Fiera Letteraria - Anno II - n. 23 - 5 giugno 1947

FIERA l.ETIERARJA 3 LE. OPERE PREMIATE AL NOSTRO IV CONCORSO Una • storia di • poveri Racconto di Safoator Rosso che si SJ>Cnsccon l'ultimo rantolo deL l'ucciso. Quella noue trascinai a lun~o sulla nc,·e i miei Ecsanti zoccoli pensando che un tcdc::ico, il mattino seguente. awr.bbe segnato impassibile :.u un re. gistro: n cin s1uck kaputt ~ L:s'bcth era elegante: calzava st,– valctti rossi ungheresi che dm•ano una grazia particolnre alle sue gambe ben tornite, inguainate in calze di seta. lo sono Slalo povero, ma molto povero, pezzente. I piedi nudi imbarcati in un pc_ sante paio di ?.-OCcoli,una tuta con– sunia fino alla trasparenza ma tanto h.:sa e lustra di olio di macd,ina da reggersi in piedi, un pastr:1no- russo cli colore kaki sforacchiato :i\l'ahezza cle:lla quar:ta costola sinistra, costi– tuivano il mio unico patrimonio. Gli zoccoli dalla pianta di legno e dal dor::io di carta cerata erano stati di un altro; la tuta cli tel:i blu con una lunga fila di bottoni neri fino al pomo <Padamo m'aderiva alla pelle clnndomi brividi di freddo etl era sta- 1:i. d'un altro; il pastrano color kaki cùn un bottoni.! supcr:-titc all'insegna ddl:i. falce e il martello era stato di un altro. Quel roreilino bruciacchiato all'alteu:a clell.1 qu.1rta costol:1 era come un distintivo o una 1nedag-!1a alla memoria <lei soldatino rimasto e~animc sotto a Stalingrado o sotto a Minsk e poi denuclatu e mummifi– c:ito sotto la neve. Er:o così povero! Molto povero, pc~ zen te. Un berretto di cerata, di quelli che portano i nostri marinai ;1 bordo quando piove, l'ho ercclitnlO poi <lr, un compagno andato all'ospedale e uno straccio rinvenuto trn le macerie mi serviva da fazzoletto. Ero povero, ma non ero mlelicc. Se non pensavo alla casa lontann, tie– pida ma triste, e agli occhi lucidi di pianto di rnio mad~c. non ero infe– lice. * •M'ave\,ano messo accnnt10 a Ullh grossa macchina, lunga e complica– ta, con molte leve e un manubrio da • manovrare Umgsam lm1gsam. Un uo.. mo aspro, smagrito, con un braccio monco e gli occhi umidi di un liqui– do giallo. mi aveva ,.ipctuto cento volte, ostinato, con un grumello di bava che gli pendeva all'angolo delh, bocca, quel Jm1gsti.,n. che io non ca– pivo, fino a quando un francese non era intcr\'Cnuto a dirmi che bisogn11- n1 manovrare do11ccmc11t do11cen1c,1/. • .\I pari cli mc i francesj erano po. \'Cri, ma non pezzenti. Furono gentili con me e me ne trovai sempre Uno \'ÌCino ogni volta che l'uomo dal brac. l'io monco veniva a griclarmi un or. dine nella sua lingua che non capivo. Quella -strana macchinn lunga e complicata che modellava rotelline da ingr:urngg-i non pili grosse di un marco d'argento mi faccvn spesso pensare alla montagna della fa\'ola che partorisce il topo. Per :tlcuni g-iorni mi fece soggezione: poi qunn. do mi permise di distorglienc gli oc. chi .senza che avvenissero inceppi o altri danni, mi guardai intorno per studiare pili attentamente quella gen– te stranita come mc che, con aria famelica, aspettava impaziente ogni g-iorno cht: si facessero le tredici e le diciannove. 'Qualche minuto prima di quell'ora, ognuno di noi, eluden– do la vigilanza dell'uomo dal braccio monco, preso sottobraccio il piallo <li ferro -smaltato (uno dei pezzi pili im– portanti del nostro corredo), correva furtivo a for la fila Slllia soglia del capannone in attesa che una grnndc caldaia fumante, piccola per ·1:-i ilo– stra fame, venisse trasportata fin TI, vigili a non farci '-Orpas.sare dal ,•i– cino per non perdere una sola parti– cella di calore, unico pregio di quel– la brodaglia sempre eguale tuui i giorni. TratÌo cli tasca il cucchiaio arrug– ginito, si portava, in quell'altesa, in– cosciamente alla bocca e incoscia– mente la lingua andava a umettarne le ingrommaturc di semolino. Appresi inminzi tutto che quell'uo– mo dal braccio monco e il grumello all'angolo della bocca, Che ci ricac. ciava urlando al .nostro ~os10 se lo I si lasciava un nunuto prima del se– gnale, er.a il meistcr e che egli solo di tutti noi, poLcva palpar cli mano I sulle ,natiche delle tre ragazze che lavoravano poco di,scoste da mc. 1 Tozze, dalle anche larghe, tenute le I carni straripanti da una strett,l tuta I blu di panno pesante, esse potevano, in grazia di ciò, fare il comodo loro senza timore di essere sorprese : mcs. se. a tacere le macchine, pass:w:1no gran tempo in un sommesso ciangot– tio frammi::ito a secche risatine is1e– richc quando una di loro ammiccavn con gli occhi vivi di <lesiclerio or l'uno or l'altro di noi: spes5o le sor– prcndc,·o a guardar fisse con \'Oglia 11cespctto cli peli neri che faceva ca. palino dalla mia lutn nperla sul J>et– to, ccl arrossivo. Da quelle analisi vogliose ,si disto– glievano solo quando, con passo fc\_ pato, sopraggiungeva a compiacerle di una rude c,ircz-ta ai seni. un l1omn obeso con gli stivali e i baffi tozzi appuntati come due asterischi ciano. tici sul viso piatto e rossiccio: po, - tava una divi~a nera, un dnh11·one di cuoio e una grossa pistola ~ulla panci:i; :.ul brat.:cio una fascia bi~u,– ca recava serino polizci e un Iun,;:v mang.1nello gli baue"a il ritmo dei passi sul di dietro. Passando :1ci;a11- to a crnscuno di noi ripetcv,1, Con voce fatta :1sprn d:il mestiere, come una l'.!'iacula 1 1oria 1U1inacciosa, arbc1L arbeit. Solo l'olandese che eseguiva un la– voro di punta fatica, era Suo arnie& e ogni giorno si dicevano gut mu"– ge,~ con calorose strette di mano. L'olnndcsc era una spin. Quando la mia squadra faceva 11 turno di notte, dnlle sci di sera alle sci del mattino, il polizci urlava ar_ heit ,sbucando d'improvviso d:i dietro una macchina e se non facevo in tem– po a svegliare 0mitri, provava sa– dico sulle sue spalle l'efficienza del manganello. Dmitri era po,. 1 ero come me e ci eravamo fatti amici. Era intelligente e abile e comme1 - ciava in pane tabacco e altri generi; solo che dal suo paese a\'en1 portato scco la sonnolenza clclln sua rau::t. Ynnka cm suo amico e quindi an. che amico mio: Yanka non era intelli– gente ma violento e primitivo incu– teva timore anche nl pol,,:'zei che gli girnva. al largo. Per mezzo di Dmitri e di Yank:, divenni amico e di tutti i russi della squadra. Ern gente mite, semplice, gente della campagnn ucrai1rn, cl!"' non mnlcclicew1 ;d proprio destino, rasscgnnta sempre al peggio dopo quattro o cinque :1.1111i d deportaz10. ne: in loro non era pili r:ispondcnza tra i tratti duri del viso t.! l'ingcnuil:\ fanciullesca elci modi. Quando giungevo in fabbrica n1i \'Cni\';mo incontro festosi e offrendo. mi un pezzo cli pane o un pizzico di tabacco e qunlchc m:11rnta sulla spai- 1:1 mi l:talutm·;1no: dobru 11/rCJ lo~•a. rich. * Poi il freddo si fece più intenso e le mie <lira scarni1e si coprirono di "hiazze paonazze. Trovare il pane riu~ci,·:i sempre pi\1 difficile anche n Dmilri d1c era abile. La neve cnduta si fece dura e i tedeschi \'Cnnero in fabbrica scivolnndo sui pntt:ni; an– che i canali dcll'Oder si erano !astri- cati d':icqua. Un paio cli c.:dze di seta \'alevauo !=Ci pani ccl jo che ero po\•ero pensai subito che ella poteva comprarne molti. Mi p:.crlav;u,o in una lmgua ba:.tnr– da, niista di tede~eo ru:.so franca.e, 11afomo, del loro pncse. scnz:1 ombrn di ramrnarico per cs:-erne lontam. Da mc vole\'ano che parl.t!isi spesso dcJ. l'Italia e ne pronunziavano il nome con una stnrna luce negli occhi, ar. fo:.cinati. Yankn, il pif1 n:cc.hio, mi canrn\'a spe:.::io. con la s11n \'OCe pro– fonda di basso, le canzoni dclln step. J)a; gli ahri facevano coro. Non c'era vern nostalgia nelle inlliJSsioni delle Vt--<:i,solo come il rimpianto di un mondo perduto, un mondo non loro però, mn forsc dei padri. <lcgli ,wi Comint·iai :td auenderla con rtnsln: giungc\'a col treno dalla cìllà quando già llllti gli s1ranieri eravamo in fab. bricn. Ogni nrnt1ina trovai un,1 scu– sa per andare al pronto soccorso da dove si vedeva la .strnd:1. .-\vanzava svelta nella sua pelliccia bianca, i ca. pelli bruni incornicinti d:1 un turban• te pure bianco; quando si av\'ÌCinn– \':I alln baracchetta del pronto soccor_ * so dove ~apeva di trovarmi dietro i lonlani. « f?a .. \.~.Jctàli ;obluui y gl11sc1 ... ., anch'io ho appreso a cantare la Ka– tjuscìa e quando durante la pausa di rm:zz:mottc and:i"nmo a tro\'arc di na. scosto, in altro padiglione, Sonia che lavorava a ripulire delle scorie i pez– zi che uscivano d,1lla fondnia, è:wrn. Lln giorno arti,•ò uno sciame di vetri nppannati della finestra, prol.'u– <lonne e un odore di carne. giovane si rava di esser sola: mi lasciava il pri. diHl1se nell'aria già malsan:1 <lell'am. mo saluto dei suoi occhi celosti ed io bìcntc: il Reich cm in crisi - si vO- porrn\·o la nrnno sul ,·etra come a dis.. cifcrò - e tutti do\'evnno lm 1 ornrc I siparne il vapore. Qum1<lo lei era p:ts- Lamento d'Eva di JOLE TOGNELLI vamo insieme. Sonia per non :.mcOtìrsi era bion. da e procncc ma come i tedeschi e gli altri russi, si soffmrn il 1rnso con re dilli: qucsw m'impedì di baciarl:1 la ,scrn quando ci s'incontrava dietro la stazionicn.1. Sonin and3\':l pure con 1m francese che le a\'cva n:gri– lato un vestito c. le dava pacchetti di gallette: mc lo disse pi:ingc.:ndo 1 una Jfi s•/ortliscc /'11st11~ìa appc,m il mio splendore sfre,1(. " i,isidie tlii figure 11wllr mi fc-;.,o come fo 1111(1 tl 111z(I. Jli scd11t'(• fa /<mie. (1 fu11go sosto ml mio a.spclt-0 11 capirne fo lusiug,i ('un oracolo dolce nel turchese! c"i acco1ulisct111{lc: 1w fruscio di rami). sera, perchè cll.1 era mm brava ra- TJ, 111 ,jo cumft 1 11 11n è il sesso, g.1zza cd io ero povero. Decidemmo allora di non pili rivederci perchè io ero povero ccl ella una brm·n rngnzza. Dor fid(l11ia, Sonia! Ogni venerdì, invnriabilmente, Dmi. tri procur:.i,•.t ciel pesce fresco e mi invitavn: attingevamo tutti con le 1111a oonlj,wa arresti; l'equi'Voco di curiie clic c011/or111t1 ed obblig(I, sjt,r=a 11 pcc:clllo f!-i11c1111to w,c1ff,o, logura il 'Vero sogno e l111che /ili.e scniina d.'a11,&ost1a. mani ad una bacinella che serviva Di fm1oloso 1/.0,1 /1,0 che d'aprire anche a bollirvi il pesce con alcune marca di sci11/iffc alf'u11i'Ver.rn, patate tagliate a pezzi; Dmitri offri- d'w11111nlare di' 'Vita i gior11:'brc1:-i. va anche il pane e ,spesso pure della wodka che ri11:-cin1 mi:;terio~nmente a procur;-irsi. Con bottiglie cli wodka andavamo al campo delle rngazzc russe dove in un 'atmosfera di orgi:i si beveva. si suonava. si canta\'a, si bnllava fino E clic so,·1 i'o s,• 11ot1 mi tocC'a .-1 (/(1'1110? S1rl11alaaWalid,ore grùlo lt, goccia 1111u11w dì ruginda. chr 1n'in:sercni. Dalla cmfuta. mi riafoo scliiwi.-a. ~Ila frenesia. <:asacche bianche, chiu- per la viuoria. Ma le ragazze prese– se al collo, ncarnatc. :1 punto eroe~ ro più interesse P.Crgli ,stranieri che con_ cotone rosso. cmt.ura. ne~a di I per le macchine. cuoio al ~-en~re. larghi. st'.val1. che Nei primi giorni, per ;issucfarsi, batte\'ano ~I ritmo s1'.l ~ia1~c1to d1 le- ~ironzol:1rono _n gruppe.tti, çuriosando gno. prop~10 come mc,o v1s~o al te.a. di ma<."<'hina 111macchrna, scoccando t~o e nl cm~matografo .. i.\l:n strame- occhiate d'interesse su quei maschi. •.• ~on_ ~·e2:11v~no;imm~ss1 'n ;que~lc llnalmente! smagriti sì, ma giovani e rnm1on1 111 ct_n frcq_u~nt~ ~ran le n~-~ bruni. Lis'beth si soffermò al mio se per gelosia. Gli 1~11011, non p111 sto. _ ltdlicncr 0/ficier? - mi controllnbili per vil'l. d~ll_'a!cool, por. ~iese.; risposi ;a ed arrosSii. tnrono una notte _all'om1c1d10 e la \'~- li . r I s· soffermò rincora cc delle lisarmon1che e delle bata!ai. m·l'l. n~~o;~a:c~~ / peli neri sul mio petto anemico. Con gli occhi <lo\'e scorsi un.1 luce mesta di bontà e di grazia 1 mi disse tante cose che io compresi. Lis'beth non si soffiava il naso LOn le dita; er:a diversa dalle altre, ma io ero povero e rimanevo timido vi.. cino a lei; solo pili tardi, qmindo sco– persi che teneva una mcdagliet ta al collo, la sentii più vicina. Ma non doveva essere solo quello il moti\'O della nostrn simpatia: qualcosa che mi :,,fuggiva conducevn le nostre ani. mc ad incontrarsi. Le assegnarono una macchina u– guale alla mia e rui io incaricato di apprenderle i movimenti. Le prime volte non ci riusci facile intenderci: cll:,i non p;1r\ava ancora quel gergu di fabbrica che era nato dalla conni– ,·enza cli gruppi eterogenei e una lin– gua che prctendl'va fosse francese mi riusciva incomprMsibile. Le sue mani crnno fini e _ben ct.– ratc; le dissi di :idopcrarc uno s1rac. cio ·nel manovrare le leve altrimenti "" avrebbero sofferto: mi fu grata del consiglio e in ricompensa mi re– galò una sigaretta. Mi mise nell'im– barazzo pcrchè doveui ricambiare e la saponetta americana mi costò ciu– que razioni di pane che pagai a gior– ni alterni. i\111 la pic:lù la /ra111"/o in esca per glorù,. d',,11p1ulicizia in 1m1ilc 'Vt'JJdcttn. Mm1C(1, lll clii-i/i, pc' 1,u1lì che in'Veuto alla 111:ia falsa giolll nel ra11core dc/1(1, prima morte. Molli .'ldtw1j le mie fin:::ioni a/Jofftmu .\foi sola. E tanto, Dio, l'or,.me che in'Jwi flfscfoto dc[ p,·ns,'cro di stare ollTc la mia sete /orb11Ja. V'/1a spera11zr, fl-l ri,wcr.varsi o d'appflssirc a 1111 bacit1.' !I bete di sè 1'11go-mbra il mio 'Vilil(6Ì•) mi dilm1ia con la. . mli, i1111occ11za ,Jispcmta d,'. luce e di cal,orc. P-iilmi p,mgc Cafflv; cagna. gli sono nella 11otle rig-id(1 ri/Jeffc alici ro'Vina e com.e lui superba, delf'esifio. Osa q11alc1momaledtrmi? sata. rimaneva la visione di due tur. chesi dissolventi io una macchia bru– na che stempcrnva in una grande di. stesa bianca : la P.ianura immensa di neve. Anche ora, quando penso a lei, non la so veclerc altrimenti. Quando cominciavamo ad intender– ci, ci h_1 proibito di parlarci e l'uomo obeso ci girò att.orno pili sposso pct' far rispettare quell'ordine. Ci si do. ,,cva contentare di guardarci da lon– tano nelle lunghe ore della giornata, immobii ai nostri posti. Ma q1en11~ le mani seguivano il ritmo sempre eguale delle macchine, la musica elci motod ci sollc,·ava in un mondo fat– to di levità, tutto sereno e senza guerre. Allora mi attese ogni sera all'usci– ta, lontano da sguardi •indiscreti e camminavamo nella notte buia rischia_ rata appena dai pallidi riverheri dell:i neve e dai suoi grandi oc:chi celesti, tenendoci, muti, stretli per mano. Per– correvamo sempre la stessa strada che dalla fabbrica conduceva alla sia. zioncin,1 procurando di non farci no– tare dai compagni del turno di notte che a frotte andavano in i,enso opp0- sto al nostro. · Alla stazioncina avevamo trovato un angolo riparato dal ve1llo da do– \'C era bello vedere, come in traspa. renza, la neve venir giù lenta e po– sarsi sulle conifere a formai· mille di. segni come in un _paesaggio di fiabe. Pnssava rapido ogni sera un tre. no rumorosò che proveniva dalla cit– tà : « va al .sud - mi disse una \'al– ta - ,wch ltalicn! ... ~ ltalien! ... - sospirò ancora : poi aggiunse : ...-J io sono nata a Colonia: i miei avi nc1 tempi antichi son venuti dal tuo pae– se!~. Allora afferrai ClÒ che m'era sfug– gito prima e che aveva fatto incon– trare le nostre anime: Lis'bcth non era tedesca. LUIGI SANTE BOILLE: Oiseguo In cam\)io della sigaretta Dmitn, che gli ::iffari li sa1>eva fare, mi die– de una manciata <li tabacco- polacc-0 molto ,forte che fumai nei giorni in cui dovetti cedere b. già magra razio– ne di pane. Dentro una garitt<1, la baciai una. ser::a che il vento era piri forte e: la neve fioccava a mulinelli insinuando~i anche sotto iI berretto cH cerata e

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