La Difesa delle Lavoratrici - anno III - n. 4 - 15 febbraio

DISOCCUPAZIONE ~ ene, nell'ango lo della cam eretta quasi bu ia e nuda, seduta su uno sgab ellin o di legno, mangiava, avidam ente, un piccolo pan e. E gua rdava la mamm a seduta vicino a lei, muta e triste. ' (( Ho fr eddo , mamma )) disse ad un tratto. " A letto ti terr ò fra le mie bracc ia e ti scal derò, Kene 1, rispose la donna con una voce bassa e velata. 11 C 'è anco ra un po' d i carbo ne ma mma· perchè non lo accendi ? ,> ' ' 11 Abbi pazienza , Nene, un momento an– cora e poi ti riscalderà la mamma )) . Nella cam eretta passò qua lche minuto di sil enzio. Nene aveva ma ngiato il suo pani – no e raccoglieva ora con cur a le bri ciole cad ute nel suo grembialino . La mamma allungò la mano ad un tratt o e Ieee una ca rezza alla bimba: " Nene, mio picco lo tesoro ! >> La piccina domandò : « Non man gi mamma? 1) n Non ho fam e 11. u Papà non torn a? » « Torn erà, cara, chissà che non trov i la– voro! ,, Parl and o la mamm a comin ciò a spogl ia– re la bimba. Ed ebbe un gesto accorato sent endola così magra , con le spall e incur– vate e il petto ri entrant e come qu ello d' una malatina . Come un sogno la rivid e pic– cola gr ass a e florida , un amor e che fa– ceva guardar e e · sorri dere i passanti , in istrada. Il pensiero atr oce par eva le dovesse fer– ma re ora i battiti del cuor e. ,1 Kene soffriva la fam e. anda,·a a letto quasi digiuna , raccogli eva le bri ciole nel grembi alino , non osava chiedere un po· di pane an cora alla mam ma ! Nene. nel lettu ccio duro , doma ndò rab– brivid endo di fredd o: u ?\-1arrrrna, poi , quan do il babbo lavo rerà and remo ancora a prend ere il mio mate– ra ssino? >> 11 Certo. cara ,1 . 11 Perchè non lavo ra il babbo ? > 1t ron trova lavo ro >>. " Perchè non dice che ha una piccola bambi na. senza scarpi ne e senza un gio– catt.olino? n ,, Lo dirà , cara, ma forse non lo ascol– ta no "· Adagio. adagio la b imba chiud eva gli oc– chi e la mamma la teneva sul suo cuor e per bambola? >,. Ma la bimba non dormiva anco ra , parla av piano , com e in un sogno: 11 ~tamma , mi compr erai, dopo , an che la bamb ola " " Bella, Nene, bella come un sole, bion– da e con gli occhi azzurri ». cc E con la vest ina ,, conclus e la bimba. Si quetò un mom ento, ma aveva mang iato troppo poco e il sonno tardava a venir e. Disse an cora: « Ta nte cose ho in mente di comp erar e quan do il papà and rà a \a\"Orare. sai? Una vestina di lana, le sca rpin e. un dolce e mol– to pane. Ti rico rdi che ne pr end e\"O dei pezzi grossi cosi nella crede nza? ii ,1 Dormi. diceva la mamm a con la voce spe zzata, non mi dire pi ù nulla. non mi dire più nulla E la bimba s·add orme ntò . Poichè ne! son– no sorr ideva, la madr e· pensò ch'ella vedesse la bamb ola con gl i occhi azzurri e i capelli biondi e che in sogno, alm eno , per la pic– cola fossero torn at i i gio rni lieti in cui la lame non era che un fant asma. Ecco il passo del ba bb o. La donn a ap 1·e trep idand o. Ahim è! L' uomo ha la lac cia APPE1' DICE Pagine di vita - Ho volut o vendicarm i ! - disse - vend i– carmi della fame pat ita ! - g voglio che tu mangia, beva, sii altegra, e ti comprer ò una siga retta e ti coirllurro a teatro. Non voglio pili vederti con quel viso paTiido, strav olto; V()• glio vendic a rmi della sorte avversa. Voglio sfidarla ! - Io non potei a meno di sorridere della sua tirata. >Li misi a pr epara re qua1che cosa, ma egJi non aveva pa zienza . Al primo boccone, io ricadd i in deliq uio. :\1a DOi, alle sue premur e, mi rimi si un poco e pr ocur ai di mostrarmi al– Jegra, per fargli piacere. E aJla sera fur rm0 van e Je mie preghiere , le m ie proteste: eg-Ji volle condurmi ad un caffè concerto ed irJ vi andai, ma colle lagrime agli occhi, pensa ndo che dopo qualche giorno saremmo sta ti allo stess o punto, privi di tut to. Ebbi 15 Jire pel mio bozzetto e ciò vaJse a tirar innanzi. Scris.5 i a casa mia, dicendo, un po' velata– mente le nostre pen ose condizioni. La signorin a Adele mi mand ò del P residente d'una Società di beneficenza, al quale m'avea raccoman dato per un posto di mae st ra d'as ilo. Quegli mi fece moJt.e d0mande, mi chiese ~e ero regola rmeme spr·sata, il che mi sdegno, LA DI FESA DELLE LAVORATRI CI scura e la donna non osa neppur e doma n– dare. Che cosa si farà domani, dopo. senza la– voro e senza pan e ? Seduta, vicino al piccolo letto della bam– bina essi la gua rda no con la stessa muta , terr ibil e angos cia. Inconsciament e guar dano anche' entram– bi l'ult imo res iduo di carbone ri masto nel forn ello . E pare d 1e passi nei loro occhi lo stesso tragi co pensiero. Come sorrid e sem pr e la bim ba! Un gior– no si sedeva no vicino al letto e la guarda– vano con tant o orgoglio e con una così pro– fonda gioia. Ah , come si può far mori re una bimb a che sorrid e, così ? La donna pia nge e l'uomo ha una muta e feroce disperazio ne negl i occhi . Pare che nella piccola camera. squa llid a e qua si scu ra, pass i verament e, come l'uni– co segno di pace e di tregua, l'alito della morte. M. P. B. Piccole grandi verità Tra le amenità ... selvagge che le donn e si sent ivano ri fischiare nei giorni dei co– miz i elettorali del VI Collegio di Milano, da parte dei rapvr esenlanl i della borgh esia (an– che se erano. . poliziott i) ne abb iamo no– tala un a che potrebbe forse parere poco nuo– va e degna di un posto oscu ro nel caldaion e dei pregiudi zi vecchi , m a che a noi è parsa densa di un acre sign ificato . piena d'insulto, verso le autentiche operaie la cui fede socia– lista, il cui sp iri to di classe , la cu i aspiraz io· · ne ardente ad un a vita meno martoriala , al· tira va ai comiz i. a costo di sacrificio, a fon– dere cogli altr i i l loro grido di evvi va e di abbasso: u Andate a casa a far la calza!>), Qualctina delle nostre comp agne si divertì a lancia r loro una risposta ironica: - Non vogliamo il fallimento delle vostre indust rie ma~liaLrici! Che ne fareste delle vostr e Lri– coteuses'! ·" Ma io raccoglievo intanto lo spirit o vi– gliacco di qu ell'a postr ofe bo,·gese, le ri– spond evo loro dent ro di mc : - Canaglie ! A. casa a fa r la calca devono stare le la– vor atri ci sfrutta te? Mu. quando ? Durant e l'o– ra della fat ica sfrnllata da voi'/ Durant e I o– rario della fabbrica? Cosi potesse ro star ci!. Ma no! - Allora non le mandal e a casa a far la calza! Vi fanno comodo le donn e a loll e a loll e per le gran d i arterie della ver– tiginosa città indust riale, le folle che si pi– giano all e porle degli sta bilim ent i per en– tra re col vostro oro nelle loro braccia, per uscire colla loro sLanche:.:.a morlalc sacrifi– cata al vostro benessere ! Devono dunque far la calza.. quando? ... Ho cap ilo. Quan do la loro classe, 'guid ala dall 'ideale socialista , alza la fronte in laccia a voi, come da citta dini a ciUad ini, da par– tilo politi co a partilo politico in lolla: non più all ora salariat i e pad roni in faccia: ma individui sociali lottant i gli uni per la con– servaz ione cannib alesca del p ropr io privil e– gio, gli alt ri per abbattere qu el pr ivilegio e fare la giustizia grand e per tutt i ! Ah! ho capilo: vi danno fast idio qui qu e– ste donne lavoratri ci, fuori del vostro domi– nio di padroni di fabbri ca, qui , ug uagliate a voi nel dir itto d i appl audir e e di fischia– re, di domandar e il giudizi o sovrano della lolle ascollante, invece di soppo rta re il co– mand o assoluto e pr epotente, come all'offi– cina ! V i dà noia, dunqu e, che queste vitti.mc vi sfug gano, che qu este schiave si emancipin o? Buon segno 1 se qu esto vi irrita ! Tireremo 7.n– nan:.i! ton dormi remo più sulle qu estioni che ci interessa no, non saremo più le assen– ti da lla vita politica , dalla vita pu 6ì5lica in genere ! E... n far la calca nell'ora della solid arietà e della dif esa .. lasceremo che voi ci man· dia te.. . le vostre donn e, o borghesi, le vostre donn e a cui non manca pulla per esser for– ttmate ! Ma , a prop osito, pe,·che non dite loro di stare a casa a far la calza e.. a.. vegli are le cull e dei loro ba1nbini , invece di and are al teatro, ai balli , u. seminare pr ofum i e... buon temp o, civetter ia e.. vanit à? .. VERA . ALLA CAMERA Pr ecedenza del ma trim onio civile 1 Divor zio 1 Bu onissim e cose 1ier le filiali per ò la borg hesia non spend e un cent esi mo. illa dal paese so1·ge un 'a ltra 1·oce: pan e e laroro chiedi amo ! siamo i di soccupa t i, i pella grosi, gli affamati ; siamo coloro tbc ,·oi are te t ra d ito col lu sso dell a bella guerra ! irnbevuta com'ero ancora di pregi udizi sociali. :\fa pE:r chi mi prendeva?... Egli ini offerse un suss idio in denaro. Ciò mi sdegnò ancor più vivamente e gli dissi. ch'io, chiedevo lavoro, non elemosine. Soffrivo assai : la m ia anima era abbeverata di ama rezza.. Fin almente mio padre c'indiri ,, ò ad un suo conoscente che ci diede del lavoro per l'agen– zia delle imposte. Era un a cosa provvisoria., ma fu accolta da noi con festa. E quan do non ce ne fu più, scrivemm o ind irizzi per una ditta. Un giorno la signorina Adele mi chiese se non mi dispi nceva posa re pel viso, che un pittore tedesco, sposo di un a sua in'tim a amica, aven– domi vista un giorno da lei, avrebbe deside– rn.to ritrarr e, per una madonna che stav n. di– pingendo e ,·oleva esporr e a Torin o, insieme :vl un alt ro suo quadro : (< 11 bag no dei bam– bini ,i. .\fi assicurò che il signor Fellermeyer era rorretiissi rno e m'av rebbe usati i massimi ri– g uardi. E mio marit o acconsentl. E posa i lunghe ore tutti i giorni tutta av– vùlt a in un grave velo. Com'era buono e cortese quel signore! Mi pn.rliJ egli per la pl' iHla volte di socia lismo, e mi disse t..-1,nte cose buone, ta nte cose giu ste, ch'io lù asco ltavo a1Dmirat..-:i! Tante volte, egli se la prese colla mia fierezza che non nii perniet – ieva di accPUare la più piccola cosa . Mn. com– prend eva - era persona fine e superi ore - . Così gaia , cosi va ria e sugg est iva era la di lui conversazione ch'io mi trovavo nssai bene in sua ccmpagTiin. - Quei riccioli son troppo in1pertinenti quel– le labbr a son tr oppo terr ene per un a creatura celestiale! - egli diceva - . Vorr ei far vi accon– ciare da brian zuola e vedervi negli occhi quel– l'espresione di gaiezza serena, che avete cosl di rado! È un contr osenso vede r il dolore, sen– tire la pre occupazione profonda, in un viso cosl fresco e giovanil e in un 'an imo così gio– vane ed ingenuo! Io lo correggevo qun.nd' e~li diceva qu alche paro la monca, non prett amente Ha.liana, qualche verbo err ato : eppure si esprim eva con molto gar bo ed efficac ia. Mi disse un giol'– no, (e ciò mi fece molta imp ressione perchè aprì il m i() peno,iero a 1m nuovo ord ine di idee!,, che quando and ava. ta lora a p:isseggio nelJa sua can ozza. e vedeva dello. gente m i– sera, malvestita, g1iard a1·lo con un senso d'in– vidia, era costrett o a scendere perchè si \'Cl"· gogna\·a d'esser ricco, mentre tant i pativ ano. Questa sua vergogna. d'esser ricco mi parve una cosa nuova e m i fece riflettere profonda. rnente: nuovi pensieri si matu rava no nel mio cervello. - L a posa spesso mi stancava mol– to; nei mrHnenti di pausa gli par1nvo con se– reno abba ndono. Un di mi prese la teo,ta e fece l'atto di baciar mi , ma la min sorp resa dolo– rosf'l lo rimise subito. Vedendomi turbnta vi– vamente : I( Vi giuro, signora , mi disse, che qui siete sicura, che potete rimaner tr anquil– la ,,. - E dopo un lungo silenzio : ((L'es pr cs– sir,ne di terror e che lessi nei vostri occhi, mi l1a accorato. Vi ho offesa e addolorata ; n on mi per donerete; non ritornerete più 1,. - Tor– nai c.:.eria f'l posare; rg li dipingeva in si1en. zir·. BATTUTA DI CRONACA L'Arcivescovo e il Tango. Avete Lello !"enciclica del Cardinal Fer– rari? Intran sigcn:,a assoluta: il tango V,{t abolito di sana pian ta e non riformato ca– rne hanno suggerito certi volont erosi . Quan– to al p1pa avr ebbe provo slo la Furlana co– 'me ballo m eno prricoloso per la stagion e carn eval esca, e.. questo dissenso form a la delizia dei buoLemp oni, la fortun a dei gior– n ali ·umor istici! La gente che lavora da rnau ina a sera non ha Lemp o per esv erimen Lare se il tan– go sia peccaniinos o o nieno. Per essa, arci– vescovo e papa possono dormire tranquilli . .lt a sono avver LiLe le signore che se la go– dano in questo basso m ondo pur Lenendo a bada quel buon S. P icL ro per un posticino in Paradis o. l e allr e, o dio , quelle che al Paradiso fut uro hanno già fatta rin un cia, e son le m iglior i ball erine ,l'i lango, quelle non si com1nuo vono cerLam enLe alle amar e parole ·di Sua Emin enza ! 1l1a che il rappr esentant e di Cristo in Ler– ra, e i suoi degni pastori di anim e si deb– bano lanlo preoccuvare per itn ballo 7iiitl– Losto che un alLro? Ma guarda un po' quan to zelo per poche animucc ie che tengono il p iede in due scar– pr men tre lo al:.ano, gam ba compr esa, nel rit1no della danza ... oscena! Oh che codesti pastori non si sieno ma i accorti di Lan·at– tre fonti di inimo ralità che van no a conta – min are le im1nensc folle anonin u~ oscure, per la redenoione delle quali il biondo Ga– lileo cmnn iinava scalzo e povero, seguìt o dai dodici apostoU? E non hanno ma i pensato codesti pastori alle pove re case ove in un solo giaciglio i piccoli stanno coi gran di assorbendo mic robi e vizi ? E codesti JJasto· ri non hanno niai vis to, che ogni degrne– ra::.ione morale ha sua radice nella ·miseria che crea la vittim a, e nella ricch.e:,za accu– mu lala che dà il preppleni e? Quant a ingenui tà la nostra! Non Lo sa– pessi?no che codesti depositar i della rnora– le, i quali in n01ne di Cristo si danno con mo rboso zelo alla crociala contro il Lango, appuntano le loro arrni solo là dove non entrano in gioco gli in teressi di classe, e si guarda no ben e dal colpire nel segno quei sistemi sociali che son o la font e di ogni im - 1noralilà. poichè essi ne sono un necessario ing ranagr1io. Ma noi vorre1n1no una sola cosa da essi : lo stracciassero una volLa quel Vangelo di Cristo! ùa logka dei sernpliei. - Anche i signori hanno i loro fastidi ·l Non crediate che sien tutt e ros e per loro! Non vedete la figlia del padron e? Va a ma– rito e scop re che qu esti ha un' amant e! So– no lacrim e, gu ai.. - Oh già, perchè le sue tr ecentomila lir e hanno attirat o qu el.. masca lzone che non le voleva affatto bene ! - Vedete d t.1nqu e? Se non le avesse avu – t'J non le succedeva un imbroglio sim ile. Ma stia mo cont ente del nostro stato in cui ci ha messe il buon Dio per nostro bene! - Ma, ma, il buon Dio in verit à ha da– to an che a me, le mi e. . Quella figliuo la di sedici anni , mort a si pr esto. . Credete che sarebb e morta se non l'av essi dovu ta m an– dare alla fabbrica prima che si facesse le ossa? - Felice lei che non soffre! Noi, vedete, ri– maniamo qui a tr ibolare. Noi perchè pove– ri e la figlia del padrone perchè r icca ... - Ah , cara m ia, il tuo ra gionam ent o non mi per suad e! La mia figliuola vorr ei averla Al momento d'uscire mi disse con molta amare zza e umilmente: u Se sarete tan to buo– n ai da ritor na re... non me ne mos tr erò ind e– S!l(_l· _Sono un gen til uomo, signora. Non m i d1s1st1mate: non andate via senz'avermi. per– donato n. - Gli tesi la mano in silenzio e tornai anoora una volta, ma ciò mi turba va e comp resi ch'era prudente e asse nn ato non far lo più. - E a Beppe che m'a veva chlcsto P?rch è non t_ornassi dissi la verità e lo pr ega i di J)l'end erm1 con sè, di non lasciarmi lontan a eia. lui. - Perchè in quel tempo la s.ignori.na aveva trovato per lui un posto di contabil e a ).Iele_gnano ed egli v'era. and ato subito. 1asc ian– cloml pr esso una fam iglia di conoscenti (che ci aveva.no tempora neame nte accolt~) a scrive re dei cartellini per l'ag enzia, finchè era termi– nato il lavoro. Ma io mi trov avo a disag io così sola, lontana. e lavoravo gra n parte della not~ per finir pre sto e poter raggi ungerlo. Egh non m i fu grato deJla mi a. confidenza e non ebbe il tatto d i compr endere come mi '.erisse colle sue banalit à. Mia padre m'aveva insegnato a. essere sempre sin cera e a confid are ogni turbamento a chi mi dovevn esse re gu ida a_mo:ev?le e sicur a. Ma io dovetti spesso. pen– t1rm1 d1 seguire tale suo consig lio. Intant o incomin ciò un periodo di pace; Bep. pe_torn ava buono e premu roso come nei pri– mi tempi ed io apri vo il cuore alla speran za d'un miglior avven ire, fiduciosa che la serenità del pane sicuro dovessero far lo men o colle. rico, e im petu oso e la dura esperi enza tem– pr are il suo caratt ere, e la mia tenerezza T'ad– dolcirl o. (Continu a 1.

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