Fine secolo - 2 marzo 1985

FINE SECOLO lì SABATO 2 MARZO 1985 28 .. I J 11. poiché in un documento di tale anno é nominato come "O.omino Guidone Ricci de Fogliano"». Anzi, ora Moran capovolge del tutto il suo argomento. Dato sl{e Guidoriccio t:ra già_c-~~aliere, .~ d_iff~renza~iNello di Paga– nello (il smdaco dt Gmncirico), ecco una ra- · gionc in più per credere che il personagJ,io nel nuovo affresco sia Guidoriccio ad Arciéi6sso e non Nello a Giuncarico. Ih1ù0.vo personaggio con la sp/da ha ·infatti traèce di oro ah~ cintu– ra. che segnalerebbero il titqlo di "cavaliere" o ··µiudicc". ' · I Lna simil~ evoluzione sembreiyobe deporrf a sfavore d-i Moran (che del resto non é il solo a cambiare agilmente le sue pedine, e abbiamo visto che si gioca su una scacchiera. mobilissi– ma). E t'.uttaviala buona stella di Moran.gli ha procurato . .anche -a partire da premesse cadu– che. intuizioni sorprendentemente confermate. Per esempio. quando emerge dal nostro affre– sco l'inedita coppia di personaggi, e si scopre che sono stati davvero cancellati e prima vitu– perati e fors~_ lapidati in effigie, non si può fare a meno di ricordare che proprio questo Moran aveva ·-immag•inatoper Guidoriccio. Vorrei concludere ·a mia volta con un temera- ...... . (' rio anacronismo guesto paragrafo, suggellato da un pareggi& o· forse da 'uha'. misuratissima vittorili·ai pupti di Moran. Vorrei paragonare Guidòriccio sfa Fog'liano ad Andrea De Cortes d~tto Aceto vmçitore di ta~ti Palii di Siena: fo– restieri ambedue :ès~raneo ha da essere chi ga– reggia_per Siena e le sue contrade, poiché é il destino e fa provv;denza che si batte per suo tramite- ambedue mercenari, spregiudicati, candidati alla polvere o all'altare. Quale con– tradaiolo di oggi non può figurarsi un'immagi– ne trionfale di Aceto da celebrare -e, d'un trat– to. da lapidare? Fig. 10 AL MERCATO DI SIENA, COME A· BISANZIO di Sandro ORLANDINI SIÈNA- Se il Guidoriccio da Fogliano è del Seicento, l'autore deve essere stato l'antenato di uno dei tre livornesi- che hanno scolpito le false teste di Modigliani, diceva tempo fa un giovane fruttivendolo, munito di licenza di scuola media superiore (effetti della scolarizza– zione di massa e della disoccupazione intellet– tuale), alla sua ex insegnante di storia dell'arte intenta ad acquistare cipolle e limoni, per esprimerle il proprio totale dissenso dalle ulti– me ipotesi avanzate dallo studioso americano Gordon Moran intorno all'attribuzione e alla datazione del celeberrimo dipinto. Ieri l'altro invece, il commesso di un negozio di abbigliamento, mentre stava vendendo dei pantaloni ad un suo amico studente universita– rio fuorisede, gli spiegava che i senesi sono sempre stati «ammalati di medioevo» e che se nel XVII secolo, dopo un centinaio d'anni di dominazione medicea, napque il Palio del 2 lu– glio con alcuhi evidenti caratteri nazionalisti ed indipendentisti (fu infatti istituito in onore della Madonna di Provenzano che aveva puni– to con la morte un atto sacrilego tentato ai suoi danni da un soldato delle truppe di occu– pazione), nulla vieta di pensare che, proprio in quello stesso periodo, qualcuno abbia d~ciso di rinverdire il ricordo delle vecchie glorie so– vrapponendo agli antichi affreschi della sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico, raffi- guranti alcuni castelli e i capitani di ventura che li avevano conquistati per conto della città, una nuova pittura che avesse lo stesso soggetto, ma fosse più grande e maestosa. E qualche ora prima che cominciassi a scrivere queste righe _uribarista, mano sulla macchina da caffé e coda dell'occhio attçnta alla tazzina, mi riferiva il seguente lapidario parere che un abituale avventore, a suo dire addentro alla questione, gli aveva espresso mentre beveva il solito Averna: «Del Seicento? Ma non scher– ziamo! Come si spiegherebbe allora che i due santi del Sodoma della prima metà del Cinque– cento, posti ai lati del Guidoriccio, si sovrap– pongono alla sua cornice inferiore?». Dunque Siena come Bisanzio al tempo delle dispute cristologiche e trinitarie , quando uno andava al mercato a comprare dei naselli e il pescivendolo lo intratteneva per mezza matti– nata a dissertare sulla consustanziazione e sul simbolo niceno? Malgrado i tre episodi citati non sembra che il dibattito sul «caso Guidoric– ,cio», che pure per i suoi caratteri di vero e pro– prio giallo può fare appassionare con facilità anche un pubblico alieno da specifiche compe– tenze in materia di arti figurative, abbia sop– piantato le discussioni intorno all'andamento (non esaltante) della squadra di basket o ai problemi di vita contradaiola e paliesca. Tutta– via se ne parla abbastanza ed è già possibile di– stinguere alcune correnti di opinione , che for– se si preciseranno e si consolideranno al Fig. 11 LA QUESTIONE -MAPPAMONDO DEL La Sala del Guidoriccio (e della Maestà di Si– mone) é detta anche del Mappamondo. Nel 1348, sopra la parete da cui é affiorato il nuo– vo affresco, \'enne fissato un grande disco di legno rotante, con una tela dipinta da Ambro– gio Lorenzetti, che rappresentava i' mondo. Il celebrato capolavoro é andato perduto. Ma sul nuovo affresco si sono ritrovati evidenti i sol– chi circolan ·segnati dalla sua rotazione. Ci sono nella parete ciue buchi, in corrispondenza del perno al quale il disco era fissato. Bellosi e · Seidel hanno ritenuto che il Mappamondo fos– se stato inizialmente fissato troppo in alto, così da coprire la parte inferiore della cornice del Guidoriccio; e subito dopo abbassato. Tracce di solchi, con un colore rosso sinopia, visibili sulla cornice inferiore del Guidoriccio sarebbe– ro state appunto impresse dalla prima breve collocazione del Mappamondo. Si capisce che questa tesi ha una forti~sima importanza per i sostenitori dell'autenticità del Guidoriccio: se é stato segnato dal Mappamondo nel 1348, l'af– fresco evidentemente ésisteva già, e ·questo conf~rma la data tradizionale del 1330 per l'e– secuzione (1328 é la data della conquista di ~ontemassi) e la paternità di Simone Martini. Altri studiosi ritengono che i solchi sfasati in alto non ~bbiano a che fare con quelli lasciàti _dal Mappàmondo; che dunque l'esistenza dei due fori provi Fopposto; e che neanche la col– locazionejn ·quella sede del Mappamondo sia accertata. Essi ritengonQ CQefosse lì raffigura– ta una mappa non del' mc,,nçio,ma dell'intero territorio senese; e che forse Guidoriccio e la sua cavalcatura che sembra così staccata e astratta dal suolo, fossero in realtà collegati alh m:1ppa sottostante. Tn qnec:ta ipotec:i Gui- momento del convegn_<;> su Simone Martini. Per i senesi, a_ncheper quelli che l'hanno visto una sola volta nella lor.o vita e che magari se lo ricordano soltanto perché è raffiguraio sulle scatole dei ricciarelli,· il bel cavaliere che con la sua ricca veste a losanghe e con il suo destriero dall'elegante andatura ad ambio pare distac– carsi dall'aspro e desolato paesaggio dello sfondo e quasi venire verso chi l'osserva, rap– presenta sul piano pittorico ciò che la Torre del Mangia é su quello architettonico: un sim– bolo collettivo, un segno di identità storica e culturale. Sentire metterne in dubbio l'autenti– cità e dire che non solo non è di Simone Marti– ni, ma neppure del Trecento, cioé che non ap– partiene a quell'arte gotica con cui viene identificato il bello dal comune senso estetico di chi è nato a Siena (fra bifore, archi a sesto acuto e palazzi merlati, ancorché alcuni, quelli sì sicuramente non medioevali in quanto co– struiti o ricostruiti nell'Ottocento), produce uno spontaneo e generalizzato moto di ripulsa. Ma a partire da questo omogeneo plafond psi– cologico le posizioni si differenziano, sotto il pungolo di un dubbio insistente e di una con– traddittoria voglia di sapere 1 'e di non sapere, come per l'amante che sospetta di essere stato tradito. Infatti a chi, con becero ragionamento, cerca di liquidare il problema chiedendo cosa preten– de di insegnare un americano la cui terra nata– le, nel XIV secolo, conosceva soltanto pelleros– sa e bisonti, si affiancano e si contrappongono quelli che vogliono controbattere, con argo– menti più o meno precisi, almeno alcune delle sue ipotesi, riconoscendogli nel contempo il merito di aver favorito la scoperta, dell'altro stupendo affresco. È fra costoro che avvengo– no le discussioni più godibili, perché argomenti da esperti come le caratteristiche della punzo– natura tipica di molti dipinti di Simone Marti- Fig. 12 doriccio posava e cavalcava maestosamente sul bordo della mappa dei possedimenti di Sie– na, come su una specie di tapis roulant. PUNTINI E PUNZONI Il dettaglio nella fig. 10 mostra una caratteri– stica cui "i sostenitori dell'autografia di Simone danno grande importanza. Sare,bbe infatti tipi– co di Simone l'impiego di punzoni, stampi, fre– quenti soprattutto nei nimbi, per ottenere ef– fetti di d~corazione in rilie"o e di chiaroscuro. Simone é l'unico nel '300, dice Bellosi, a usarei punzoni per ragioni funzionali, decorative e pittoriche. Moran si é polemicamente fatto co– struire un punzone analogo, che porta con sé nelle sue conferenze, per mostrare come non solo la bottega di Simone, ma chiunque altri sarebbe stato in grado di fabbricarselo. Previ– tali commenta seccamente che questo é indub– bio, ma che non si vede chi altri, a parte Mo– ran, avrebbe dovuto prendersi una briga del genere. TENDE E TmANTI I. due dettagli in'ostrano le tende dell'accampa– mento del "Guidoticcio" [v.fig.11] e di qùello della «rinunzia alle ~rmi di· san Martino», 'cer- , tamente di Simone Martini, nella Basilica Infc– riùre di Assisi [v:ftg. 12]. Per Moran, la diffe– renza fra la ~ciattçria delle linee e la povertà della decorazione delle tende senesi e l'elegan– za di quelle di Assi~i é enorme. Per Bellosi,.pur nell;evident~ ';pr°oporzione di cura delle "due esecuzioni, le somiglianze -per es. nella descri– zione funzionale ed estetica dei tiranti- sono nette. Bellosi aggiunge che i dipinti di Assisi sono .più raffinati, ma anche meglio pagati. ni, o la qualità dell'arriccio trecentesco, o an– cora il suo modo di stabilire dalla fattura degli speroni e della spada se una figura rappresenta un cavaliere o semplicemente un personaggio altolocato, si trasformano in materia di chiac– chierate alla buona, ma appassionate e appas– sionanti. Ci sono poi alcuni che si dichiarano relativa– mente turbati dall'eventualità che al Moran vada data una buona parte di ragione, poiché rifiutano il concetto corrente di falso: nel caso che, sostengono, un anonimo pittore del Quat– trocento o del Cinquecento (l'ipotesi del Sei– cento viene quasi unanimemente esclusa), ab– bia realizzato il dipinto ispirandosi a Simone, ha comunque compiuto un'opera d'arte, senza falsificare assolutamente nulla. Infine non mancano coloro che preferiscono scherzare («Se è stato fatto nel Seicento lo prendiamo a sassate», oppure «Ho portato a vederlo generazioni di studenti ripetendo ciò che sta scritto sui manuali di storia dell'arte; se risulterà che raccontavo fesserie la mia reputa– zione di insegnante sarà per sempre rovinata perché quelli si ricorderrano di me e non certo di Giulio Argan» ), o assumere iniziative diver– tenti come preparare (sta accadendo in una classe dell'Istituto d'Arte Duccio di Buoninse– gna) una possibile copertina per l'Espresso sul tema «Guidoriccio vero o falso?». Altra materia del contendere è data dall'op– portunità o meno di staccare 1'3ffrescoper ve– dere cosa c'é dietro. Le «radiografie» fatte ese– guire dal Comune hanno rivelato la presenza di intonaco, ma nessuno può dire se dipinto o no. Il «partito dei curiosi», di quelli che sareb– bero per effettuare il distacco anche subito, non foss'altro per <<levaredefinitivamente il vin dai fiaschi», cioé per risolvere una volta per tutte la questione, sembra essere maggiori– tario.

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