. Me la sento, risponde. E comincia così' la singolare passione africana lkl nostro interlocutore. Ad essa è dedicata yt11..:sta·intervista.Le diamo la forma di un rac– conto diretto, risparmiando l'intervento del– l'intervistatore: al quale resta naturalmente la responsabilità delle eventuali imprecisioni. · Studiare da viceministro '"Ero veramente impreparato. Avevo trascorso 1 mesi precedenti a studiarmi i problemi della Sanità. Una conseguenza della durata effimera dei governi è che non si ha il tempo di prepa– rarsi cdi seguire un qualche progetto prima di dowr traslocare e inventarsi una competenza 111 tutt'altra materia. Il sottosegretario, poi, è una figura indefinita: Gli ·può capitare di essere -..cmpliccmente il portavoce del ministro nella commission,: parlamentare, con la soddisfazio– ne di un supplemento di stipendio e di un'auto con l'autista. Oppure, se ci si mette, e se è sol– kcitato dal suo titolare, può essere effettiva– mente un viceministro, avere un suo ambito di iniLiativa. Ricordo la prima-volta in cui dove– \ o presentarmi in commissione Sanità a pre– -..cntare la posizione del Ministero: mi furono recapitate le carte rel~tive due ore prima della seduta. Non avrei avuto neanche il tempo di :-.fogliarle. Mi sentii dire che in genere le cose andavano così. Spiegai che i0 ero più lento; e del resto sono stato fortunato, perché sia Altis– simo che Andreotti apprezzano che ci si dia da fare. Alla Sanità m1 1mpegna1 m particolare nella campagna "Azione donna", incentrata sulla prevenzione dei tumori al seno e· sulla cono– scenza della contraccezione, e sui servizi dei consultori. La campagna, già ideata prima del mio arrivo, e utilizzava la consulenza di donne come Laura Pellegrini, fo efficace, nonostante qualche resistenza. Per esempio, lo slogan "Vieni donna a parlare d'amore", che parve alla DC troppo audace. La contraddizione principale stava nel fatto che si invitavano le do~ne a ricorrere con più fiducia ai consultori, ma i consultori non erano in grado di accoglie– re adeguatamente le loro richieste. Quando si formò il nuovo governo, avrei voluto essere confermato alla Sanità, mettendo a frutto l'e– sperienza di quei mesi. · A maggior ragione oggi, dopo un anno e mez--. zo, mi pare. che non avrei la forza di interrom– pere bruscamente questa esperienza, di comin- La sedia a dondolo di Nye– rere Forse non dovrei dirlo, ma quando fui delega– to a occuparmi dell'Africa in Africa non avevo mai messo piede, se si eccettua una visita par– lamentare in Somalia. Il primo viaggio lo feci in Tanzania. Lo dilazionai per leggere più che , potevo. Così, quando partii, sapevo bene chi era Nyerere, e che parte di rilievo avesse avuto per l'indipendenza africana e per i paesi non allineati. Il Nyerere in carne e ossa mi apparve davvero una persona straordinaria. Riceve i vi– sitatori in una villetta alla periferia di Dar es Salaam, con una apparente assenza di misure di polizia. Lui è seduto su una sedia a dondo– lo, è affabile e vivace. Fu un incontro molto lungo. Era l'ottobre 1983, e Nyerere era parti– colarmente interessato alla posizione europea sui missili, e a quello che chiamava il ruolo pe– culiare possibile dell'Italia in Africa. L'Italia può contare, diceva, su un duplice vantaggio: quello di un passato colonialista molto più li– mitato e scalcagnato,~he gli altri paesi occiden– tali (e, cosa altrettanto importante, di una so- stanziale estraneità alla storia dello schiavismo); e quello di un presente non oscu- Ungiov0110tto di Trento,Slrupoloso, ma chenonhanwlto·viaggiato, e non è ungranpo6glotta,diventaa untrattosottosegretario ag6Esteri, incaricato di occuparsi, nientemeno chedell'Africa. .•. rato dalla potenza militare e dall'egemonismo. Questo è il. raccontodell'avventura di quelgiovanotto, che· si,chiama, MarioRajfael.i,ma anchedell'attività piùpregevole affascinante di que~to tempo: la coopera'lione. Del suolegamecon la po6ticaestera; dellepossibilità di, amici:zia, di, conoscenw, e di, occuJJ(l'OOne cheoffre. Di unnwndocheaccorcia le distanzeed esaltale disparità. ll tema di, questomonero, "itali.ano bravagente", è qui, messo, lnOdestamente, alla provadellaquestione cruciale: la fame, il. divario Nord Sud-. l'anwre di, sé e la passione perg6 altri. ciare ancora daccapo. Affrontare un problema nuovo e sconosciuto è sempre difficile; può es– sere ancora più difficile staccarsi da un proble– ma al quale ci si è dedicati senza riserve. L'Africa, i tre quarti della cooperazione italiana· Prima tutta l'attività della Farnesina si distri– buiva per materie: affari politici, econ0mici, emigrazione, cultura, personale. È ancora la struttura permanente del ministero, con altret– tante direzioni generali. Dal 1979, dopo la leg– ge n.38, c'è anche il Dipartimento della Coope– razione, una specie di sesta direzione generale. Nella nuova suddivisione per grandi aree geo– grafichè, invece, i quattro sottosegretari si oc– cupano uno, Corti, ael blocco eurasiatico (1' A– sia, il Medio Oriente, e i paesi dell'Europa orientale), uno - che è Susanna Agnelli - delle Americhe, uno, Fioret, dell'Europa - e io del- 1'Africa. ,. L'Africa vuol dire il 76 per cento ·della coope– razione italiana. Si capisce come la politica estera italiana in Africa e la cpoperazio!1'6"sia– no strettamente intrecciate, fino ad alimentarsi a vicenda. r Dove il dente duole La prima difficoltà è la lingua, naturalmente. Io conosco meglio il tedesco, che è estraneo alle comunicazioni diplomatiche. Fatico a ca– pire l'inglese, e capisco bene il francese. Ma nelle occasioni ufficiali parlo soltanto l'italia– no: meglio una buona traduzione~ che l'imba– razzo o lo sbigottimento degli interlocutori di fronte a una lingua parlata senza padronanza. Non ho rinunciato a studiare, perché la vera perdita provocata dalla scade.nte conoscenza delle lingue riguarda le conversazioni persona– li, che sono spesso, politicamente e umana– mente, le più preziose .. Un simile vantaggio di partenza, argomentava Nyerere, può essere moltiplicato da un'azione politica che favorisca francamente il non alli– neamento dei paesi africani. Il modello comu– nista non può essere tradotto nei paesi africa– ni, salvo che l'occidente li costringa a rinunciare a una propria strada autonoma. Di . fronte all'alternativa fra questa rinuncia e la ri– chiesta di aiuti militari sovietici, i paesi africani chiederanno le armi all'URSS. Sono persuaso che queste nozioni elementari siano il cuore del problema. Ho avuto altri rapporti con dirigenti della Tanzania, soprattutto nelle "commis~ioni mi– ste", composte di delegazioni di tecnici e politi– ci, costituite con tutti i paesi con cui si vuole realizzare una cooperazione. Già quella prima volta andai anche in giro nel paese, e assistetti allo spettacolo dirompente di una società che ha un piede in una storia lentiss'ima, quella che qui chiameremmo preistoria, e un piede nella incalzante modernità metropolitana. Vidi i Masai nomadi e i bantù contadini, e mi resi meglio conto degli scogli contro i quali sem– brava naufragare la politica di Nyerere della fissazione e concentrazione nei villaggi. Conservo il quotidiano loqtle, "Uhuru", con il resoconto in swahili del mio incontro èon Nye– rere: .non sembrerò troppo provinciale se dico che la cosa che mi colpì di più fu la ripetuta menzi-0ne del "bwana Raffaelli". L'aiuto allo sviluppo La Tanzania è grande tre volte l'Italia, ha 13 milioni di abitanti, un milione nella capitale. I suoi problemi sono quelli di tutti i paesi africa– ni, e sono anche il frutto di decenni di "aiuto allo sviluppo" distorto: una classe dirigente formata di norma nel Nord del mondo; un'ur– banizzazione travolgente, un abbandono delle campagne e con esse della possibilità di auto– sufficienza agricola, una cre~cente dipendenza finanzìaria e tecnologica. Il mito di quell'"aiu– to allo sviluppo" era l'esportazione del model– lo occidentale, l'accelerazione del prodotto in– dustriale, la formazione di una borghesia– modernizzatrice, e il suo benefico "gocciola– mentc". Non è andata così. La buona grammatica del 1982, aspettando la pratica In teoria, la riconsiderazione critica di quella concezione è ormai acquisita. Pi fatto le cose sono più ingarbugliate. L'Italia è arrivata tardi, in pratica con la legge

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