Fine secolo - 2 marzo 1985

IL NUOVO AFFRESCO: L'UOMO CON LA SPADA, L'UOMO COL GUANTO I sostenitoridella tradizionale attribuzione del vecchioaffresco (Simone Martini, 1330, Gui– doriccioda Fogliano) non possono ammettere che il nuovo affresco rappresenti Arcidosso. InfattiArcidosso fu dipinto nel 1331, cioé un anno dopo la data del "Gnidoriccio". Però il secondoaffresco finisce, al bordo superiore, sdttoil bordo inferiore del "Guidoriccio": pro– va inequivocabiledella sua maggiore antichità (comein archeologia, ciò che sta sotto é più antico,ciò che sta sopra è più recente). Dunque,se si tiene intatta la tesi tradizionale del "Guidoriccio", il castello sottostante de– v'essere un altro. I principali assertori della tesi tradizionale, Seidele Bellosi, sono persuasi che siail castellodi Giuncarico acquisito da Siena nel 1314. Secondo loro, l'uomo in primo pia– no, conla spada al fianco, é il sindaco di Giun– carico,Nello di Paganello, che fa atto di sotto– missioneal podestà di Siena, accompagnato daiNovedel governo senese. L'uomo in secon– do piano,col guanto, sarebbe appunto uno dei ove[v.fig.3]. (Il podestà e gli altri personaggi stavanonellaparte perduta alla sinistra dell'af– fresco). L'obiezione di Moran-Mallory (convinti inve– ce che il castello in questione sia Arcidosso) verte soprattutto sull'interpretazione dei due personaggi. E' inverosimile, essi dicono, che chi compieun atto di sottomissione, sia pure pontaneo, sia raffigurato armato. Le parti vanno invertite:l'uomo con la spada é il rap– presentante di Siena, ed é proprio il capitano Guidoriccio da Fogliano. L'uomo col guanto gli consegnaArcidosso. Essi citano il "Dizio– nariodei simboli" («Sfilarsi i guanti davanti a una persona significa renderle atto della sua superiorità») e richiamano esempi, come il co– siddetto "Atto di fedeltà a Carlo d'Angiò" (ca. 1290) nel Museo civico di San Gimignano (v. lig.4; l'imperatoreo chi per lui é sul trono, fra , sÙOI falconieri;il personaggio introdotto a rendergli omaggio si sta sfilando il guanto). LA DISPUTA JIEIJ,EVIGNE el "Guidoriccio"il paesaggio brullo ospita una solaforma vegetale: i due vigneti sopra e sotto l'accampamento a destra [v.fig.5). Fra tutti gli indizicontroversi, questo ha più stimo– lato l'ingegnositàdei contendenti. Dapprinci– pio nessunosospetta, neanche Moran, che pe– raltro gioca in casa, scrivendo sul "Gallo nero"; nel settembre 1979 si limita ad annota– re: «Un'altraconnessione fra il Guido Riccio ed il ChiantiClassicoebbe luogo all'assedio di Montemassi nel 1328. Durante questo lungo assedio l'esercitosenese coltivò alcuni vigneti: "quelli dell'oste posero una grande vigna in campo"». Un paio d'anni dopo però Moran apre le ostilità. Finora la corrispondenza fra antiche cronache,principale fra le quali é quel– la di Agnolodi Tura, che parlano dei vigneti, e le vigne dipinte nel Guidoriccio, é sembrata una provadell'attribuzioneal 1330 e a Simone Martini. Ma la cronaca commette un errore f;JQadornale, s condo Moran, perché fa durare ~Fassedio i Montemassiper sette anni, laddo– é provatoche durò meno di otto mesi. Per unta, otto mesi sono troppo pochi per pian– vignee berne il vino, come pretende la naca.Primaconclusione di Moran: la ero– non é attendibile, non é trecentesca, ma lto più tarda e manipolata, e non prova te. Alladifficoltàsi replica, da parte di Sei– I e di altri, suggerendoche i vigneti fossero e A T T 11. Fig. 4 Fig. 3 Fig. 6 · >ANO· 'ONIMHIXX•v1n-< ; Fig. 7 :-.lalipi.rnl.tli -e dipinti- come un espediente per così dire da guerra psicologica: per simboleg-' giare la decisione degli assedianti di non molla– re. Si ricorda l'espressione popolare toscana "piantare la vigna" per significare "metter ra– dici". Un'ingegnosità tira l'altra. Moran, cui alcuni storici dell'agricoltura sono venuti in aiuto mettendo in dubbio che esistessero nel trecento vigne coltivate in campo aperto "a pergolato" o "a tendone", suggerisce ora che la cronaca di Agnolo di Tura, in cui si' parla a suo parere implausibihnente di vigne e vino be– vuto, sia stata la fonte cui ha attinto il pittore del "Guidoriccio", che viene con ciò pesante– mente postdatato, e sottratto a qualunque connessione con Simone Martini, morto nel 1345. Moran é di buonumore, e dice che una vigna piantata e vendemmiata nel giro di otto mesi «é l'evento più straordinario della viticol– tura dopo le nozze di Cana». Passa ancora qualche tempo, e il circolo inge– gnoso dell'argomentazione di Moran si chiude con un colpo che, se non é vero, é ben trovato. Vigna, il latino vinea, oltre che vigneto signifi– ca una macchina militare; un riparo in forma di pergolato sotto il quale gli assedianti si avvi– cinano al castello evitando i proiettili dei difen– sori [v.fig. 6]. Ecco spiegato, continua Moran. «il più grande equivoco di tutta la storia del– l'arte». Il compilatore della cronaca di Agnolo di Tura e delle altre analoghe ha trovato la menzione della "vigna" usata durante l'asse– dio, e non ha capito che si trattava della mac– china militare. Così ha elaborato la storia della vigna e del vino. Sulla sua scia, il pittore del ''Guidoriccio" (molto più tardo, dunque) ha dotato l'accampamento della surreale doppia vigna, confondendo la vigna per fare la guerra con la vigna per fare il vino. Tant'é vero. con- elude Moran (sostenuto per questo puntu Ja un geogràfo come Rombai), che un più colto · letterato, il Tizio, che scrive nel XVI secolo, parla proprio a proposito dell'assedio di Mon– temassi del 1328 dell'impiego di «machinae ac vineae», dove vigne sta chiaramente per il mac– chinario militare. Tuttavia la partita resta aperta. Ecco le ulte– riori repliche al fronte Moran. Umanista colto com'é, il Tizio (che per di più viene assai tardi) predilige la versione più arcaica e latineggiante del termine ".vineae"; ma proprio perciò in questa circostanza la "lectio difficilior", la let– tura più sofisticata, non é la più probabile. Inoltre, per sostenere la sua tesi, Moran é co– stretto a screditare cronache, come quella di Agnolo di Tura, che studiosi autorevoli come il Bowski, o il Cammarosano, ritengono degna di fede. Infine c'é l'obiezione più complicata: Moran propone, fra le altre ipotesi, che il "Guidoriccio" sia stato ridipinto sopra l'origi– nale affresco di Simone del Castello di Monte– massi, in cui non c'erano vigne (e forse nean– che il cavaliere). Ora, se le cose stanno così, e il pittore più tardo ha lavorato sull'affresco pre– cedente, perché avrebbe dovuto cercare in una cronaca letteraria la fonte iconografica che aveva sotto gli occhi? Più in generale, l'obiezione é: se la ridipintura "innovatrice" fosse. avvenuta nel '400, o nel '500, o anche nel '600, ci troveremmo di fronte a un caso, se non uni~o, 1'arissimo, di "falsifi– cazione" o di "imitazione" antiquaria di un'o– pera trecentesca -il "trecentismo" essendo un portato di tempi più recenti, e sostanzialmente del secolo scorso. (Enrico Castelnuovo, che terrà al convegno la relazione introduttiva, os– serva che c'é qualcosa di incongruo nell'imma– ginare un tardo autore che legge male i testi, e poi si mette a dipingere le vigne come se fosse Ambrogio Lorenzetti). Se viceversa la ridipin– tura "alla maniera d,i" Simone é avvenuta an– cora più tardi, allora é davvero inspiegabile che non se ne sia tramandata notizia. Dopo– tutto, andare a ridipingere parecchi metri qua– drati nella sala centrale del più celebre palazzo senese non é impresa facile a passare inosser– vata. Resta, al di là dell'accanimento polemico, la gustosa controversia sulle vigne, una festa dei giochi di parole: vigne militari e agricole, mes– se a torto o a ragione intorno alle tende del campo, cresciute a tendone, "piantare le vi– gne" e "piantare le tende" ... IL BATTIFOLLE Poiché un documento parlava della commis– sione congiunta della pittura dei castelli di, Montemassi e Sassoforte a Simon~, si é crédu– to che nel "Guidoriccio" figurassero ambeduè. Ma il castello a destra [fig. 7] non é Sassoforte, FINE SECOLO r SABATO 2 MARZO 1985 27 FiQ. 5 e non é neanche un castello. E' un "battifolle", cioé una spècie di fortezza -una corazzata di terra, per così dire- usata negli assedi. Secondo Moran il "battifolle" é del tutto anacronistico, corrispondendo a un'architettura militare -in muratura, coi mmi.a scarpata ecc.- più tarda, e connessa all'uso dell'artiglieria (che ovviamen– te non era del trecento). Il vero battifolle, se– condo Moran, é una specie di struttura prefah– bricata in legno. All'opposto, Bellosi e altri citano costru7ioni" militari coi muri a scarpata attribuiti a Ca– struccio Castracani, e in realtà perfino anterio– ri -dunque di molto precedenti al 1328. LA DATA Neanche la cornice del "Guidoriccio" é sfuggi– ta ai dubbi. Secondo una specialista america– na, la sua forma di decorazione é quattrocen– tesca, e non trecentesca. Ma la discussione più accesa riguarda l'iscrizione con la data [v.fig.8]. Tutti concordano che le lettere indi– canti oggi le centinaia sono state ridipinte. ma secondo alcuni (Bellosi, Seidel ecc.) fra le cifre originali non c'era spazio se non per le tre C, e dunque per la data MCCCXXVIII. Secondo altri, compreso il restauratore Gavazzi, le pos– sibili d.1.teentranti nello spazio obbligato sono, oltre all'attuale MCCCXXVIII, anche MCCCLXXVII (l 377) o MCCCCXXVIII (1428). Lo stesso Gavazzi, con Moran, ritiene che la grafia impiegata sia "umanistica" quat– trocentesca, a differenza da quella gotica delle iscrizioni di altre opere trecentesche del Palaz– zo Pubblico. UN TITOLO DI CA V AI,IEllE NON SI NEGA A NESSUNO Guidoriccio da Fogliano é stato un condottie– ro di ventura. Fu Capitano Generale della Re– pubblica di Siena fra il 1326 e il 1333. Poi se ne andò, e tornò ad assumere la carica a Siena nel 1350-51, e morì nel 1352, ricevendo esequie gloriose. Proprio dalle notizie su Guidoriccio presero avvio i dubbi di Moran (e paradossalmente proprio da quella cronaca di Agnolo di Tura che più tardi Moran stesso dichiarerà inatten– dibile, a proposito delle vigne. Ma é un para– dosso frequente in questa vicenda, che pullula di rovesciamenti di fronte). Secondo la crona– ca, Guidoriccio se ne andò da Siena nel 1333 addirittura in sospetto di intelligenza con i ne– mici, e accusato di debiti insoluti. Per giunta negli anni '40 partecipò delle feroci imprese di me_rcenaritedeschi contro Siena. Come é possi– bile, st chiede Moran, che un personaggio simi– le, così trionfalmente ed eccezionalmente ri– tratto nel 1330, restasse intatto nella sala comunale di Siena, invece di essere cancellato, sfregiato e vituperato in effige? Trovando ciò implausibile, Moran aggiunse che nel 1330 Guidoriccio non era ancora cavaliere, e che la foggia del suo ritratto era anacronistica per quella data. Più plausibilmente, secondo lui, un ritratto così trionfale, e la stessa positura da statua equestre, avrebbe potuto seguire il ritor– no in ~uge e la morte di Guidoriccio. Ma in questo caso il pittore non avrebbe potuto esse– re Simone Martini, che nel 1352, alla morte di Guidoriccio, .era morto a sua volta da otto anni. Se questo fu il punto di partenza di Mo– ran, strada facendo, e del resto inevitabilmen– te, si modificò del tutto. Qualche anno dopo Moran scrive esplicitamente: «Contrariamente a quanto si credeva nel passato, sembra che Guido Riccio fosse cavaliere o giudice già nel

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